Dylan Dog, i personaggi nel nuovo corso 1) Dylan

Dylan Dog, i personaggi nel nuovo corso 1) Dylan

Nell'ondata di rinnovamento coordinata da Roberto Recchioni, facciamo il punto su quello che sta succedendo al protagonista: Dylan Dog.

Premessa – Chi è Dylan Dog

dyd_pers_nc_cav01Ex alcolista, ex poliziotto che non ha imparato a pedinare e non sa sparare (ma non sempre), sognatore scettico, collezionista geloso dei propri cimeli e delle proprie fobie (superate ogni volta che serve), sensitivo che spera nei fantasmi (ma li considera l’ultima ratio), detective che si affida più all’intuito che alla logica, innamorato perenne delle donne e dei propri ideali, eroe che ama travestirsi da anti eroe, narcisista che guarda il mondo dal proprio ombelico, ma si ostina a migliorarlo, soprattutto quando è un’impresa disperata.

Anche solo tentare di definire Dylan Dog fa capire quanto sia affascinante, unico e delicato come personaggio.

Alla domanda cruciale sulla sua paternità, gli intervistati da Lo Spazio Bianco nello speciale per il trentennale non hanno avuto dubbi: “Dylan Dog è Sclavi”. È, in sostanza, un fumetto “autoriale”, cioè connotato da un legame fortissimo con il suo autore. E la sua autorialità, ancor prima di rappresentarne una croce, è di sicuro l’elemento che l’ha aiutato a emergere nell’affollato mondo della letteratura disegnata.

Non basta. Per capire il successo di una delle più importanti testate italiane a fumetti, è necessario affrontare lo storytelling di Tiziano Sclavi: il suo flusso narrativo è selvaggio, istintivo, e si piega, quasi facendo il verso al suo protagonista, alle suggestioni della trama, mutando in base alle esigenze del momento, in una galleria di citazioni che saccheggiano le arti senza preclusioni di genere, concatendando registri e strumenti diversissimi fra loro, fra narrazioni in prima, terza persona, diari, canzoni, parentesi liriche, crudeli e comiche che procedono a braccetto, personaggi di contorno che crescono fino a prendersi le luci della ribalta, per annullarsi poche pagine più in là, o per tornare quando meno te l’aspetti e quando più servono. Tutto con un preciso obiettivo, che fa di Dylan Dog anche un fumetto “Bonelliano”, ovvero garantire sempre la leggibilità e costruire comunque una storia chiara, mantenere una forte coerenza interna, messa costantemente alla prova, ma abbandonata di rado.

Dylan Dog, in una frase, è un impressionante caso di osmosi fra autore, protagonista e racconto, che non dimentica mai l’esistenza, al di là delle pagine, di un lettore.

Questa è la teoria, anzi, questa ormai è la mitologia della testata: un’età dell’oro in cui tutto poteva succedere. E tutto succedeva. Come lo stesso Mauro Marcheselli afferma nella sua intervista: dal picco creativo del primo Sclavi c’è stata solo una discesa, forse lenta, magari costellata di acuti che sono serviti a puntellarla, ma ormai sempre più evidente e inesorabile.
Perché l’indagatore dell’incubo è un brutto cliente. È uno con cui, se vuoi costruire una bella storia, devi saperti mettere a nudo, devi sapere rischiare tutto.
Rubiamo le parole a Barbara Baraldi:

[…] per scrivere Dylan devi cercare la sua umanità, trovarla dentro di te, rovesciarla sulla pagina insieme alle tue ossessioni.

o a Ratigher:

Per lavorare su Dylan Dog bisogna fare una fatica erculea, costruire un’impalcatura intorno al mito con la certezza che l’impresa sia vana e che la tua struttura verrà sottoposta ad uno stress test insuperabile. Questa condizione ti avvicina a Dylan stesso, in lotta con nemici così più grandi di lui che a trionfare è il romantico slancio verso l’ignoto piuttosto che la vittoria vera

Insomma: per sceneggiare Dylan devi diventare Dylan, compiendo il processo inverso alla proiezione autobiografica del suo autore originario. Il contrario di ciò che è avvenuto negli anni: in nome del mantenimento di un favolistico status quo, ogni nuovo sceneggiatore ha preso il personaggio di Sclavi e ha cercato di riproporlo.
Privandolo della sua anima.

In questa serie di articoli proveremo a capire cosa è successo a protagonista, comprimari e antagonisti della testata per effetto dell’attuale tentativo della Bonelli di ridare forza a uno dei più importanti patrimoni fumettistici italiani.

