Intendiamoci subito: a me Will Eisner è sempre piaciuto, da quando l’ho scoperto sulle pagine di Linus e poi di Eureka, le prime riviste che pubblicarono il suo Spirit in Italia. Voglio qui, tuttavia, fare un apprezzamento critico dello stile di Eisner, dagli esordi alle ultime prove nel sub-genre dei graphic novels.
Eisner crea il suo primo fumetto a 17 anni, nel 1934. Si tratta di Sketched from Life, realizzato per una brochure pubblicitaria. L’anno seguente, per il giornalino della De Witt Clinton High School, crea delle strisce umoristiche il cui stile è decisamente influenzato da quello dei cartoonists più in voga al tempo, primo tra tutti l’E. C. Segar di Popeye. Ancora nel 1935 decide di diventare disegnatore professionista, e crea la striscia Dopey and the Duke, ancora umoristica, e Harry Carey, un noir che sta a metà tra il Secret Agent X-9 di Alex Raymond e il Dick Tracy di Chester Gould. Ovviamente non ha la forza di questi due colossi, e di nuovo il disegno che pure inizia a mostrare un uso competente del chiaroscuro, appare ancora un po’ troppo pupazzettistico.
Un decisivo balzo in avanti viene compiuto nel momento in cui Eisner si associa con Samuel Maxwell “Jerry” Iger, iniziando a produrre storie per varie case editrici di comic books. Curiosamente, le cose migliori che l’artista di Brooklyn realizza in questo periodo appaiono inizialmente oltreoceano. Pur se iniziata nel luglio 1936 sulle pagine di Wow—What a Magazine! dell’editore Henle con il titolo The Flame e poi pubblicata su quelle di Feature Funnies della Quality Comics, la saga corsara di Hawks of the Seas “emigra” infatti ben presto su quelle del periodico britannico Wags, dove appare nella forma di una sorta di “tavola settimanale” in bianco e nero, al pari dello spionistico Espionage Starring Black X (o Black Ace). Queste tavole, che hanno di media 11 vignette ciascuna, sono uno splendido compromesso tra la newspaper strip e la pagina di comic book (negli USA verranno poi proposte, spesso rimontate e a colori, da editrici quali Fiction House e Quality), e testimoniano di come, nell’arco di appena un anno, Eisner abbia assimilato appieno la lezione di Milton Caniff e Noel Sickles, elaborando uno stile dinamico e assai efficace per raccontare storie “adulte”. Non altrettanto soddisfacente risulta, invece, la sua unica, vera sortita nell’ambito supereroistico, con quel Wonder Man che viene “bloccato” dalla DC Comics dopo una sola apparizione con l’accusa di plagio nei confronti di Superman.
Quando, lasciato Iger e messosi in società con il boss della Quality Everett “Busy” Arnold, crea The Spirit, Eisner compie un altro, decisivo passo avanti. Il suo sogno di diventare un newspaper strip artist si avvera, eppure The Spirit conserva la struttura della storia realizzata per i comic books, trasferendosi in un supplemento settimanale ospitato da alcuni quotidiani USA. L’idea iniziale di Eisner è di dar vita a una serie senza personaggio fisso sull’esempio dei racconti di Ring Lardner, ma Arnold vuole invece che Eisner crei un eroe mascherato. Rifiutandosi di dar forma a un altro super-eroe, Eisner arriva a un compromesso: il suo masked hero è un detective ufficialmente morto e sepolto ma “resuscitato” e tornato in attività in incognito, con un rifugio scavato sotto il cimitero di Wildwood, un ragazzo di colore come “spalla” e un’auto volante. Stilisticamente, il primo Spirit non si discosta molto dalle precedenti opere di Eisner, né – strutturalmente parlando – dalle storie che appaiono sui comic books. Non c’è, infatti, uno splash panel, né tantomeno una splash page, cosicché ciascuna tavola conta fino a 11 vignette, con qualche raro “debordamento” e taglio longitudinale. La section del 7 luglio 1940 (la sesta della serie, iniziata il 2 giugno) è la prima ad aprirsi con un “vignettone”, che si allarga ancora a partire dalla settimana successiva. Dall’autunno 1940 Eisner comincia a “giocare” con la titolatura The Spirit, che per la prima volta appare “stereoscopica” il 22 settembre. La prima splash page memorabile è quella dell’8 dicembre 1940, che peraltro introduce una trama decisamente oscura (La casa stregata).
