Il secondo dei due voluminosi tomi de La Storia della Shoah presenta saggi dedicati a come le varie arti abbiano affrontato il tema dello sterminio degli ebrei in Europa ad opera dei governi nazifascisti: il cinema, la fotografia, la pittura, la scultura1. Fra questi, di particolare interesse è quello di Catherine Coquio, che tratta il dibattito critico sulla possibilità ed opportunità della narrazione della Shoah2. In tutto questo apparato storiografico e critico, il fumetto compare solo in un breve passaggio, come fonte di ispirazione per un concetto3; per il resto non una parola, una citazione, fosse pure in negativo.
Che cosa significa questa assenza?
Perché i curatori non l’hanno rilevata come difetto significativo?
Significa forse che il fumetto non è considerato né una tecnica narrativa, né un linguaggio maturo?
Che è un qualcosa (mezzo, linguaggio, strumento, genere) di talmente rudimentale da non meritare nemmeno un accenno?
Che il fumetto non rientra nel bagaglio culturale dei curatori e dei saggisti coinvolti nell’opera?
O che il fumetto ha evitato di affrontare quel tema?
La possibilità di narrare la Shoah in un qualunque linguaggio è stata da subito oggetto di analisi. Il punto critico scaturisce dalla questione dell’unicità dell’evento: in quanto evento unico, constituirebbe una discontinuità nella storia, un caso a sé che richiede strumenti ed accortezze specifiche. La Shoah è una singolarità storica, un buco nero, che non offre possibilità di racconto e che, anzi, richiede la mutazione del concetto stesso di racconto (in effetti, del concetto stesso di arte: celebre ed efficace, al riguardo, la frase di Elie Wiesel: “Un romanzo su Auschwitz o non è un romanzo, o non è su Auschwitz“. Eppure questa pretesa di unicità può avere risvolti e conseguenze ambigue e facilitare la trasformazione della memoria in abitudine4.
Tuttavia, la grande quantità e varietà stilistica delle narrazioni prodotte dimostra che, almeno per la cultura europea e occidentale, la Shoah è piuttosto uno snodo storico, che richiede sempre nuova attenzione, nuove riflessioni, nuove ricerche. La metafora del buco nero rimane valida, ma non tanto nel senso di luogo inaccessibile, quanto di singolarità che attira irresistibilmente chi entri nel suo campo di gravità. In quest’ottica, diventa fondamentale la tensione fra creazione narrativa e memorialistica e in particolare l’analisi del rischio di banalizzazione, che prescinde dal linguaggio. Questa analisi è (deve essere) un elemento della progettazione e scrittura dell’opera, allorché l’autore affronta il problema di che cosa narrare e secondo quale approccio5.
Senza dubbio la Shoah sfida le capacità narrative di chiunque intenda affrontarla, ma proprio per questo, come tutto ciò che appare privo di senso, è oggetto ideale di studio e narrazione. Di più: è una provocazione intellettuale per chiunque si sforzi di capire il mondo umano.
Memoria vivente e memoria culturale
Un’espressione efficacissima, definisce “memoria vivente” quella incarnata dai testimoni diretti, e “memoria culturale” tutto ciò che su uno specifico argomento viene prodotto: studi, analisi, racconti, eccetera. La prima ha evidentemente una vita limitata, corrispondente a quella di chi ha vissuto i fatti, mentre la seconda si fonda sulla ricerca e quindi sulla disponibilità di testimonianze e documenti.
Vale la pena notare come le testimonianze siano memoria culturale, poiché sono mediate da uno specifico linguaggio di comunicazione (e per questo sopravvivono a chi le ha rese). Venendo meno i testimoni diretti, si deve stabilire se dobbiamo accontentarci della memorialistica come unica narrazione opportuna6.
Se, quindi, intorno all’argomento, il futuro ci autorizzi solo opere di saggistica, studi storici, sociologici, psicologici o anche altro. Per capire la criticità di questo punto, si applichi la stessa considerazione ad altre tragedie, la cui distanza dal presente sia tale da rendere impossibile la sopravvivenza di testimoni: il genocidio degli armeni, quello degli Herero della attuale Namibia, la tratta degli schiavi del XVIII e XIX secolo ad opera delle potenze coloniali, il massacro di generazioni nelle trincee della prima guerra mondiale, solo per fare alcuni esempi.
Che cosa significa rifiutarsi di raccontarle tramite la finzione narrativa?
Che cosa perdiamo, come possibilità di analisi?