Il nuovo Dylan Dog

Per arrivare al “nuovo corso” del personaggio dobbiamo fare due necessari passi indietro: anzitutto al 2002, anno di nascita di John Doe. Un fumetto “autoriale a due”, in cui Roberto Recchioni e Lorenzo Bartoli hanno inserito se stessi, le loro sensibilità e i loro diversi, quasi complementari, immaginari. John Doe: un fumetto che ha un protagonista molto diverso, antitetico rispetto a Dylan Dog, ma che in comune con la creatura di Sclavi mostra una felice imprevedibilità, un forte citazionismo che si integra con la storia fino quasi a diventarne motore, una dinamica libera, ma al servizio del personaggio, una decisa voglia di rischiare, sia nei registri narrativi che nella formula grafica, ma al servizio della leggibilità.

Il secondo passo verso il nuovo Dylan è il 2009, con il “Mater Morbi” di Roberto Recchioni. L’albo vede l’indagatore dell’incubo cimentarsi con un mostro per lui inedito: la malattia. È una dichiarazione intima da parte dell’autore, che scava nel suo incubo privato e tira fuori pagine intense, personali, ma in perfetta coerenza con la testata.
Fatte queste premesse, il Dylan Dog del curatore Recchioni parte ufficialmente nell’ottobre del 2014 con “Spazio profondo”, che è una vera e propria dichiarazione di intenti sul personaggio.

dyd_pers_nc_mortiI quattro cloni del protagonista sono simboli dei falliti tentativi di replicarlo, che di fatto hanno esasperato singoli lati della sua personalità e hanno dimostrato di non poter funzionare da soli.

L’obiettivo è chiaro: tornare a Dylan Dog, non limitarsi a una sua parte.
I comprimari: Bloch, Bree, Groucho, volti familiari emergono dalle ombre in sembianze mostruose. La reiterazione dei loro schemi nel tempo li ha resi pastoie narrative al pari dei cloni di Dylan. E invece possono essere affrontati, si può cercare di “giocare” con le loro stesse peculiarità (lo scontro fra Dylan e Groucho), perché la storia riprenda il suo corso.

Infine, l’orrore: nelle ultime pagine. Perché puoi decidere di muoverti fra le stelle, attingere a mondi sconosciuti, ma devi sempre tornare al nucleo oscuro, all’obiettivo del racconto, alla tua vera “casa”: l’incubo.
“Spazio profondo” invita a scuotersi dal torpore creativo, a cercare una soluzione alla riproposizione di schemi, e trova una buona parte della soluzione in una corretta gestione dei personaggi. Una tale chiamata alla creatività, materia di per sé poco razionalizzabile, non può che muoversi nella metafora, e ha un coerente medium elettivo in questa “parabola”, in questo racconto “esemplare”.

Il nuovo curatore ha però voluto (e dovuto) anche dare un’impronta percepibile al rinnovamento della testata: per rendere immediatamente individuabile il suo corso per i lettori e al contempo dare nuove suggestioni agli sceneggiatori.

In primis: l’introduzione della continuity. Dylan Dog è un fumetto “iper procedurale”: Dylan è stato bruciato dalle streghe, ha una sua dinamica in un mondo infestato da zombie, vive nella zona del crepuscolo, il suo stesso passato si è espanso fino a una dimensione mitica che si è riempita di eventi, in un calderone sempre pronto ad aggiungere e rinnegare nuovi tasselli. La sua natura di contenitore di storie è stata tesa al limite, divenendo una delle regole della testata: da personaggio, si è con gli anni elevato a modello di approccio all’orrore, perfezionando l’osmosi, di cui parlavamo, fra protagonista e storia. E se la sua rappresentazione nel ciclo “Il pianeta dei morti” sembra in qualche modo lontana dall’originale, è pur vero che è ottenuta dall’esposizione dell’inquilino di Craven road al tempo e a un adeguato numero di eventi luttuosi.

Quando Recchioni parla di mille Dylan Dog nell’editoriale del primo Old Boy, opera in sostanza un depistaggio: non è il modello di Dylan a cambiare, ma, di volta in volta, l’ambientazione a cui il modello si applica.

dyd_pers_nc_cav03In un contesto del genere l’introduzione di un filo conduttore, di una trama orizzontale, è molto complicata da gestire. Perché anzitutto sembra andare parzialmente contro il principio di storia “selvaggia” sclaviana: più paletti si pongono, più condizioni si creano per mantenere la coerenza del racconto, meno si è liberi di esplorare, meno ha senso, ad esempio, far morire l’eroe, per poi ritrovarlo nella storia successiva. In secondo luogo, per una conseguenza necessaria dell’adozione di un orizzonte mutevole di eventi, i cambiamenti assumono una loro importanza e devono riverberarsi in una conseguente evoluzione del personaggio.