Eisner continua la sua sperimentazione grafica nel momento in cui ha inizio anche la versione quotidiana di The Spirit, il 13 ottobre 1941. Per certi versi, lo Spirit giornaliero va oltre rispetto alle sections settimanali. Eisner, infatti, cerca di “rompere” la gabbia delle quattro vignette canoniche con inquadrature multiple, “tagli” longitudinali, “viste” dall’alto e pura azione senza dialoghi. L’assenza del colore gli dà poi la possibilità di sfruttare al meglio le campiture nere e il chiaroscuro, che affianca all’uso del retino tipografico. Anche la gestione delle trame è inusuale per una striscia quotidiana, con una continuity “spezzata”, caratterizzata da continui cambi di setting. Questo, tuttavia, non è gradito al direttore editoriale del Philadelphia Record (tra i principali quotidiani che pubblicano la strip), il quale in una lettera del 28 ottobre 1941, si lamenta del fatto che la strip sia “difficile da seguire da un giorno all’altro a causa delle trame complicate”. Il 23 marzo 1942 Henry P. Martin, Jr., manager del Register & Tribune Syndicate, che distribuisce la striscia, ritiene “consigliabile eliminare le inquadrature inconsuete, che troppe volte confondono e rallentano il lettore. Più semplice è la strip, più facile sarà da leggere”. La goccia che fa traboccare il vaso è forse la striscia del 3 gennaio 1942, che Eisner imposta come un’unica vignetta senza bordi, visualizzando sulla sinistra un giornale e delle impronte nella neve e sulla destra The Spirit, esanime. Una strip assolutamente innovativa, che tuttavia non piace agli editors, i quali ancora una volta frustrano le velleità innovative di Eisner. Non è un caso che le strisce successive risultino decisamente più convenzionali, fino all’ultima sulla quale Eisner lascia la sua impronta, il 29 maggio 1943, quando in realtà già da un anno presta servizio militare. Lo affianca e poi lo sostituisce il pur bravo Lou Fine, il quale purtroppo cade ben presto in balìa di mediocri inchiostratori.
Mentre è di stanza al campo di addestramento di Aberdeen nel Maryland e poi al Pentagono, Eisner si concentra su illustrazioni e fumetti realizzati per le truppe. La sua strip più celebre di questo periodo è incentrata sul soldato imbranato e pasticcione Joe Dope, e come il resto, nel contenuto e nella grafica, ha un taglio decisamente umoristico. Per quanto deliziosa, la grafica è sospesa tra il realistico, il caricaturale e il grottesco, e questa impostazione ha influenzato notevolmente molte delle opere successive di Eisner, pur con alcune eclatanti eccezioni.
Nel momento in cui, dopo il congedo, Eisner torna a realizzare la sezione settimanale di The Spirit (la prima del nuovo corso è datata 23 dicembre 1945), il suo stile si è infatti cristallizzato su quello che risulta essere in molti casi un qualcosa a metà tra una stilizzazione realistico-espressionista e una sistematica caricaturizzazione di molti comprimari. Anche i personaggi femminili, nel ritrarre i quali Eisner è peraltro un maestro, appaiono meno realistici rispetto a quelli degli anni pre-bellici. L’intervento alle matite di John Spranger fino al 2 febbraio 1947 contribuisce ancor più a un arrotondamento del tratto, che in ultima analisi “sgonfia” le atmosfere di suspense. Le trame si adattano a questo stato di cose, anche se storie quali The Last Trolley (24 marzo 1946), Who Killed Cox Robin? (4 agosto 1946) e Meet P’Gell (6 ottobre 1946) sono dei piccoli capolavori di tongue-in-cheek noir.
