Ho passato un po’ di tempo a riguardarmi i frontespizi di The Spirit (ce n’è, per esempio, una vasta collezione online qui, ordinati dalla fine, 1952, verso l’inizio, 1940), lasciandomi andare alle libere associazioni di un antico lettore di fumetti. Il risultato è almeno in parte documentato dalle immagini a corredo di questo articolo.
Ce n’è un primo gruppetto in cui affianco un frontespizio del 1940 a una tavola di Sergio Toppi del 1980. Non c’è bisogno di sottolineare le differenze, che saltano all’occhio. È invece interessante osservare che Will Eisner (e siamo a pochi mesi dall’apertura della serie) introduce una tecnica che permette la composizione sequenziale della tavola secondo una logica che non è quella canonica delle vignette: nello specifico, la lettura della didascalia sotto la testata introduce al titolo The Spirit, il quale si collega, attraverso il braccio levato che afferra l’ultima lettera, alla ragazza bionda, il cui sguardo conduce allo scimmione vestito in primo piano, che si appoggia sul piano di una banchina che è lo stesso su cui agiscono i due personaggi con cui inizia davvero il racconto, all’interno di una quasi-vignetta, i cui limiti vengono suggeriti da quelli della situazione narrativa e da quelli del rettangolo della dida che la sovrasta.
Analogamente, nella pagina di Toppi la direzione alto-basso e varie linee che costituiscono altrettanti impliciti vettori conducono la lettura.
C’è un secondo gruppetto, in cui affianco due frontespizi del 1947 e ’48 a due tavole rispettivamente di Gianni De Luca e di Frank Miller. Qui la tecnica è leggermente diversa: c’è un quadro spaziale generale, sopra il quale le medesime figure ricorrono più volte, senza che possano sorgere dubbi sul fatto che non sono compresenze di personaggi diversi, bensì ripetizioni dei medesimi. Sappiamo l’uso straordinario che ha fatto De Luca di questa tecnica nella sua trilogia shakespeariana del 1976, ed è suggestivo riflettere sul fatto che la rivista Eureka inizia a pubblicare regolarmente The Spirit in Italia nel 1969.
Guarda caso gli esperimenti sia di Toppi che di De Luca iniziano qualche anno dopo. E questo lascia anche capire come non ci sia bisogno di scomodare davvero De Luca per individuare l’ispirazione dell’uso di questa tecnica da parte di Miller nel 1990.
Del resto, a rileggersi un po’ di Miller (specie quello degli anni Ottanta) dopo questa abbuffata di frontespizi di The Spirit, l’impronta eisneriana emerge praticamente a ogni pagina.
Nel terzo gruppetto si affianca un frontespizio del ’47, in cui le lettere contengono immagini, con l’uso dei rumori che Miller fa a volte in Dark Knight.
Nel quarto gruppetto ho invece accostato quattro frontespizi dal 1947 al ’49 in cui Eisner utilizza la tecnica delle piccole vignette appoggiate su un’immagine più grande, che ne costituisce insieme lo sfondo grafico e la premessa narrativa, a due pagine di Miller (Ronin ed Elektra Lives Again) in cui succede lo stesso.
Nel quinto gruppetto si può forse pensare che l’analogia tra il frontespizio di Eisner del ’50 e quello di Miller dell’82 stia solo nel salto attraverso la finestra, però tutta la sequenza milleriana sa in verità di Eisner e dei suoi principi di gestione della sequenza temporale nello spazio, in modo da costruire l’equazione tra il tempo della trasformazione di Murdock in Daredevil e quello della caduta del bambino; e eisneriana è anche la costruzione dell’uscita dell’eroe in rosso dalla vignetta blu verso lo spazio bianco senza margine, che è quello stesso spazio in cui già giace la spoglia ugualmente rossa del bambino caduto.