Ma se il protagonista è divenuto modello, se le sue caratteristiche sono diventate il filtro consueto adottato dalla testata per rappresentare il suo argomento elettivo, diviene difficile pensare che, dopo trent’anni di pubblicazioni, si possa giocare nel breve termine e pesantemente sulla psiche dell’eroe. Perché si rischia così di snaturare il modello, e quindi di delegittimare la serie. Paradossalmente un rischio del genere ci sarebbe meno, ad esempio, in un procedurale “semplice” come Tex, dove è vero che Aquila della notte è divenuto col tempo archetipo della giustizia (quindi egli stesso modello), ma è comunque anche rimasto sempre un uomo, quindi coerentemente mutevole, e adeguatamente, all’occorrenza, evolvibile.

Tocca lavorare per gradi, insomma: anzitutto eventuali modifiche devono essere fortemente motivate. Nel caso del “nuovo corso”, si è parlato di tornare a sintonizzarsi con i tempi. Il processo di sincronizzazione, però, non può consumarsi radicalmente, da un mese all’altro: è necessario far metabolizzare le variazioni, diluendole nel tempo. È un lavoro delicato. E non per la paura di scontentare i fan, ma principalmente per mantenere la coerenza interna del fumetto.

dyd_pers_nc_sta05Se la nuova continuity non può molto, almeno nell’immediato, sul protagonista, si è pensato di utilizzarla per modifiche evidenti ai comprimari. In questo modo si ottiene il doppio effetto di smuovere la struttura in maniera meno traumatica, e preparare eventuali conseguenze su Dylan stesso. Che presto o tardi comunque devono aver luogo, per quel principio di “pistola di Cechov”, che Recchioni stesso ha citato nel suo remake de “L’alba dei morti viventi”: “se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari”Perché la continuity “spari” davvero, è necessario che a Dylan accada davvero qualcosa.

In base a quanto detto, appare coerente lo schema usato in questi primi due anni di rilancio del personaggio: limitarsi a ripresentare Dylan, mettendo occasionalmente alla prova alcune componenti fondanti, e nell’occasione suggerire che qualcosa a cui eravamo abituati non era come pensavamo. Tre gli esempi fondamentali in merito: “Il cuore degli uomini”, “…e cenere tornerai” e “Mater Dolorosa”.

dyd_pers_nc_sta02“Il cuore degli uomini” affronta il rapporto di Dylan Dog con le donne: che, se ci pensiamo, è un elemento di “continuity involontaria” nell’iper proceduralità della serie.
Alla domanda “come mai Dylan ha una donna ad ogni numero?” Sclavi rispondeva “perché ogni numero di Dylan Dog è un film”. Un’entità a se stante, quindi, che nella sua ricetta interna deve includere un rapporto d’amore: un’esigenza, quindi, eminentemente procedurale e narrativa.

Si è però ben presto passati all’indagatore tombeur des femmes, perché l’accumulo delle sue relazioni col passar dei mesi è divenuta una caratteristica che non si reggeva da sola: era necessario “spiegarla”.

La memoria, in principio rinnegata, è col tempo divenuta vincolo. Con l’accumularsi degli anni, dalla spiegazione necessaria si è passati alla consuetudine, e con essa all’estremizzazione di approcci che sono arrivati a consumarsi nello spazio di una manciata di vignette. Il nuovo corso non fa difetto a questo problema: Dylan è costantemente attivo verso le donne, non accetta i rifiuti, non lascia passare un incontro con l’agente Rakim senza ricordarle che c’è qualcosa fra loro due.“Il cuore degli uomini” è una riuscita incursione nel nucleo narcisistico che sottende la questione: il demone che veste di amore il bisogno di essere amato.

È un riuscito ribaltamento di prospettiva, perché finora tutte le avventure rosa dell’indagatore apparivano generate dalle migliori intenzioni, mentre d’ora in poi (e ce lo ricorda lo stesso Dylan in “Lacrime di pietra”) i suoi rapporti potranno essere visti alla luce di un conflitto interno. Potranno quindi crescere, scegliendo se seguire la vena ultra romantica consueta o dar sfogo al bisogno di attenzione, o rinnegare entrambi.

Intenso, duro nei confronti del personaggio, e di conseguenza interessante, “…e cenere tornerai” si concentra invece su un altro elemento onnipresente nella serie: quella casa rifugio, stipata di simulacri di orrori, che ci ha accompagnati in tutte le storie dell’indagatore dell’incubo. Paola Barbato è da sempre interessata all’umanità del personaggio, alle dinamiche dei suoi rapporti sociali e alle sue imperfezioni, e la conclusione alla quale ci conduce è interessante perché, anche qui, “sporca” il rapporto di Dylan con la realtà.

