Nato a Torino nel 1969, laureato al DAMS in “Storia del Cinema Italiano”, Giancarlo Marzano è uno sceneggiatore di fumetti e videomaker. Negli anni Novanta realizza, insieme al fratello Antonio, numerosi cortometraggi, presentati in vari festival e rassegne cinematografiche. È anche autore di filmati istituzionali pubblicitari, videoclip per gruppi musicali e ha collaborato col CPT Rai di Torino. Dal 2004 inizia a collaborare con Sergio Bonelli Editore, in qualità di sceneggiatore per Dylan Dog, esordendo con Le notti di Halloween (storia pubblicata sull'Almanacco della Paura 2004), e per Le Storie.
Intervista a Giancarlo Marzano
A lungo si è pensato a un Dylan Dog indissolubilmente legato a Sclavi. Per te è ancora così nelle “fondamenta” del personaggio? Come ci si muove nell'equilibrio tra ciò che Dylan Dog è nella interpretazione del suo “padre” e quello che di personale un autore cerca sempre di mettere nelle sue opere?
Senz'altro, non si può prescindere dalla visione fornitaci dal “padre”. Ma come tutte le “visioni” è soggetta a interpretazione, quella che ogni autore trae dalle emozioni e dalle esperienze vissute leggendo Dylan Dog, magari da ragazzino. La molteplicità di interpretazioni del personaggio – ognuno ha il suo Dylan Dog, in fondo – è una delle caratteristiche che sono alla base del suo duraturo successo. Per uno sceneggiatore l'equilibrio sta proprio qui, tra ciò che ha assorbito dal Dylan Dog di Tiziano Sclavi e quello che di personale, soggettivo ha elaborato da sé.
Dylan Dog è stato un fenomeno artistico, editoriale e sociale. Nel suo periodo di maggiore successo è stato protagonista di pubblicità, merchandising, ha generato bizzarri epigoni, è stato ospite di riviste a larga diffusione. Sembrava che tutti leggessero Dylan Dog. Come ci si approccia a un personaggio e a un fenomeno del genere senza esserne schiacciati? Fa paura scrivere Dylan Dog?
Paura forse no, ma ci vuole profondo rispetto, questo sì. Rispetto per la sua storia, per il suo creatore, per i suoi lettori. Se si tiene conto di questi fattori, il peso della responsabilità
si fa notevolmente più leggero. (Però confesso che la prima volta che ho scritto per Dylan un po' me la sono fatta sotto).
Qual è l'idea centrale del “tuo” Dylan Dog e cosa lo rende immediatamente riconoscibile e unico?
Non sono un autore che scrive storie “su” Dylan Dog ma “di” Dylan Dog. Più che ai sentimenti e le contraddizioni del protagonista, sono interessato a esplorare quelle degli altri personaggi che compaiono nei miei albi. Spesso ho scritto storie corali, dove Dylan non è il protagonista assoluto. Inoltre lavoro molto sul montaggio delle scene e delle sequenze, mi piace condurre il lettore su piste sicure che solo alla fine si rivelano completamente false, sorprendendolo. Ah, inoltre non dimentico mai che si tratta di un fumetto horror!
Sei entrato nel team di sceneggiatori della serie nel 2002. Come è cambiato da allora a oggi il tuo approccio e la tua interpretazione del personaggio e delle tue storie? Come è maturato il tuo modo di scrivere Dylan Dog e farlo come ti ha influenzato negli altri tuoi lavori?
Ho iniziato praticamente come esordiente assoluto, avendo scritto in precedenza solo per qualche fanzine fumettistica più o meno scalcinata, quindi il “peso” che sentivo sulle spalle era tale che il timore di sbagliare qualcosa, di non inquadrare il personaggio, era quasi paralizzante. Per fortuna, il curatore di Dylan Dog dell'epoca, Mauro Marcheselli, pur bocciandomi una caterva di soggetti, mi ha sempre fornito utili quanto laconici consigli che mi hanno permesso di sciogliermi un po' e soprattutto convinto a non desistere. Di conseguenza, anche il mio approccio è mutato con il tempo, si è creata una certa complicità col personaggio che mi permette di interpretarlo alla mia maniera, ovvero come un eroe, a volte per caso, in grado di compiere piccole e grandi imprese, sì, ma in fondo insicuro e comunque incapace di prendersi troppo sul serio. Negli altri miei lavori, tengo presente tutto ciò e mi diverto a sovvertirlo, tanto in quel caso non c'è nessuno che può venire a dirmi “questo non è Dylan”.
C'è qualcosa che cambieresti in Dylan Dog e qualcosa a cui non rinunceresti mai?
Per pura pigrizia e per la difficoltà di scrivere battute (in-)sensate legate al contesto, cambierei Groucho con un collaboratore muto, magari Gnaghi. Non rinuncerei mai al maggiolino, questo è certo.
Che ruolo ha avuto Dylan Dog nella tua vita?
Diversi. Da lettore, è stato inizialmente un fratello maggiore, da ammirare e un po' invidiare, poi, quando ho iniziato a scriverlo, un amico e un coetaneo con cui scambiare opinioni ed esperienze. Adesso è un fratello minore a cui, a volte, mi viene voglia di dire “non metterti nei guai”.
Dylan è sempre stato un personaggio con una forte aderenza al sociale, le sue storie spesso si sono fatte carico di messaggi sui diritti, l'uguaglianza, la pace, il rispetto per gli animali… Questo pone l'attenzione sul tema della responsabilità dell'autore nei confronti delle sue opere. Cosa significa per te questo tema, in particolare per Dylan Dog?
Un autore è sempre responsabile della sua opera e i cosiddetti “messaggi”, ma anche le provocazioni, devono essere realmente sentiti, altrimenti vengono percepiti come falsi, retorici o “furbetti”. Non è facile, intendiamoci, lanciare messaggi soprattutto in quest'epoca “social” iper smaliziata, dove in apparenza tutti sembrano saperla molto lunga ma finiscono poi per credere a qualsiasi cosa. Dylan non è un personaggio cinico, è un idealista sincero, e così può farsi carico di messaggi etici o sociali, però deve crederci fino in fondo, correndo il rischio di passare per un ingenuo ma di sicuro mai per un ipocrita.
Rendere l'orrore è difficile. La paura, l'irrazionale. Ci sono tante sfumature del genere in Dylan, commistioni. Lo stesso genere è cambiato molto dagli anni Novanta a oggi. Cosa significa scrivere un fumetto horror oggi? Come evolve Dylan Dog in questo?
Sembra banale dirlo, però l'horror è davvero uno specchio deformante e deformato della realtà e del periodo storico che lo elaborano. Scrivere un fumetto horror oggi, come nel passato, significa innanzi tutto sincronizzarsi con il mondo circostante, cercando di capire quali sono gli orrori e le paure proprie e dei lettori. Faccio un esempio, trent'anni fa quando il posto fisso non era una chimera, anzi… l'orrore della vita impiegatizia consisteva nella condanna eterna a reiterare gli stessi identici gesti fino alla morte e oltre. Adesso invece si ammazzerebbe per averlo, quel posto, o per non perderlo. Stesso tema – il lavoro – ma due approcci horror opposti. Dylan Dog, da questo punto di vista, mi sembra abbastanza ben sincronizzato con i tempi, pur non rinnegando mai totalmente il suo passato.
Intervista realizzata via mail nel mese di settembre 2016.