Gli anni 1947-49 sono forse i migliori di Eisner e di The Spirit, dal punto di vista artistico e narrativo. Non è da sottovalutare l’input grafico di Abe Kanegson, eccellente letterista ma anche inventivo layout man (la creatività di molte titolature è da ascrivere soprattutto a lui) e di Jerry Grandenetti, responsabile primariamente degli sfondi, con tutta una serie di edifici, ritratti dalle angolazioni e con le prospettive più varie. Una storia paradigmatica di questo periodo è The Fortune (11 maggio 1947), della quale è protagonista una splendida ragazza bionda paranoica che paventa di essere uccisa dal suo folle cugino in una grande casa, mentre fuori piove a dirotto. Dal punto di vista grafico, Showdown with the Octopus (24 agosto 1947), che presenta uno degli arci-nemici del detective mascherato, offre un uso intensivo della campitura nera e una frammentazione delle vignette che rendono decisamente più tangibile la tensione.
Nel momento in cui dà vita a trame segnatamente “tese”, tuttavia, Eisner avverte sempre il bisogno di stemperare l’inquietudine che esse generano nel lettore con altre dal piglio quasi umoristico, come quelle afferenti alla parodistica sottoserie delle Spirit’s Favorite Fairy Tales for Juvenile Delinquents. Singolare è che storie come queste si alternino agli adattamenti di impianto decisamente orrorifico dei racconti The Thing di Ambrose Bierce (25 luglio 1948) e The Fall of the House of Usher di Edgar Allan Poe (22 agosto 1948), disegnate a tre mani da Eisner, Grandenetti e Kanegson, così come le prime dieci, splendide avventure di The Secret Files of Dr. Drew, che appaiono sull’albo Rangers Comics nel 1949-50. A volte, poi, grottesco e crudezza si mescolano al meglio, come in The Story of Gerhard Shnobble (5 settembre 1948), l’omino che sapeva volare. In questi anni anche i personaggi femminili tornano a essere più credibili e carismatici. È il caso della già menzionata P’Gell; della bionda dalla voce distruttiva Lorelei Rox (19 settembre 1948); della sensuale e letale Plaster of Paris (7 novembre 1948); o di Silk Satin, una vecchia conoscenza di Spirit che torna in tutto il suo splendore il 12 giugno 1949, in una storia tropicale fatta di luci, ombre e vento.
A partire dalla metà del 1951 Eisner si disinteressa di The Spirit, che affida a vari assistenti, tra i quali spicca ancora Grandenetti. Priva del suo input, e nonostante le belle trame scritte da Jules Feiffer, la serie settimanale giungerà alla sua naturale conclusione il 5 ottobre 1952, dopo aver vissuto un’ultima e gloriosa, ancorché breve, pagina con gli episodi di The Spirit in Outer Space, disegnati per larga parte dal sublime Wally Wood. Eisner preferisce dedicarsi alle varie iniziative della American Visuals, lo studio che ha fondato alla fine degli anni Quaranta. Dopo gli insuccessi di Nubbin (una striscia inedita incentrata su un piccolo lustrascarpe) e degli albi Baseball Comics e Kewpies Comics, Eisner decide di abbandonare il fumetto in quanto tale volgendo la sua attenzione ai comics a sfondo commerciale e promozionale. Il suo maggiore impegno è rappresentato dalla rivista PS – The Preventive Maintenance Monthly, che realizza per l’Esercito USA. Qui riprende Joe Dope ed esegue tutta una serie di illustrazioni, usando nuovamente quello stile semi-grottesco dal quale si era solo in parte allontanato nella seconda parte degli anni Quaranta. Di fatto, Eisner scompare dalla scena fumettistica per 15 anni, emergendo di nuovo quando le editrici Harvey e Kitchen Sink decidono di riproporre il suo Spirit. Per il primo numero della collana della Harvey (1966), Eisner realizza un interessante remake delle origini di The Spirit, dimostrando di non aver affatto perso la mano. Ma ancor più interessanti sono le quattro tavole a mezzatinta realizzate nel 1973 per la Kitchen Sink. Poiché appaiono su un albo underground, non soggetto ai rigorosi vincoli del Comics Code, Eisner si può permettere di inserirvi un tema scottante come l’omosessualità femminile. L’ironia non manca, ma è questa, forse, la più “adulta” tra le storie di The Spirit mai realizzata dall’artista americano.