La limitazione al campo delle scienze storiche, non ne limita in qualche modo la diffusione, la conoscenza da parte dei non specialisti, la possibilità, quindi, di essere parte di una cultura condivisa? Le conoscenze limitate agli specialisti, che cioè non diventano patrimonio comune, non contribuiscono alle fondazioni di una comunità. Quindi, ponendoci queste domande, ci interroghiamo anche su quali principi intendiamo costruire la nostra società e quali intendiamo perseguire.
Raccontare la storia è in ogni caso un’operazione delicata, perché l’autore si deve confrontare non solo e non tanto con tutti i problemi intrinseci della narrazione (consistenza, verosimiglianza, solidità dell’intreccio, scelta del linguaggio e così via), ma anche con le ricerche, testimonianze e documentazione disponibile. In più, quando il tema affrontato è ancora parte o strumento del dibattito politico, nelle sue scelte entra anche la valutazione del rischio di strumentalizzazione, cioè di interpretazione deformata della sua opera per fini propagandistici7. E la Shoah è parte del dibattito politico corrente, perché, a decenni dalla chiusura dei campi di sterminio, tuttora si discute la sua genesi e le condizioni che la resero possibile; analisi che conducono all’indicazione di responsabilità da parte di singoli ed entità economiche e sociali e politiche tuttora importanti8. E questo per tacere delle implicazioni dell’associare la Shoah alla nascita e alla legittimazione dello stato di Israele9.
Il fumetto
Il modo in cui fumetto ha affrontato il racconto della Shoah va analizzato considerando almeno tre caratteristiche specifiche: la delicatezza del tema, la visione che il mondo del fumetto ha del fumetto stesso e la scarsità di testimonianze dirette espresse attraverso il fumetto.
La delicatezza del tema è un aspetto ovviamente condiviso da qualsiasi linguaggio e su di esso valga quanto scritto sopra.
La scarsa considerazione che il mondo del fumetto – autori, editori, lettori, critica10 – ha, o almeno ha avuto, nei confronti delle capacità e della dignità del mezzo espressivo, si manifestava anche in una limitazione degli argomenti affrontati o dei linguaggi consentiti, come se ci fossero temi che il fumetto non fosse in grado, o non dovesse permettersi, di affrontare.
Una rapida cronologia può dare un’idea di quanto questo aspetto abbia pesato: si pensi che il primo, seppur vago, accenno alla persecuzione degli ebrei in un fumetto si trova in La Bête est Morte, scritto in Francia nel 1944 da Edmond Calvo, Victor Danzette e Jaques Zimmermann11. Dieci anni dopo, negli USA, Bernie Kriegsten pubblica Master Race, storia breve che narra l’incontro fra un sopravvissuto ed uno dei suoi persecutori12, dopodiché, per arrivare al Maus di Art Spiegelmann si dovranno attendere quasi venti anni: Spiegelmann inizia a pubblicare Maus nel 1973, mentre la vittoria del Premio Pulitzer risale al 1992, evento che costituisce tradizionalmente il riconoscimento del fumetto come mezzo di comunicazionie/linguaggio al di fuori del suo mondo tradizionale.
La scarsità di testimoni che hanno affidato al fumetto le proprie memorie è un dato di fatto, che probabilmente segnala come questo mezzo fosse al di fuori della cultura dei testimoni. Un raro caso è costituito da We are on our own di Miriam Katin13 e una parziale eccezione dall’opera di Aldo Gay, che racconta la deportazione della comunità ebraica romana. Si tratta di una serie di illustrazioni, che furono oggetto di una mostra nel 2007 a Roma ed ora disponibili in volume14. In altre parole, non esiste un corpus di memorialistica in fumetto. E forse anche questa assenza spingerà Joe Kubert ad immaginare un proprio alter ego travolto dalla persecuzione nazista in Yossel15.
Approcci al racconto
I racconti della Shoah utilizzano due prospettive: quella della psicologia individuale e quella dell’evoluzione sociale. Nel primo approccio, la Shoah è un’esperienza che ha stravolto il rapporto fra individuo ed esistenza attraverso la demolizione del senso stesso del termine “individuo”.
Questo tipo di racconto indaga quindi anche la possibilità di ricostruire un rapporto non patologico fra persona e mondo. Questo percorso di riabilitazione alla vita coinvolge non solo i sopravvissuti, ma anche la loro comunità, familiare e sociale. Così, Spiegelmann in Maus racconta in parallelo la storia del padre e del proprio rapporto con lui e un simile approccio è alla base dell’opera di Michel Kichka: La seconda generazione, dove il ricordo della persecuzione, per decenni trattenuto dal padre dentro di sé, alla fine diventa l’elemento principale dell’identità e motore della vita quotidiana, con risvolti problematici16.
