Nella prima parte di questo approfondimento abbiamo analizzato il protagonista.
Il Triangolo Perfetto – Sherlock H. Bloch e i suoi rimpiazzi
Bloch non è un personaggio di contorno. È il vertice di un triangolo perfetto che vede Dylan come apice e Groucho come contraltare. È quel portato di disincanto che serve a smussare il romanticismo dell’inquilino di Craven road e la follia del suo assistente. Bloch è l’umanità dolente. È il volto di un reale che non si piega al surreale.
Queste le parole di Roberto Recchioni nell’editoriale di “Mai più, ispettore Bloch”, l’atteso numero sul pensionamento del padre putativo di Dylan.
L’intento è spogliarlo del suo ruolo di tormentone per la serie: Bloch rinasce come persona, si divincola dallo scomodo appellativo di personaggio di supporto e conquista una sua dimensione. Il suo rapporto con una Morte affettuosa, nel numero 338, ci restituisce, in una metafora dylandoghiana, il difficile processamento del lutto per la perdita di un lavoro che lo aveva accompagnato per tutta la vita. L’evidente affetto della Barbato nei suoi confronti, si traduce in pagine semplici e toccanti, e l’ex ispettore assume da subito una dimensione e un respiro diversi.
Tocca a Michele Medda portarci per mano nella sua nuova vita a Wickedford. E qui c’è qualcosa che stona con il processo di umanizzazione: anzitutto il nome stesso della cittadina, quel “wicked” che ostenta un’affiliazione all’orrore che si poteva evitare; quindi la immediata proposizione della “compagna fissa” Penelope, che sa di ingrediente romantico aggiunto ad arte e troppo velocemente; infine un caso del mese inserito più per dovere che per convinzione.
Sarebbe stato forse più interessante introdurre il cambiamento snocciolandolo nei mesi. Si è invece voluto procedere, in sostanza, con la stessa fretta di alcuni serial televisivi procedurali, in cui i cambiamenti di status avvengono “a scalino”, in momenti specifici nel periodo di programmazione, consumandosi velocemente, nella loro interezza, e determinando un riassestamento già dall’episodio successivo, sulla base delle nuove conclusioni raggiunte.
Merita un ulteriore discorso a parte la rivelazione sul nome, quello Sherlock Holmes che campeggia come un macigno nelle prime pagine, insieme con l’analogamente ingombrante rifiuto, da parte dell’old boy, di continuare a farsi chiamare così: li si può prendere come divertiti giochi di negazione della storia della testata, in nome di un’affermazione forte circa l’inizio del nuovo corso (al “vecchio” Dylan sarà difatti associata la nuova formula, “old boy”, dei Maxi). Ma in entrambi i casi si fa fatica a credere che trent’anni di pubblicazioni siano passati senza che due amici fraterni si conoscessero per nome, o che uno dei due confidasse all’altro di non sopportare il proprio appellativo classico, e proprio questo difetto di continuity li fa apparire orpelli forzati e molto meno che necessari.
Il nuovo Bloch, dal numero 339 in poi, continua a frequentare l’indagatore dell’incubo nella sua dimensione di amico, e spalla per la naturale tendenza di Dylan all’autoanalisi. Dylan sfrutta il cambiamento di status dell’ex ispettore come leva per ripensare alla propria personale inabilità a staccarsi da una serie di consuetudini incancrenite, e da questo punto di vista l’operazione funziona, anche se si intravede il rischio di un nuovo cliché.
Molto efficace, comunque, il ruolo di Bloch in “…e cenere tornerai”, dove, insieme con Groucho, veglia su Dylan. Ancora una volta la Barbato mostra la sua sensibilità nel gestire le relazioni fra i comprimari della serie, in quello che è probabilmente il suo numero più riuscito del nuovo corso, nonché una dimostrazione su come utilizzare in futuro l’ex ispettore.