Eisner torna definitivamente al fumetto nel 1978, ma il sessantunenne genio di Brooklyn sceglie di farlo con la modalità del graphic novel, presente in modo sporadico sul mercato USA sin dal 1950. Con A Contract with God and Other Tenement Stories Eisner realizza di fatto un romanzo per immagini a episodi, mostrando al mondo in che cosa consiste quella che egli ha definito sequential art. Racconta quattro storie di uomini e donne nel contesto di quella città che anche in The Spirit rappresentava spesso l’epicentro delle trame, ma che adesso sembra vivere di vita propria, assurgendo al ruolo di ulteriore co-protagonista. Il target è ora decisamente adulto, così come lo sono i temi. Il disegno, perfetta miscela di china e mezzatinta, è una versione modernizzata di quel realismo stilizzato già sperimentato nei migliori anni di The Spirit, ma adesso non appare più come un compromesso non sempre riuscito. È invece perfetto per narrare queste vicende nelle quali l’ironia, quando c’è, è decisamente amara, e dà luogo a un efficacissimo effetto straniante contrappuntando la trama. Eisner attinge ovviamente alle proprie esperienze, e anche quando è più compiutamente autobiografico (come in The Dreamer, 1986, dove racconta dei suoi esordi artistici) lo fa con quel necessario distacco che gli consente di riorganizzare i ricordi in modo creativo e credibile. L’apice viene probabilmente raggiunto con To the Heart of the Storm (1991), graphic novel anch’esso autobiografico, dove sviscera il delicato tema dei pregiudizi etnici e razziali negli USA durante gli anni di guerra. Le radici ebraiche, del resto, sono un altro dei capisaldi di quest’ultima parte dell’opera di Eisner, e gli danno modo di narrare storie quali Fagin the Jew (2003), singolare rivisitazione dell’Oliver Twist di Charles Dickens, e The Plot (2005), dove racconta con dovizia di dettagli dei falsi Protocolli dei Savi di Sion, fabbricati dalla polizia zarista per documentare un fantomatico piano ebraico per arrivare al dominio del mondo. In parallelo con i graphic novel “seri” e in bianco e nero, Eisner realizza anche i cosiddetti Will Eisner Classics, ovvero alcuni originali adattamenti a colori di opere letterarie e fiabe, quali The Princess and the Frog (1999), The Last Knight: An Introduction to Don Quixote (2000) e Moby Dick (2001).
Eisner è attivissimo fino a pochi giorni prima della sua scomparsa, avvenuta mentre si appresta a compiere 88 anni, ed è stupefacente, osservando i suoi ultimi lavori, constatare l’intatta freschezza del suo tratto e la lucidità della sua visione grafica. Nei suoi “romanzi per immagini”, infatti, Eisner si è liberato definitivamente dei vincoli imposti da strisce e comic books, giungendo alla perfetta sintesi testuale-iconica. L’onestà intellettuale di Eisner si riflette perfettamente nella sua opera, soprattutto nella sua ultima fase. Egli ribadisce infatti tra le righe che il segreto di una buona storia a fumetti sta nella sincronica compenetrazione tra dialoghi, didascalie e immagini e, anche e soprattutto, nella sua leggibilità. Alla lezione di Eisner, in questo senso, dovrebbero attingere i molti, troppi “affastellatori” che oggi riempiono le pagine dei comic books con ipercinetiche quanto improbabili figure guarnite da inutili tratteggi. Tanto più posticcio appare il loro presunto (e presuntuoso) iperrealismo rispetto alla splendida, riuscitissima “realistica finzione” di Will Eisner.
