Disegnare Dylan Dog: intervista a Nicola Mari

Disegnare Dylan Dog: intervista a Nicola Mari

Per lo Speciale sui 30 anni di Dylan Dog abbiamo intervistato Nicola Mari, disegnatore simbolo della serie, che ha gentilmente disegnato uno sketch esclusivo per noi.

mariAll’interno dello Speciale sui trent’anni dell’Indagatore dell’incubo, abbiamo raccolto alcune interviste rivolte ai disegnatori principali della serie. Stavolta abbiamo l’onore di ospitare Nicola Mari

Ferrarese, del 1967, Nicola Mari frequenta l’istituto d’arte e muove i suoi primi passi da disegnatore professionista nel 1987, realizzando fumetti erotici per la Edifumetto. Continua la sua attività di fumettista con la Casa editrice Acme, lavorando, in contemporanea, come grafico pubblicitario. È nel 1989 che inizia a occuparsi a tempo pieno di strisce disegnate, quando manda delle tavole di prova alla Sergio Bonelli Editore e viene subito contattato per Nathan Never. Nicola Mari è anche nello staff di Dylan Dog.

Intervista a Nicola Mari

Se dovessi caratterizzare Dylan Dog in un solo dettaglio, da un solo particolare, quale sarebbe per te?
Ogni persona, reale o immaginaria che sia, per effetto di un bizzarro processo cognitivo, probabilmente da riferire alla dimensione dell’inconscio, la individuiamo e la fissiamo nella nostra mente a partire da un dettaglio somatico o fisionomico: la bocca, le mani, le spalle e così via. Anche la voce non sfugge a tale processo, poiché ricordiamo e subiamo il fascino, non tanto della voce che esce dal corpo, ma della voce che si fa corpo. Se accogliamo questo principio, potremmo anche accettare il fatto che ciascuno di noi è al di là del nome proprio: oltre che Maria, Giovanna o Carlo, saremo anche una bocca, un orecchio, una mano, e così via… Da questo punto di vista, per me Dylan Dog, è il suo naso. Non a caso Dylan è l’unico personaggio che disegno partendo dal naso, invece che dagli occhi. Il naso di Dylan è dunque il dettaglio intorno a cui configuro e delineo la caratterizzazione fisica, quindi “spirituale”, poiché non credo in una separazione anima-corpo che non sia di matrice platonica.

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Quanto c’è dell’originale ispirazione da Rupert Everett nella tua interpretazione?
Rupert Everett, incarna uno degli archetipi interni al mio modo di concepire la figura maschile. Il fatto che il riferimento originario di Dylan Dog fosse proprio Rupert Everett, forse rappresenta la quadratura di una circolarità che mi piace immaginare a raggio infinito.

Se dovessi definire il tuo Dylan Dog, come lo faresti, cosa nel tuo modo di disegnarlo cerchi di fare emergere?
La mia interpretazione di Dylan Dog rappresenta il tentativo di intercettare e rendere evidente quanto il personaggio stesso chiede ad ogni autore di porre in valore.

Quale è l’episodio da te disegnato al qual sei più affezionato e perché?
Con ogni storia di Dylan Dog stabilisco un rapporto amorevole. Questa è la condizione indispensabile per poter realizzare qualsiasi opera che implichi un travaso di linfa vitale, come ogni fumetto esige: forse nulla è più difficile che concepire e realizzare un fumetto. Perciò mi risulta molto difficile, se non impossibile, stabilire una preferenza.

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Qual è il disegnatore che secondo te fornisce la migliore interpretazione grafica di Dylan Dog?
Dylan Dog deve la propria unicità visiva alla diversità stilistica e interpretativa di ogni disegnatore. Paradossale, ma bisogna pur tener conto che il paradosso è uno degli elementi costitutivi dell’universo dylaniato.
Da questo punto di vista è molto difficile, se non impossibile, rispondere alla tua domanda.
Posso dirti che quando iniziai a disegnare Dylan Dog, il mio riferimento principale è stato Angelo Stano, e non poteva essere altrimenti se si tiene conto che Angelo è il disegnatore del primo numero di Dylan, ancorché uno dei miei artisti preferiti.
Angelo, è il disegnatore che ha portato la secessione viennese nel fumetto popolare, l’alleato perfetto della rivoluzione compiuta dal genio assoluto di Tiziano Sclavi.
La “tendenza rivoluzionaria”, a mio avviso, è uno dei principali tratti distintivi di Dylan Dog.
Ciò spiega la mia predilezione per le “interpretazioni rivoluzionarie”, come ad esempio ritengo sia l’opera di Carlo Ambrosini, la cui classicità è in grado di rivoluzionare costantemente il presente traghettandolo in una prospettiva di futuro costante.  E poiché la rivoluzione in Dylan è inarrestabile, come non parlare dei “nuovi rivoluzionari”, quindi della conturbante inquietudine visiva ed estetica di Werther Dell’Edera o del prodigioso virtuosismo di Gigi Cavenago.
Ribadisco, è davvero difficile rispondere a questa domanda.

Sei uno dei disegnatori più “gotici” della testata. A cosa faresti risalire questo approccio così peculiare?
La mia visione, cosiddetta, gotica, potrebbe essere conseguente all’infinità di suggestioni che da sempre mi attraversano, e dal loro modo di organizzarsi da qualche parte in me.

Ultimamente dopo una serie di storie sceneggiate da Paola Barbato e una da Roberto Recchioni, hai iniziato a collaborare con Barbara Baraldi. Quali aspetti ti piace far emergere dalle sue sceneggiature
Esattamente ciò che, in armonia con ogni sceneggiatore, tento di fare emergere: l’anima di Dylan Dog, per l’appunto, ciò che anima il proprio universo.

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Sketch di Nicola Mari realizzato in esclusiva per il nostro speciale Dylan Dog 30°

 

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