Bernice Eisenstein, nel suo Sono Figlia dell’olocausto presenta, attraverso un racconto che mescola testo e fumetto, una sorta di Lessico Famigliare di una comunità yiddish emigrata negli Stati Uniti, una comunità di sopravvissuti allo sterminio nazista17.
Da questi racconti emerge che, per coloro che pure le sopravvissero, la Shoah non terminò con la dismissione dei campi di sterminio, ma estese i propri effetti nel tempo e sulle persone e le comunità che entrano in contatto con loro. Esattamente come le bombe atomiche od una infezione, la Shoah continua a far ammalare ed uccidere, come testimoniano i suicidi di Levi e Bettelheim, certo, ma anche il disagio dei discendenti dei sopravvissuti nei loro confronti e la difficoltà a costruire rapporti familiari sereni.
Raccontare la Shoah come stadio dell’evoluzione della società, mette in scena la fragilità sociale e politica delle società in cui ha avuto luogo e quindi analizza e spinge a confrontarsi con la possibilità che quella degenerazione avvenga di nuovo. Qui il punto interessante sta nel fatto che quelle politiche di persecuzione razziale si svilupparono in stati che avevano già intrapreso il cammino verso la democrazia. In questo senso, siamo messi di fronte ad una regressione politica: i regimi fascisti ridussero qualità e quantità di diritti che erano stati precedentemente affermati.
Ed è proprio questo aspetto che si pone come stimolo oggettivo all’analisi. La domanda, infatti, non è più semplicemente: “Come fu possibile un simile abominio?”, ma “Come è possibile un simile abominio in un paese tendenzialmente democratico (come quello in cui viviamo)?”.
Mentre il primo interrogativo relega la Shoah a un passato specifico (l’evento storico) per definizione non ripetibile, il secondo lo dichiara caso di una fase sempre possibile dell’evoluzione di una società, qualunque sia il suo grado di democrazia. Porsi il primo interrogativo significa ricostruire il passato; porsi il secondo significa analizzare il presente e prefigurare il futuro. Visto altrimenti, nelle parole di Moni Ovadia:
“Se questa memoria si trasmette, diventa uno strumento per costruire un’altra storia, un’altra umanità. Il solo modo per non farli vincere è costruire un’altra umanità. Io non mi faccio incantare dalle ‘coccolé che fanno oggi agli ebrei: voglio vedere come trattano gli zingari, i curdi, i mussulmani, gli africani. È da lì che capisco se la relazione con gli ebrei non è che un’ipocrita forma di riabilitazione tardiva e postuma di un Occidente che ha fatto bancarotta fraudolenta”18.
In quest’ottica, da segnalare come ad esempio l’universo mutante supereroico si sia prestato fin dagli inizi all’esplorazione del rapporto con il diverso, basti pensare a X-Men: Dio ama, l’uomo uccide di Chris Claremont19.
Se l’orrore dello Sterminio sfugge a qualsiasi possibilità di rappresentazione narrativa adeguata, fosse solo perché nel rapporto con l’opera il lettore può in ogni momento riporre il volume e ritrovare il proprio mondo e se stesso, quindi sfuggire a quel destino, è tuttavia possibile raccontare tutto ciò che lo fonda e gli ruota intorno.
Questa seconda prospettiva è ad esempio alla base di due opere di autori italiani: Esperanto, dove Otto Gabos racconta le conseguenze della fuga di un ufficiale nazista in un universo parallelo20 e Dylan Dog: Doktor Terror, dove Tiziano Sclavi e Gianluigi Coppola fanno scontrare Dylan Dog con un gruppo neonazista e mettono in scena l’inquietante indifferenza e la sotterranea acquiescenza delle persone comuni verso i rigurgiti di razzismo21.
Anche il romanzo a fumetti di Pascal Croci, Auschwitz, rientra in questa categoria, poiché l’autore utilizza come voci narranti due sopravvissuti che si trovano coinvolti nell’inferno della guerra civile jugoslava22.
Infine, merita citare il fatto che un’opera a fumetti, La stella di Esther di Eric Heuvel, sia utilizzata come sussidio didattico in alcuni istituti scolastici tedeschi23 e che, sempre con scopo esplicitamente didattico anche Dave Sim si è impegnato nella lotta per la memoria, con il suo Judenhass, naturalmente disponibile solo negli Stati Uniti24.
Memoria, pedagogia, didascalia
Conservare e trasmettere la memoria, illustrare il percorso che ha reso possibile la Shoah sono quindi da un lato obiettivi, dall’altro strumenti, laddove il fine ultimo è impedire la replica di simili orrori25.
