Quella che trovate di seguito è una recensione del film di The Spirit (2008) apparsa originariamente il 16 gennaio 2009 sul sito N.d.T. – La nota del traduttore, rivista on line sulla traduzione letteraria.
Il suo autore, Andrea Plazzi, nel concederci gentilmente la ripubblicazione nell’ambito dello speciale che Lo Spazio Bianco dedica ai settantacinque anni di vita editoriale del personaggio di Will Eisner, ha attualizzato i tempi verbali dell’articolo, lasciando però intatti i riferimenti citati (film, etc.)
Il film The Spirit, tratto dalle storie del personaggio-culto di Will Eisner e diretto da Frank Miller, l’acclamato autore di Sin City e 300, uscì in buona parte del mondo il giorno di Natale 2008.
Contrariamente a quanto decine di blog statunitensi di cinema e fumetto si affrettarono a scrivere quasi all’unanimità sin dal tardo pomeriggio del 25 dicembre, forse Will Eisner non si è rivoltato nella tomba.
Dopo un malaugurato TV-movie di Spirit degli anni Ottanta, “fortunatamente dimenticato” dai più (l’espressione è sua), Eisner non aveva mai avuto un grande interesse negli adattamenti di fumetti per il cinema, soprattutto se i fumetti erano i suoi. E non aveva cambiato idea neanche dopo i primi titoli precursori degli attuali cinecomics, come Blade (1998), X-Men (1999) o lo stesso Spider-Man di Sam Raimi (2000), che dimostravano come le allora “nuove tecnologie” consentissero in linea di principio di rappresentare credibilmente sul grande schermo storie e personaggi provenienti da un linguaggio diverso e da contesti narrativi (la mitologia del supereroe) che richiedevano al lettore una grado elevatissimo di sospensione dell’incredulità.
Per anni Eisner aveva rifiutato offerte più o meno improbabili per The Spirit, cedendo infine a Michael Uslan, storico produttore del Batman cinematografico moderno, da Batman di Tim Burton (1989) a The Dark Knight di Christopher Nolan (2008). Per Uslan, appassionatissimo ed esperto di fumetto, fondatore e docente di corsi accademici di livello universitario sui comic books, era come vedersi consegnare il giocattolo per eccellenza: The Spirit, scritto e disegnato dal 1940 al 1952 da un Eisner giovane e già fuoriclasse, è unanimemente considerato il primo fumetto dell’era moderna, e uno dei migliori di sempre. Le sue soluzioni grafiche e narrative sono considerate ancora oggi la bibbia di chi fa fumetti: sono celebri le splash page d’apertura delle storie, sempre diverse, e Eisner è considerato un maestro del racconto breve, da lui portato a livelli di altissima eccellenza con le brevi section di Spirit, storie di 7-8 pagine che comparivano sui supplementi domenicali dei quotidiani.
Non solo. In anticipo sui tempi (o forse, più dei colleghi fumettisti del’epoca, al passo con i suoi tempi), Eisner realizzava The Spirit con un gusto da sempre considerato “cinematografico”, con tagli e inquadrature pionieristici e inediti sulla pagina a fumetti. Negli anni, si è sempre schernito sostenendo che lui, al cinema, aveva rubato e non dato e che, se mai, la sua formazione era teatrale, ricordando i tanti pomeriggi nel buio di una sala, durante l’adolescenza negli anni Trenta, a guardare e riguardare i film di Fritz Lang e di Theodor Dreyer, e i tanti palcoscenici di teatrini yiddish su cui aveva seguito il padre, pittore di fondali e scenografie. Ciononostante, il nome a cui viene accostato più spesso è quello del quasi coetaneo Orson Welles, autore da lui amatissimo, e l’elenco dei registi che riconoscono in Eisner un’influenza importante va da William Friedkin (Il braccio violento della legge, L’Esorcista) a Brad Bird (Il Gigante di ferro, Gli Incredibili, Ratatouille).
Questo per dire che, sulla carta, le affinità tra il cinema e Eisner – e in particolare The Spirit – c’erano tutte ma, in pratica, l’autore non le ha mai riconosciute fino in fondo, rivendicando, anzi, l’autonomia e l’originalità del fumetto, amatissimo linguaggio d’elezione. Nonostante la differenza stellare tra le tecnologie disponibili negli anni 2000 e quelle di venti anni prima, si può quindi pensare che non si aspettasse molto neanche da questo nuovo tentativo di portare The Spirit sul grande schermo, e che l’avrebbe preso con filosofia.
Gli spettatori invece – e certamente i lettori di fumetti – si aspettavano molto di più da Frank Miller.
Trama e personaggi del film riprendono con qualche licenza numerosi elementi eisneriani. L’ambiente è la fittizia Central City, in tutto e per tutto la New York amatissima sia da Eisner che da Miller. Il poliziotto Denny Colt sopravvive a un agguato e, creduto morto da tutti, riprende la sua lotta senza quartiere contro il crimine e la corruzione nei panni di Spirit.
L’arcinemico di turno, il perfido Octopus, è deciso a diventare definitivamente immortale impossessandosi di un antica anfora contenente “il sangue di Eracle” ma uno scambio di casse lo pone in rotta di collisione con Sand Saref, nota ma inafferrabile ladra internazionale. Sand è il primo amore di Spirit, una ragazzina che anni prima se n’era andata da Central City dopo essere cresciuta insieme a lui, per poi ritrovarsi indurita e delusa dalla vita e dalla giustizia dopo l’omicidio del padre (e sì, questo potrebbe ricordarvi qualcosa: Miller ha sempre dichiarato di avere “copiato Eisner spudoratamente” nel creare Elektra, il suo personaggio più noto).