Se dovessimo però sottolineare un volume recente in cui la gestione di Bloch ha particolarmente convinto, “Lacrime di pietra” di Carlo Ambrosini rappresenta la giusta via di congiunzione fra elementi horror e caratterizzazione umana del personaggio, che raramente è apparso così sopraffatto dalle dinamiche della vita. Non è la prima volta che Bloch mostra di essersi innamorato, anzi, già nel meraviglioso “Memorie dall’invisibile” confidava a Dylan di essersi invaghito di una “libera professionista”, ma qui si scava davvero a fondo nel suo cuore, e la sua fisionomia prostrata, su una panchina davanti alla casa di Crispille, colpisce più di mille mostri. Curioso, da questo punto di vista, notare come la pensione non fosse uno strumento così necessario per movimentare efficacemente il personaggio: se si guarda la Isabel di “Ritorno di fiamma”, nel sesto Dylan Dog Old Boy, Bloch viene ugualmente messo alla prova, anzi, assistiamo a un momento molto intenso del suo passato. Peccato che in questo caso Giovanni Di Gregorio abbia voluto “risolvere” la storia con un colpo di scena non necessario, mentre “Lacrime di pietra” mantiene il suo tono sommesso dall’inizio alla fine, ritagliandosi alla perfezione su di lui.
Di Bloch rimangono da sottolineare altri due elementi: la storia lampo ne “La morta non dimentica” con la tassidermista Lauren Stetson, ulteriore dimostrazione di affetto, qui in chiave divertita, da parte della Barbato, che nonostante l’iperbole dell’innamoramento improvviso (che può fare storcere il naso), riesce a mantenersi coerente con il clima da “horror comedy” della puntata.
Il secondo elemento è il filone di Wickedford, che occupa i Dylan Dog Magazine: due storie di qualità molto diverse, per le quali viene soprattutto da chiedersi se non sarebbe stato più consono, forse anche più coraggioso, in omaggio al comprimario, dargli un ruolo da protagonista. In entrambi i casi, invece, è sempre l’indagatore dell’incubo a fare da main character, con giusto un maggiore minutaggio concesso all’ex ispettore.
Intermezzo: Tyron Carpenter e Rania Rakim
Infine, necessario citare i suoi due “rimpiazzi” a Scotland Yard: Tyron Carpenter e Rania Rakim. Al di là delle (piuttosto ovvie) promesse di Recchioni circa l’introduzione di un personaggio che desse finalmente davvero filo da torcere a Dylan nelle sue indagini, rompendo lo schema di comodo dell’ufficioso appoggio incondizionato della polizia, nella realtà pare che si sia proceduti con uno schema molto simile alla clonazione dei Dylan in “Spazio profondo”.
Si potrebbe scomporre Bloch in due componenti sostanziali: lo scetticismo nei confronti della sfera sovrannaturale, che si fa più o meno deciso a seconda delle storie, e una sensibilità e propensione verso il proprio figlioccio Dylan, che costruisce un ponte fra i due e supera l’apparente negazione iniziale.
L’operazione pare aver isolato, con l’effetto di rafforzarli, in due principi, incarnandoli nei due personaggi di Carpenter e della Rakim
Il nuovo ispettore capo Carpenter è una persona buona, ma molto focalizzata sul proprio lavoro e profondamente avversa a interpretazioni della realtà fuori dalla sfera canonica. Il suo blocco nei confronti di tutto ciò che rappresenta l’incubo (e il suo indagatore) è totale, la sua posizione è anti romantica: la sua interpretazione del concetto di “umanità dolente” è un pragmatismo aggressivo, per nulla irrazionale. Tant’è che il naturale contrasto con Dylan viene meno, in certi momenti, quando l’evidenza (forse il suo principale motore interno) costringe Carpenter a constatarne i meriti.
La Rakim, invece, si muove nel versante dell’empatia: ne “Gli spiriti custodi” di Luigi Mignacco la vediamo percepire le presenze della casa teatro degli eventi, e in generale, pur affidandosi sempre a un’interpretazione convenzionale del reale, si dimostra attivamente aperta a soluzioni alternative. Tanto da essere lei a contattare, spesso, Dylan, per avere un punto di vista diverso. Se l’old boy era consultato da Bloch, durante i casi, con una sorta di affettuosa “rassegnazione”, per Rania diviene uno strumento da prendere in considerazione per la sua efficacia.
Il nucleo dei personaggi è tutto in questa loro natura di scomposizione del predecessore: è come se si fosse riconosciuto un sostanziale equilibrio (il triangolo magico, appunto), nella distribuzione dei comprimari della testata, e si fosse cercato di mantenerlo anche dopo aver perturbato le dinamiche con il pensionamento di Bloch.
Le due nuove figure creano vantaggi e problemi.