Anonimo
21 Ottobre 2015 a 20:50
Io trovo che la prima cifra stilistica di Eisner (non del tutto realistica, non del tutto comica), abbia fortemente influenzato i disegnatori dei comic book degli anni quaranta. Molti autori, del resto, venivano dal suo studio (come Jack Kirby). Anche se il capostipite di questo stile, più di Eisner, è Roy Crane. Poi i comic book hanno preso una comoda svolta fotografica, prima con Don Barry e poi con Neal Adams (al quale si ispirano, indirettamente, molti disegnatori di oggi). L’ultimo Eisner, invece, mi pare noioso nei testi e non così originale nei disegni, ormai semplicemente comici. In pratica, si è persa la sintesi, per me perfetta, tra “realismo” e “comicità”. Salvo eccezioni, come il grande Bruce Timm.
Sauro Pennacchioli
David Padovani
22 Ottobre 2015 a 14:23
Grazie Sauro per la tua osservazione.
Indubbiamente, Eisner continua ancora oggi a influenzare molti autori di fumetti, come si evince anche dalle interviste ai disegnatori che hanno voluto omaggiare The Spirit nel nostro speciale. È altrettanto vero che, come dici tu, figure come quella di Neal Adams siano state ugualmente importanti per il fumetto statunitense. Forse, se mi permetti, credo che il lascito di Eisner al linguaggio del fumetto sia più universale rispetto ai nomi da te citati: credo che l’intero fumetto occidentale e non solo statunitense abbia guardato e continui a farlo alla lezione di Eisner come a un riferimento fondamentale, quasi una sorta di “libro di testo” di questo meraviglioso media che ci appassiona.
Anonimo
22 Ottobre 2015 a 16:13
Sì, come dicevo, Eisner e molti altri autori dei comic book, almeno fino agli anni sessanta, hanno seguito una via di mezzo tra il realistico e il comico (io direi che hanno usato un segno molto stilizzato). In questo modo hanno portato avanti, come Hergé in Belgio, il discorso del fumetto sindacato nato comico alla fine dell’ottocento e poi diventato sempre più realistico con il Captain Easy di Roy Crane, pur rimanendo sempre comico. Le strip, invece, dagli anni trenta dinventano quasi tutte molto realistiche, a volte anche “fotografiche”, dopo il Tarzan di Foster. Realismo che la Dc tenta di inserire anche nei comic book prima negli anni cinquanta, chiedendo agli autori di ispirarsi a Dan Barry, e poi negli anni sessanta, con Neal Adams, che porta lo stile delle strip dell’epoca (più fotografico che mai). La Marvel, con Kirby e Ditko, è ancora “stlizzata”, ma negli anni settanta si adegua anche lei. Il risultato è che oggi impera in tutto il mondo lo stile fotografico (si veda anche la nostra Bonelli). Io trovo invece che il disegno stilizzato, quello dello Spirit di Eisner, sia l’ideale per il fumetto. Il Batman di Neal Adams è bellissimo, ma non è affatto credibile per il suo realismo. Invece il Batman di Bruce Timm, in Mad Love, è perfettamente credibile nel suo non essere né realistico né comico. Lo stesso penso di Magnus, grandissimo in Kriminal (anche se ancora acerbo) quando coniugava realismo e comicità, meno originale quando è diventato o comico (La compagnia della forca) o realistico (il Texone). Questo punto, secondo me, è centrale nel fumetto moderno, che ha ormai preso una deriva ultrarealistica da una parte e puramente comica dall’altra… a me piaceva molto di più il fumetto stilizzato di Blake e Mortimer, dei Fantastici Quattro di Kirby e dell’Uomo Ragno di Ditko. Per questo dico che Eisner è stato un maestro con Spirit, uno dei tanti con le graphic novel.
Sauro
David Padovani
23 Ottobre 2015 a 12:37
Personalmente credo che il valore dell’ultimo periodo della carriera di Eisner, quello che copre gli ultimi ventisette anni della sua esistenza e che l’autore dedica alla realizzazione dei suoi romanzi grafici, sia da ricercarsi su due livelli. Da una parte, più soggettiva, nella sintesi dello stile che Eisner riesce a ottenere, affinando tutti quegli strumenti del linguaggio del fumetto che aveva sperimentato e usato sin dai tempi di The Spirit: il lettering, la griglia, la didascalia, etc.