D’altra parte, con mezzi ancora più semplici, pure la pagina di Eisner suggerisce una dinamica simile: apparentemente non ci sono vignette, ma una coppia di finestre nel muro implicitamente le evocano (tanto più che la loro posizione reciproca è architettonicamente incongruente), così come lo spostamento verso destra a scendere dalla prima alla seconda finestra prepara il lancio della figura, accompagnato poi verso il basso addirittura dalla firma, che continua graficamente il medesimo slancio.
Detto tutto ciò, non bisogna esagerare nel pensare che Eisner abbia davvero inventato tutto. Certo questi frontespizi sono magistrali, e testimoniano un’inventività e una consapevolezza delle potenzialità espressive del fumetto davvero straordinarie. Però sono frontespizi, e tali restano: appartengono cioè a una componente del raccontare a fumetti dove è più facile introdurre eccezioni. Non a caso, il seguito delle storie di The Spirit (le successive sei pagine di ogni episodio) non è altrettanto graficamente innovativo, e sposa una tradizionale sequenza fumettistica di vignette. Non che le innovazioni manchino nelle pagine interne, ma sono di altro genere, e non ce ne occuperemo qui.
Toppi, come De Luca e Miller, fanno di questi espedienti – che per Eisner sono soltanto una maniera di spettacolarizzazione dell’apertura – un modo di raccontare regolare, diffuso sulle singole pagine. Detto in altro modo, per Eisner si tratta sempre di una maniera per avere degli attacchi in fortissimo, cui segue un racconto tradizionalmente (da questo punto di vista) narrato, mentre per gli altri autori è una tecnica narrativa non necessariamente di enfatizzazione (per Miller forse un po’ sì, ma certo non nella misura di Eisner).
Si tratta comunque di una tecnica di dislocazione del tempo nello spazio, il cuore di quella che molti anni dopo Eisner avrebbe definito sequential art, disegno sequenziale, una sequenzialità che ha la vignetta come suo centro non necessariamente esclusivo, ma soltanto privilegiato.
Questa sequenzialità che può essere costruita sullo spazio bianco della pagina, al di fuori della successione standard di vignette, fa leva su tendenze percettive che ci sono spontanee, per ragioni naturali o culturali: a parità di altre enfatizzazioni, la tendenza a osservare attentamente prima il centro e poi la periferia di un’immagine, prima le figure grandi e poi quelle piccole, prima le figure maggiormente definite e/o contrastate e poi le altre, prima quelle dinamiche e poi quelle statiche. A queste tendenze, se il contesto ha a che fare con la scrittura si aggiungono la tendenza a guardare prima in alto e poi in basso, e quella prima a sinistra poi a destra. Evidentemente, il frontespizio di una storia a fumetti ha a che fare con la scrittura, perché il fumetto è una forma di scrittura, in cui le direzioni alto-basso e sinistra-destra hanno un valore cruciale.
Ecco quindi che, se osservate tutti questi bei frontespizi di Eisner vi accorgerete che la direzione alto-basso è quella che conduce fondamentalmente l’attenzione, neutralizzando le altre tendenze. In Toppi e De Luca, ma anche in Miller, non è raro invece trovare pagine unitarie in cui il percorso di lettura non segue la logica alto-basso, bensì una delle altre, come centro-periferia, grande-piccolo ecc., oppure una loro combinazione in cui da un punto di partenza individuato secondo uno di questi criteri, esistono dei vettori impliciti che conducono poi l’attenzione.
È una logica più difficile, forse troppo per reggere alla dose di spettacolarizzazione di cui Eisner ha bisogno per i frontespizi. Lui ci arriva vicino, comunque, con l’ultimo esempio che riportiamo qui, in cui il percorso narrativo, e l’attenzione che lo conduce, vanno dalle figure vicine sino a quelle lontane, fuori dalla finestra. Tuttavia, per non creare dubbi nel lettore, e non rallentare la comprensione diminuendo così l’impatto, la sequenza dei dialoghi legati alle singole figure resta evidentemente quella standard, dall’alto verso il basso.