Disegnare Dylan Dog: intervista a Claudio Villa

Disegnare Dylan Dog: intervista a Claudio Villa

Per lo Speciale sui trent’anni dell’Indagatore dell’incubo riproponiamo alcuni passaggi di una lunga intervista al primo copertinista della serie.

All’interno dello Speciale dedicato ai trent’anni dell’Indagatore dell’incubo, abbiamo raccolto alcune interviste rivolte ai disegnatori principali della serie. Ci sembrava giusto inoltre riprendere alcuni passaggi di una conversazione di alcuni mesi fa con Claudio Villa, ideatore grafico e primo copertinista della serie ideata da Tiziano Sclavi.

villaClaudio Villa nasce a Lomazzo (CO) nel 1959. Dopo il liceo artistico entra nello studio di Franco Bignotti. Nel 1979 inizia la collaborazione con l’editore francese L.U.G., prima con la miniserie medievale Enguerrand e Nadine poi con il fantascientifico Gun Gallon. Nel 1982 inizia la collaborazione con l’allora Daim Press, poi Sergio Bonelli Editore, con Martin Mystère #11-12. Viene chiamato a disegnare Tex col numero 311 (settembre 1986). Nel 1986 gli viene assegnata l’ideazione grafica e le copertine del nuovo personaggio di Tiziano Sclavi: Dylan Dog. Stesso compito gli viene affidato per Nick Raider, serie ideata da Claudio Nizzi (1988). Nel 1994, a partire dal numero 401, succede a Galep come copertinista di Tex, ruolo che ricopre tutt’ora. Nel 1996 torna su Dylan Dog come autore completo, realizzando con Claudio Baglioni Le vie dei colori, albo fuori-serie allegato a Tutto musica e spettacolo. Nel 2006 si cimenta coi supereroi, con Devil & Capitan America: doppia morte, su testi di Tito Faraci. Attualmente è al lavoro su di un futuro Texone.

Negli anni Ottanta, l’approdo in Bonelli ti vide da subito entrare nello staff di Martin Mystère; dopo i primi quattro episodi di MM ti venne chiesto di studiare l’immagine per un nuovo personaggio, Dylan Dog. Come entrasti a far parte dello staff degli autori che stavano creando la serie dell’Indagatore dell’incubo?
Con una telefonata. Ah, ah, ah, ah!
Non ho mai conosciuto il “percorso” che ha portato Sclavi a chiamarmi per dare un volto a Dylan, ma so che un giorno squillò il telefono e dall’altra parte c’era Tiziano che mi chiedeva proprio quello. Mi parlò brevemente del personaggio, mi diede molto materiale che raccoglieva il “processo creativo” in corso e i riferimenti dei possibili volti ispiratori (tutta roba che conservo ancora).

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Proposta per copertina “Morgana” (Dylan Dog #25).

Quanto ci è voluto per trovare la fisionomia definitiva di Dylan? Da dove o da chi arrivarono gli spunti e le ispirazioni originarie, oltre che ovviamente da Tiziano Sclavi?
Devo dire che i primi studi non furono soddisfacenti, soprattutto perché Dylan è inglese e io, invece, avevo fatto un personaggio spagnoleggiante con capelli folti, basettoni e un naso importante, anche se detto così sembrano simili. Quel che ricordo è che, incredibilmente, l’informazione che fosse inglese non mi venne data – cose che capitano – ma era un’informazione fondamentale. Con i miei studi davanti e la riunione in corso, fu Sclavi che intervenne tagliando la testa al toro e indirizzò il personaggio sulla somiglianza con Rupert Everett. Non avevo mai sentito parlare di Everett e così Sclavi mi consigliò di andarmi a vedere un film con lui come protagonista. Così in una sala d’essai, guardando Another Country in mezzo a molte poltroncine vuote, schizzai velocemente i caratteri su un taccuino che mi ero portato. Poi li elaborai a casa, ricordando la raccomandazione di Tiziano: “Non farlo “delicato” come lo si vede nel film, Dylan ha a che fare con mostri e incubi, non deve dar l’idea di essere troppo fragile.
Spinsi un po’ sulle caratteristiche, accentuando il naso e scavando bene le guance. Appena lo mostrai in casa editrice, a Marcheselli scappò un: “Ma questo è Claudio Baglioni!
E questa è un’altra storia…

dyd41Diventasti il copertinista di Dylan Dog sin dall’esordio e lo sei stato per 41 numeri: come si sviluppava il processo creativo che portava alla nascita di una copertina di Dylan?
Era la mia prima esperienza come copertinista.
Era Sclavi che mi spiegava la storia e mi dava qualche indicazione scritta sulle idee possibili. A volte, ma raramente, ci furono disegni, alcuni fatti da Tiziano altri presi dalle vignette interne alla storia.
Da lì partivo e sviluppavo l’idea attraverso quattro o cinque schizzi e la scelta finale era della casa editrice. Una volta approvato lo schizzo facevo la china e una fotocopia in A3 della china per la “prova colore”. Coloravo con Ecoline e tempere acquerellate lasciando le alteluci (1. Sapevo che non era usuale vederle su una copertina bonelliana, visto che erano tutte tinte piatte ottenute con le classiche pellicole, ma le facevo lo stesso, per il puro piacere di farlo.
Fu lo stampatore Petruzzelli che si entusiasmò all’idea e si inventò una tecnica per ottenere lo stesso risultato della fotografia in stampa: con una ulteriore pellicola senza colore, interveniva con un liquido coprente, steso a mano, che attenuava il colore in fase di stampa. E, grazie a lui, abbiamo avuto le prime alteluci in copertina.