Per Carpenter il pericolo è che la contrapposizione sia fin troppo semplificata ed esacerbata: in qualche numero il flusso narrativo ne viene rallentato (per esempio in “La morta non dimentica”, con la sfuriata di Carpenter dopo la morte della ragazza del mese Connie). Quando invece si raggiunge un riottoso armistizio fra i due, la cosa funziona: tanto da lasciar prefigurare un gioco a elastico fra scontri e tregue. Se Carpenter tenderà a costruirsi una sua tridimensionalità, pur mantenendo le sue caratteristiche di base, di sicuro le future storie ne trarranno beneficio.
Per Rania il rischio è che il continuo assalto di Dylan nei suoi confronti divenga ben presto un nuovo tormentone sterile. Da questo punto di vista è apparso troppo rapido l’avvicinamento dei due, riproponendo la logica “a scalino” che si è vista nel raggiungimento del nuovo status quo da parte di Bloch. Sarebbe stato meglio, anche qui, procedere per gradi.
Rimane comunque interessante e originale per gli schemi della serie l’introduzione di una comprimaria che faccia da “ideale ragazza fissa” dell’eterno scapolo di Craven road, con la conseguenza di creare spesso triangoli fra lei, lui e la fiamma mensile, che hanno la potenzialità, se ben gestiti, di costituire una movimentazione inedita.
Il Terzo Vertice – Groucho
– Dannazione… Dylan Dog non mi piace, ma il suo assistente mi dà i brividi!
– Non ami la comicità?
– Non amo i pazzi
– Esageri
– Per nulla. Ho fatto fare un controllo su di lui e non sono riuscito a scoprire un bel niente…
– Intendi che è pulito?
– Intendo che nessuno sa nulla di lui, nemmeno il cognome! Non è registrato all’anagrafe, non ha documenti…
– Perché non lo hai fatto arrestare, allora?
– Sembra innocuo… e il nostro sistema giudiziario ha ben altro a cui pensare piuttosto che a un vagabondo che si crede un comico surrealista!
Questo gustosissimo colloquio, a firma Roberto Recchioni, oltre a presentare bene gli approcci alla vita di Carpenter e della Rakim, fornisce una possibile non-presentazione dell’assistente di Dylan Dog.
Groucho è il personaggio meno afferrabile della testata, e lo è da sempre. Seppure Sclavi lo avesse pensato come intermezzo comico, con una funzione di mero relief strumentale al solo ritmo narrativo, con il tempo e con la “continuity involontaria” si è più volte cercato di aggiornarne, o per lo meno inspessirne, lo status.
Il Groucho del nuovo corso non modifica molto le sue già cangianti caratteristiche: se nella maggior parte degli episodi rimane relegato al ruolo di spalla sopra le righe, in qualche occasione riesce a smarcarsi, regalandoci alcune sue versioni decisamente azzeccate.
Ne “Il cuore degli uomini”, ad esempio, Roberto Recchioni (che lo ha spesso definito il demone residente di Craven road) lo rappresenta ostentatamente muto, terribilmente serio, mentre cerca, trova e salva il suo datore di lavoro. L’asciutto richiamo di ordinanza sulla pistola, nel finale, consumato senza battute a corredo (pur al contempo essendo esso stesso una battuta), ce lo restituisce nella dimensione dell’amico preoccupato, filtrata attraverso la sua sensibilità aliena. È forse uno dei momenti più evocativi del nuovo corso: perché realizza le potenzialità di un personaggio che troppo spesso, anche se per esigenze condivisibili di format, viene relegato a un ruolo di contrappunto parentetico dell’azione.
La Barbato, tradizionalmente interessata alla figura di Groucho come confidente, più che sottoposto, di Dylan, ce ne restituisce una efficacissima versione in “…e cenere tornerai”, dove si manifesta, attraverso le trasfigurazioni allucinatorie del suo capo, come angelo custode di Dylan insieme a Bloch. E quando abbassiamo la guardia, nelle pagine finali, lo zampino di Recchioni lo carica di una luce diversa e inquietante che è tanto deflagrante quanto centrata, in una testata che fa del dubbio la propria cifra stilistica.
Il telefonino nelle sue mani e l’introduzione della tecnologia?
È una dimostrazione della malleabilità del personaggio, che diviene naturale ancora di salvataggio per l’introduzione di eventuali temi difficili per la testata.
