Gian Marco De Francisco, architetto e fumettista tarantino, è stato allievo di uno dei maestri della scuola sudamericana del fumetto, Carlos Meglia. Ha al suo attivo graphic novel quali: Nostra madre Renata Fonte (001 Edizioni, 2012), Un caso di Stalking (Edizioni Voilier, 2010), Da grande, opera di denuncia sociale sul precariato nel mezzogiorno (Edizioni Lilliput, 2006). Nel 2012 è stato l’ideatore e a oggi il coordinatore generale di Grafite, un’innovativa scuola di grafica digitale e fumetto sui territori di Taranto, Bari e Lecce nata dalla partnership tra lo studio il tratto.com e la Lupiae Comix, creando di fatto in Puglia il primo polo di formazione regionale sull’arte del fumetto.
A Napoli Comicon presenta Ragazzi di scorta (BeccoGiallo, 2016), storia a fumetti della strage di Capaci sceneggiata da Ilaria Ferramosca.
Al Comicon di quest’anno presenterai Ragazzi di scorta, che racconta la storia della scorta di Giovanni Falcone. Qual è la difficoltà maggiore nel realizzare un fumetto che racconti la realtà?
Disegnare un fumetto che tratta di storie non solo reali ma che hanno lasciato nella collettività un trauma emotivo così forte come accaduto con i protagonisti della strage di Capaci, costringe il disegnatore a tenere conto di due fattori importanti per la riuscita del progetto: il rispetto filologico –per quanto possibile- delle ambientazioni/mode e l’attenzione al “ricordo visivo” che i personaggi hanno lasciato nel cuore dei propri cari.
La prima questione, che normalmente nelle storie di fantasia o ricostruzione storica, si traduce nella strutturazione di una corposa documentazione fotografica, in casi reali come quelli del libro, travalica il semplice e generico recupero di materiale inerente il periodo storico in cui si sono svolte le vite degli agenti, per raggiungere i luoghi specifici della loro vita quotidiana.
Le case dei genitori, così come gli spazi ludici che vivevano i protagonisti nella loro adolescenza, spesso non sono più come allora oppure non sono più abitate dalle famiglie di origine; pertanto, vanno ricostruite attraverso i ricordi dei parenti prossimi o vecchi album di famiglia, portando il disegnatore ad analogie e similitudini per rispettare il più possibile l’autenticità delle location.
L’altro fattore è decisamente più imponente in termini professionali.
Si cerca di non tradire le aspettative di chi ha subito la perdita e vive nel ricordo, a volte sublimato, del proprio caro. E’ molto difficile realizzare uno studio del personaggio e riportarlo su di un foglio bianco, attingendo solo ed esclusivamente dal materiale fotografico.
Mi sono già imbattuto in questa difficoltà con la mia precedente graphic novel Nostra madre Renata Fonte, scritta anche questa, come Ragazzi di scorta, dalla bravissima sceneggiatrice Ilaria Ferramosca. A meno che non si disegni costantemente ed in modo realistico i personaggi, come se si trattasse sempre di ritratti, i parenti non trovano mai nel tratto quanto perduto. Questo perché il loro ricordo va oltre quanto una foto o video possano mai immortalare. È la smorfia, il particolare sorriso o sguardo che solo loro hanno potuto cogliere vivendoci affianco.
Per quanto mi riguarda, la soluzione si trova cercando di evitare a tutti i costi la perfezione della fisionomia dei characters, tentando piuttosto di coglierne l’essenza, lo “spirito” e tradurre tali sensazioni con la propria sensibilità lasciando che i protagonisti acquistino una propria personalità man mano che si disegna la storia.
Infatti a dispetto dei miei iniziali e corposi studi sul personaggio, mi sono ritrovato a disegnare figure che mi convincevano sempre di più man mano che le facevo vivere nelle tavole, al punto che, al termine del lavoro, ho dovuto effettuare una revisione globale di tutti i disegni per armonizzare le diverse sfumature delle fisionomie, tenendo come punto di riferimento le ultime tavole e non più le prime.
Il risultato è stato quello di aver ottenuto personaggi più fedeli nelle movenze e negli intenti, piuttosto che nei visi, se mi si passa la semplificazione.
Visto il tema di questo Napoli Comicon, che opinione hai della sempre crescente ibridazione del fumetto con altre forme di espressione artistica e comunicativa (cinema, TV, letteratura, teatro…)?
Su questo tema trovo che le opinioni tra addetti al settore siano discordanti. Proprio in questi giorni leggevo un interessante articolo su un portale tematico che segnalava quanto i recenti cinecomics dagli incassi multimilionari non abbiano minimamente intaccato le vendita dei fumetti americani.
Si potrebbe aprire una lunga argomentazione su tale problematica, ma non credo di essere la persona più adatta per rispondere dettagliatamente.
Mi limito a dirti che, più che di ibridazione – dove il termine mi richiama l’idea di uno scambio tra le parti in gioco per ottenere altro che sia migliore della semplice addizione delle singole entità – sono sempre più convinto che si tratti di “saccheggio”. In altri termini, penso che siano gli altri media, come già accaduto in passato, ad attingere a piene mani e con grande successo alla nona arte, pur nella semplificazione che ne deriva, ma che difficilmente avvenga il contrario con la stessa efficacia.
Vedi Napoli e poi…?
Compro le sfogliatelle altrimenti non posso tornare a casa…