“Qualcuno ha detto: <<Le cose che possiedi alla fine ti possiedono>> E anche se fosse?”, conclude il protagonista, una volta tornato in possesso della propria tana. Al di là di tutto il carico meta narrativo, che rende questo episodio lo “Spazio profondo” dell’autrice milanese, ci viene ricordato quanto Dylan stesso, come personaggio, abbia un rapporto nevrotico con gli oggetti e con la propria storia passata. Quello che finora non era certo un conflitto necessario, ora diventa un altro strumento da utilizzare nelle sue storie.

dyd_pers_nc_sta06In “Mater Dolorosa”, Recchioni afferma con forza la sua responsabilità sulla rinascita di Dylan, incastonando la sua Mater Morbi nella mitologia del personaggio. Se “Mater Morbi” era un (bel) numero fra tanti Dylan Dog del vecchio corso, inserire la dea della malattia nel galeone dove tutto ha avuto inizio fa anche qui cambiare prospettiva. Perché Dylan finora era un ex alcolista, che in un’occasione ha affrontato l’incubo di un male oscuro, ma adesso diventa un sopravvissuto, uno che ha provato il dolore e le sue conseguenze, e che rimane costantemente in bilico fra la vita e il fantasma della recrudescenza.

Alla fine di questi due anni, in sostanza, abbiamo già un indagatore diverso: che non rinnega nulla di quello che era prima, ma ha aggiunto spessore e direzioni inedite ad alcuni suoi aspetti.

Varrebbe inoltre la pena citare qualche prova del mensile che è uscita fuori dal coro e ha comportato effetti inattesi sul personaggio, magari non a lungo termine e pur partendo da presupposti struttualmente “classici”. In nome di un altro slogan della gestione Recchioni: “imperativo osare”.

“La macchina umana” di Alessandro Bilotta, al pari di episodi strutturalmente simili, come il seminale “Caccia alle streghe”, si prende una pausa dalla continuity e costruisce un pamphlet sul mondo del lavoro in cui utilizza l’inquilino di Craven road come modello funzionale piuttosto che come personaggio.

“In fondo al male” di Ratigher è il Dylan “canonico” che non ti aspetti, ottenuto sovraccaricando i componenti più classici della testata e del protagonista: le frasi fatte, sparate a ripetizione dall’indagatore dell’incubo, ottengono un effetto straniante, trasformandolo nel burattino di se stesso, mentre la catena di eventi disturbanti, che si sviluppano senza spiegazioni e crescono senza soluzione di continuità rispetto al tessuto del racconto, sembrano tante pennellate per un impressionistico quadro sull’inquietudine.

Il gioco di specchi di “Sul fondo” di Matteo Casali immerge la sua dinamica densa nell’angoscia di un riconoscimento inatteso, e si concentra sulla reazione rabbiosa all’intimità violata. Restituendoci un Dylan che attrae, perché difficilmente lo abbiamo visto così aggressivo. Tanto che facciamo fatica a riconoscerlo e siamo costretti a un certo tempo per metabolizzarlo.

Interessante notare come, in due casi su tre, si tratta di nuovi autori alla prima prova con la serie.

Fine prima parte.

4 Commenti

1 Commento

  1. barbara

    10 Novembre 2016 a 16:22

    ma basterebbe fare storie retro per fare felici i lettori, lunica storia degli ultimi anni ad avere avuto una standing ovation è stata i raminghi dell’autunno. Celoni è pure andato a ringraziare i lettori sui forum. Poi basta politica di estrema sinistra nelle storie(la macchina umana, miseria e crudeltà) fa solo incazzare i lettori non di sisnistra. E basta metafumetto per dire che il rilancio è ottimo, il rilancio è figo, rilancio rulez e se va male è colpa deli lettori nostalgici ecc

    • la redazione

      14 Novembre 2016 a 11:25

      E’ sempre difficile e forse pure sterile considerare i lettori come un unica entità monopensiero, non trovi? Ci sono state altre storie molto apprezzate.
      Quanto alla politica, troviamo che Dylan sia sempre stato un personaggio “politico”, o meglio ancora “sociale”. Se non piace oggi, non piaceva nemmeno 300 numeri fa.

  2. barbara

    10 Novembre 2016 a 16:25

    avete notato che negli ultimi numeri dylan lo disegnano come un anoressico?(mater dolorosa, vietato ai minori ecc) deve diventare pure fisicamente simile al Recchioni? si farà crescere il pizzetto e metterà gli occhiali?

  3. dany

    10 Novembre 2016 a 18:08

    io rimpiango il Gualdoni almeno dylan era dylan, adesso c’è un impostore al suo posto, non lo riconosco più

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