Di sicuro il rapporto con i mezzi informatici era un punto spinoso dell’attualizzazione di Dylan Dog, perché il protagonista è stato costruito in netta e romantica contrapposizione con ogni possibile aspetto omologante e disumanizzante della realtà: e negli anni ottanta e novanta i computer sono apparsi, a un pre digital divide come Sclavi, al meglio un oggetto misterioso (la magia negativa de “Gli uccisori” viene anche da un computer), al peggio una trappola omologante (a cui Dylan sfugge, ad esempio, ostinandosi alla fisicità retro della penna d’oca e del diario).
Nel mondo di oggi il rapporto con l’accesso alle informazioni è radicalmente cambiato, svestendo (sia pur parzialmente) l’informatica della sua aura demoniaca (che altri non è che un modo per rappresentare la paura per le novità) e assumendo le più neutrali sembianze di strumento. Che Dylan come personaggio mantenga per ora la sua idiosincrasia verso i social network e le tastiere è un vincolo comprensibile. Ma era al contempo necessario introdurre un elemento che portasse nella serie il diverso, e attuale, modo di intendere la tecnologia. E l’assistente è il naturale ricettacolo di una simile visione alternativa.
Il futuro ci dirà se, in virtù di un rapporto più frequente, anche se indiretto, con la tecnologia, si deciderà di portare l’inquilino di Craven road a smussare o rinnegare la sua testarda opposizione. Anche questa è una materia di continuity su lungo periodo che, con l’avanzare degli anni, diventerà probabilmente una necessità.
I dialoghi con Irma sono interessanti in tal senso, quando si situano in bilico fra un’evidenza di elementi abitudinari, innocui e utili (l’etica degli anni 2000), e al contempo mantengono sotto traccia una carica di critica sugli abusi derivanti da un’eccessiva umanizzazione e sulla fiducia aprioristica in quello che dovrebbe rimanere uno dei tanti strumenti a disposizione.
Questi intermezzi, queste dinamiche laterali che condiscono le storie, vanno però dosati con attenzione, cesellandoli in accenni non didascalici. Se gestita male, dandole troppo spazio, Irma potrebbe diventare di fatto un rallentamento, al pari di quanto è accaduto con il robot Host, che in “Orfani Nuovo Mondo” parte con volontà simili (scherzare sull’interattività dei supporti elettronici), ma si rivela poco più di un ridondante elemento di contorno per il percorso tragico degli eroi, vero nucleo della narrazione.
Nel triangolo ideale che ha come altri vertici il romanticismo di Dylan e l’umanità dolente di Bloch, Groucho è la follia, il punto di vista diverso, e diventa spesso la rappresentazione in carne ed ossa del processo intellettivo e delle intuizioni del proprio datore di lavoro, non di rado anticipate da sue battute casuali. Il successo futuro della serie dipenderà anche dalla capacità degli sceneggiatori di utilizzarlo in modi diversi e originali, senza snaturarlo.
Il Quarto pard – Abel Jenkins
Se Groucho è necessario alla serie, a chi scrive Abel Cedric Jenkins è sempre sembrato un componente piuttosto superfluo, soprattutto perché nato per necessità di equilibrio “grafico” fra la coppia costituita da Dylan e dal suo assistente, e l’analoga coppia ispettore assistente a Scotland Yard.
La sua natura esageratamente caricaturale non si è mai irrobustita, come in Groucho, di sottotesti di alcun tipo, relegandolo a comparsate bidimensionali. Bene ha fatto Paola Barbato a dargli maggiore dignità e utilità per la trama, legandolo alla pensione del suo capo e sfruttandolo come grimaldello per aiutare Bloch a superare la depressione post pensionamento. Il nuovo Jenkins non rinnega le sue radici, ma aggiunge una nota di affetto che lo fa crescere e lo rende decisamente più tridimensionale. Tanto che, per la prima volta, arriviamo a dispiacerci per lui, a provare empatia nei suoi confronti.
Secondo Roberto Recchioni Abel sarebbe il quarto pard di un ipotetico quartetto alla Tex, costituito, oltre a lui, da Bloch, Dylan e Groucho. Una tale posse avrebbe senso solo per episodi dalla spiccata vena comedy, e infatti la troviamo nel (discutibilissimo) ingaggio di Dylan all’inizio de La morta non dimentica, quando, per poter pagare l’old boy, Bloch gli si presenta dandogli del lei.
Rimane l’impressione che, nonostante la parziale crescita rispetto al passato, Jenkins sia un tassello eliminabile, e un po’ sovrautilizzato, nella testata.
Fine seconda parte