Nel 1996 desti vita, insieme a Claudio Baglioni, a Le vie dei colori, storia di Dylan Dog che ti permise di unire alla tua passione fumettistica l’altra tua passione, quella per la musica cantautoriale italiana, e di Baglioni in particolare. Come nacque questo originale progetto?
Dalla mia curiosità e dalla passione di Guido Tognetti, consulente artistico di Baglioni, per il fumetto.
In breve: Baglioni citò Dylan Dog nella canzone Nudo di Donna, inclusa nell’album Io sono qui. Fui piacevolmente sorpreso e cercai un modo per comunicare con lui per ringraziarlo della citazione. Su quell’album c’era il numero di telefono del suo fan club, il CLAB; spinto dalla curiosità e con una buona dose di faccia tosta, telefonai. Mi rispose proprio Guido Tognetti. Scambiammo due parole e poi gli dissi chi ero. Mi fece lasciare i dati per una “futura probabile opportunità“.
Misi giù la cornetta e non ci pensai più. Fino a quando, un mese dopo, fu lui a chiamare me.
Parlava “a nome di Baglioni”, che chiedeva se ci fosse la possibilità di disegnare una storia partendo da una sua canzone.
La mia risposta fu entusiastica e mi venne data la canzone da “fumettare”: Le vie dei colori.

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Solo Dylan poteva “interpretare” un testo simile e mi misi al lavoro per concepire la storia. Non volevo una storia che fosse la pedestre attuazione di ogni strofa della canzone, ma una che potesse “incrociarsi” con il testo, diventando compatibile anche con le atmosfere di Dylan Dog.
Il “fuoco sacro” arrivò in una domenica pomeriggio e scrissi d’un fiato la storia: soggetto e sceneggiatura. La feci leggere a Tiziano e la mandai anche all’ufficio di Baglioni. Fu approvata dai due fronti. Ci fu poi una riunione dei piani alti della Bonelli e dello staff di Baglioni per definire meglio l’operazione. Si decise di pubblicare in luogo neutro per non confondere né i lettori di Dylan, né gli appassionati di Baglioni: non era una promozione di Dylan attraverso Baglioni, né una promozione di Baglioni attraverso Dylan. Era un’operazione fatta per un incontro tra due media di comunicazione: musica e fumetto. Per questo fu scelta la rivista Tutto Musica e Spettacolo per la pubblicazione.
Mi misi al lavoro per la realizzazione, che comprendeva anche tavole a colori, che feci su fotocopie su cartoncino in formato originale. L’operazione “Dylan-Baglioni” si guadagnò pure la copertina del numero, per cui partecipai anche allo sviluppo dell’idea. Dal mio schizzo approvato vennero fatte alcune foto in studio a Baglioni, che costituirono la base per disegnare un Dylan Dog full color da affiancare, schiena a schiena, al Claudione Nazionale.
Oltre a questo feci la copertina dell’albetto e la quarta di copertina con uno “scambio di costumi” tra Dylan e Claudio.
La storia venne pubblicata come un inserto staccabile della rivista.
E’ stato un “tuffo dove l’acqua è più blu” (n.d.r. Ci scuserà Claudio Baglioni, per la citazione battistiana).
Una gran soddisfazione.

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Copertina dell’albo fuori serie dal titolo “L’incubo dell’indagatore”, presentato quest’anno alla Fiera di Lugano.

Guardando indietro oggi al tuo lavoro su Dylan Dog, che peso e valore daresti a quell’esperienza professionale, anche per ciò che è stata dopo la tua carriera?
Formativa direi, come ogni disegno che si lascia sulla carta. L’opportunità di dedicarmi alle copertine è stata una vera palestra.

Quanto è stata importante l’esperienza come copertinista di Dylan Dog nell’economia dell’incarico che hai su Tex e quali sono le differenze che hai trovato nel disegnare le copertine per una serie e l’altra?
Quell’esperienza è stata importante in quanto mi ha permesso di imparare a sintetizzare l’”argomento” della copertina.
Ma le copertine di Tex sono molto diverse da quelle per Dylan Dog. Su DyD puoi giocare con un’immagine strana, insolita, che muove la curiosità su corde diverse dall’avventura pura. Un’inquadratura, un taglio di luce “raccontano” molto di più in una copertina di Dylan rispetto a quanto gli sia concesso di fare in una copertina di Tex, dove la protagonista assoluta è l’Avventura con la “A” maiuscola.
In Tex è l’insieme del paesaggio, della situazione, dell’azione a determinare la “temperatura” della copertina. A Dylan Dog basta molto meno per emozionare. Per Tex occorre che tutti gli ingredienti siano dosati e calibrati, altrimenti l’azione si smonta.
Tex è un personaggio solare e mal sopporterebbe un’atmosfera cupa e opprimente, mentre un personaggio come Dylan Dog ci va a nozze.
Queste almeno sono le differenze che ci vedo io.

Estratto da un’intervista realizzata via mail e conclusa a dicembre 2015.

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