Dall’altra, da un punto di vista più ampio, le graphic novel eisneriane segnano il momento in cui il fumetto assume su di sè piena dignità di genere letterario, dimostrandosi capace di abbracciare orizzonti narrativi e di significato più ampi di quelli fino ad allora raggiunti.
Anonimo
23 Ottobre 2015 a 13:05
Mah, a me non interessano in particolare le cosiddette “graphic novel”, ritenendo che l’originaria anima popolare del fumetto non infici affatto il suo spessore artistico. Comuque, parlando di graphic novel in sesnso stretto, credo che Eisner (indiscussa maestria tecnica a parte) non raggiunga lo spessore di Spiegelman in Maus o di Satrapi in Persepolis. Le graphic novel di Eisner mi paiono più ambiziose che riuscite, e legate a canoni di romanzi piuttosto datati, per questo le reputo noiose.
Sauro
Anonimo
23 Ottobre 2015 a 13:34
Le graphic novel interessanti di Eisner sono le storie di Spirit del dopoguerra. Mentre le storie di Spirit dei primi anni sono sempre riuscite, perché seguono al meglio gli schemi convenzionali dei comic book coevi, quelle della seconda metà degli anni quaranta sono per lo più cannate, perché, appunto, Eisner sperimentava qualcosa di nuovo. Quando però Eisner azzeccava una di queste ultime storie, arriva il capolavoro. Penso, per esempio, all’episodio di quell’uomo mediocre che, durante la guerra, finisce in Francia e diventa un eroe partigiano. Al ritorno in patria, viene disprezzato più di prima. Non ricordo il titolo: è quella storia vista in soggettiva vista con gli occhi del protagonista. L’episodio centra perfettamente il sentimento di molti partigiani reali che, in Italia, si sono sentiti traditi nel ritorno alla normalità. Questi erano per lo più comunisti, ma la la stessa cosa era accaduta agli arditi, cioè i volontari delle prime linee, che dopo la prima guerra mondiale, rifiutando anch’essi il ritorno alla normalità, diedero vita alla “rivoluzione” fascista. L’elemento psicologico era lo stesso, anche se quello ideologico era opposto. Se, quindi, qui Eisner ha colto in pieno un meccanismo psicologico che un americano di quel periodo difficilmente poteva conoscere, nelle graphic novel vere e proprie più recenti vediamo un autore invecchiato e ormai poco creativo che va a riproporre dei drammoni alla Faulkner, lo scrittore di grido della sua giovinezza, offrendoci sentimenti troppo carichi e intrecci poco convincenti.
Sauro
David Padovani
23 Ottobre 2015 a 16:51
Sauro, è una bella cosa quando su uno stesso tema possono confrontarsi punti di vista differenti, anche opposti: ti ringraziamo per questi tuoi commenti!
La mia opinione sulle graphic novel di Eisner si allontana dalla tua: a mio avviso, in quelle opere l’autore che ha ormai raggiunto la piena maturità artistica ma anche – e soprattutto – intellettuale, riesce a trattare temi per lui importanti, ma sempre rimasti in embrione o evitati nella produzione precedente.
Per esempio, nei suoi romanzi grafici Eisner recupera le sue radici ebraiche, gli aspetti culturali e religiosi che da esse derivano, provando ad approfondire tutto ciò. Ancora, è con i romanzi grafici che Eisner tratta alcuni aspetti autobiografici della propria esistenza, come in “The Dreamer”, dedicata ai primi anni della sua carriera fumettistica.
Certamente quello dei romanzi grafici è un Eisner più pacato, più riflessivo, ma anche più maturo e capace di gestire in maniera a tratti perfetta aspetti grafici e narrativi della sua opera.
Se poi si pensa che Eisner comincia a dedicarsi alle graphic novel a 61 anni di età e continua a farlo fino a pochi giorni prima della morte, avvenuta a 88 anni nel 2005, diventa ancora più evidente lo spessore artistico di un uomo che in ogni stagione della propria esistenza ha saputo esplorare aspetti diversi della propria professione: questa non è una cosa da tutti!