I due si ritrovano e volano scintille, anche perché Spirit è un’autentica calamita per le donne e il film riprende tutti i personaggi più conturbanti del pantheon eisneriano di dark ladies e femmes fatales: dal sensuale angelo della morte Lorelei Lox (in originale, una sirena) a Silken Floss, assistente di Octopus (in originale, una scienziata contesa dai servizi segreti di mezzo mondo), passando per Ellen Dolan, fidanzata inconsolabile di Denny Colt che ancora non sa chi sia veramente Spirit.
Tra le licenze di cui sopra, quella più contestata fan è la figura di Octopus, che in originale è misteriosissima e inquietante: non compare mai e se ne vedono sempre e soltanto le mani guantate che emergono dal buio, eseguendo ogni genere di efferatezze. Miller ha invece voluto espressamente farne uno sguaiato e improbabile cattivone quanto mai sopra le righe, che disquisisce perennemente ad alta voce di qualsiasi cosa.
The Spirit non è un film riuscito e, in ogni caso, non è piaciuto per nulla al pubblico a cui si rivolgeva.
Certamente, ha deluso la sua base di riferimento di conoscitori di Eisner e del fumetto originale. Una nicchia piccola ma in grado di garantire un importante effetto di passa-parola, fondamentale per questo tipo di film.
L’umorismo sardonico e dissacrante di Miller, più vicino ai suoi pigmalioni cinematografici Robert Rodriguez e Quentin Tarantino, è decisamente troppo iperbolico e pieno di sé (Octopus in uniforme nazista che scioglie un gatto…?) per reggere il confronto con l’impareggiabile leggerezza dello humor eisneriano, uno dei tratti più amati di The Spirit.
E l’ansia di padroneggiare tecnicamente il film, per esempio con la spettacolare – e riuscita – ricostruzione di una Central City favolosa e fuori dal tempo, in cui convivono anni Quaranta e telefoni cellulari, ha giocato un brutto scherzo a Miller, a suo tempo uno degli sceneggiatori più innovativi del fumetto moderno: la storia – semplicemente – gli è sfuggita di mano. E lo spettatore “generico” a cui una produzione dal budget medio-alto deve necessariamente rivolgersi si è ritrovato stordito da una coreografia confusa di effetti speciali e di scene a effetto dal sapore fumettistico (come la tutto sommato divertente trovata dei cloni al servizio di Octopus) che non contribuiscono al senso compiuto della vicenda.
Quello di Miller appare un peccato di presunzione, se non un delirio di onnipotenza, senza scomodare Freud (a suo tempo, c’è chi parlò di “uccisione del padre”). Lo riassume bene Adam McGovern, saggista, studioso di cultura popolare e storico del fumetto:
“Il problema di tante produzioni è che cercano di spacciare la pesantezza per profondità. Non esiste questo problema con Frank Miller, che rinuncia a consequenzialità e senso compiuto a favore del puro stile, servito a palate sul piatto del grande schermo, in un Teatro dell’Assurdo dal budget milionario eretto sui resti mai così spogli della creazione di Eisner. Non esiste un vocabolario narrativo né cognitivo per ciò che Miller ha fatto, e anche se questo non costituisce in alcun modo qualcosa di buono in sé, sarebbe troppo semplice e troppo presto per affermare che è una pessima cosa. Se parliamo di una trama raffazzonata e di una fotografia con ambizioni pittoriche, si può fare certamente di meglio, ma in termini di exploit supereroistici dal sottotesto ridotto ai minimi termini e brutalmente spettacolari, si fa solitamente di ben peggio, e certamente peggio di quanto avrete sentito a proposito di questo film.”
In altri termini,
“(…) troppo vero per essere un classico del camp e troppo camp per essere veramente interessante.”
Un’osservazione che fa capire perché The Spirit viene già citato come esempio su come non si ricavano film da fumetti, insieme ai tristemente noti Batman Forever e Batman e Robin.
Gli esiti di Miller sono sostanzialmente immaturi, e questo è certamente un piccolo mistero in sé: Miller è l’autore che come pochi altri dopo Eisner stesso ha contribuito a svecchiare il fumetto, facendolo entrare nell’età adulta e inserendo in maniera credibile nella cornice del comic-book argomenti come sesso, violenza e querelle politica.
Indeciso tra il suddetto camp, il film noir d’epoca e la caricatura pura e semplice, con The Spirit Miller rimbalza dall’uno all’altro, incapace di scegliere e con effetti a tratti sconcertanti.
Non tutto il film è così, ma questo non basta a salvarlo, come osserva il blogger Garrie Burr, ricordando una classica storia di Spirit, la preferita dallo stesso Eisner:
“Le parti più divertenti lo sono davvero molto (…) e il film s’impantana nelle scene fin troppo numerose riempite da dialoghi noiosi che proseguono all’infinito (…).
A causa di questo e delle pessime recensioni che hanno accolto il film, nessuno saprà che Miller, come il Gerhard Shnobble di Eisner, in questo film sapeva volare. Ma lo ha fatto troppo poche volte.”
Il Frank Miller fumettista, disegnatore efficace e story-boarder inarrivabile, sembra catturare assai meglio su carta non solo lo spirito eisneriano originale ma anche quello che – probabilmente – voleva dare al film. E i titoli di coda ci concedono una fuggevole occhiata a schizzi e studi dello splendido art book del film, che ci conferma nel nostro dubbio: cosa è successo a Frank Miller?
Un ringraziamento all’autore per averci concesso la ripubblicazione di questo articolo