Trattare un simile tema significa allora confrontarsi con una visione del mondo, della storia, dell’umanità, della società e del futuro. Magari esporle, in modo da indurre il lettore a confrontarsi con esse, costruendo quella che Mantegazza e Salverani chiamano “pedagogia resistenziale”26.
In questo senso, non stupisce che il fumetto abbia trovato il coraggio di affrontare il tema solo dopo aver ritrovato una nuova visione di sé, proprio nel periodo che vide la nascita e promozione dell’interesse diffuso verso la Shoah27.
Questa nuova visione della propria arte da parte degli autori corrisponde all’assunzione del ruolo di intellettuali: partecipare alla lettura ed al racconto del mondo e delle sue strutture.
Questa scelta porta con sé la responsabilità di confrontarsi con il mondo, come racconta Kubert, presentando il proprio Yossel come frutto dell’elaborazione di un “e se”28.
Ed è proprio il confronto con il mondo presente la prospettiva più fruttuosa entro quale inquadrare e progettare le opere sulla Shoah e sulla memoria storica in generale, poiché, di qualsiasi genere esse siano, queste opere non vanno intese come celebrazione dei morti, ma come elementi e materiali di una memoria per i vivi29.
Non si tratta allora semplicemente di illustrare memorie, ricordi, tentando di salvarli dall’oblio, ma di evidenziare spunti utili per una riflessione razionale sul presente. Trattare la Shoah non può cioè banalmente mirare alla composizione di lapidi alla memoria, limitandosi ad una ricostruzione didascalica. Questo è un obiettivo meritorio, ma monco, perché rifiuta il confronto con il presente e corre il serio pericolo di andare a costruire un santino davanti al quale la coscienza si indigna, certo, ma anche si assolve senza troppe difficoltà, non sentendosi chiamata in causa davanti ad un evento preciso, determinato e, soprattutto, passato, al quale non ha partecipato e che, in fondo, non la riguarda.
La riconciliazione sentimentale con quel passato, tramite la compassione sfocia invariabilmente nell’archiviazione e nell’assuefazione: se resta solo la comunicazione dell’orrore, isolata da qualsiasi contestualizzazione razionale, si corre il rischio che la montagna di cadaveri, che ad esempio mostra Croci nel suo Auschwitz sia solo una vignetta sensazionalistica, che potrebbe comparire anche in una qualche storia di catastrofe supereroica30.
C’è quindi un vasto campo di lavoro, purché si accetti di affrontare il tema con questa visione: non accontentarsi di narrare storie, ma cercare di narrare la Storia; non cedere al patetismo, ma mirare alla stimolo razionale. Questa è d’altra parte una prospettiva che il mondo del fumetto ha iniziato ad affrontare negli ultimi anni, con una serie di opere che muovono dal genere del reportage e del diario. Autori come Joe Sacco, Joe Kubert, Guy Delisle, per fare solo alcuni nomi, hanno efficacemente applicato il fumetto all’esplorazione di realtà problematiche, sviluppandone linguaggio e potenzialità. La difficoltà della sfida è d’altra parte segnalata dal volume di Will Eisner Il complotto31.
Piace infine immaginare che alla ricostruzione della Shoah si riesca a dedicare un’opera come Alice in Sunderland, di Bryan Talbot, dove si ricostruiscono e rendono vive le connessioni fra le trame del passato e quelle del presente (Cr.: Bryan Talbot: Alice in Sunderland, Comma 22. Sull’opera leggi Alberto Casiraghi: Alice in Sunderland.)).
Un altro possibile approccio potrà essere quello che investighi non solo o non tanto l’universo concentrazionario, la vita all’interno dei campi di sterminio, ma quello dei persecutori e di tutti quelli che comunque componevano e facevano funzionare la macchina dello sterminio, secondo la visione proposta dalla Arendt32.
La potenzialità di questa visione è ben dimostrata dalla ricchezza e complessità della Storia dei tre Adolf di Ozamu Tezuka, che mostra come vari individui attraversino quegli anni, rendendosi complici a vari livelli del regime nazista o continuando a combattere per i propri ideali di libertà e giustizia. In sintesi, credo nella validità di un’opera che non tanto ci spaventi con il pensiero (consolatorio) che noi potremmo essere le vittime, quanto ci faccia inorridire al pensiero che noi potremmo essere i carnefici.
Importanza di un confronto critico con la memoria
L’importanza dell’opera di raccolta, conservazione e trasmissione della memoria è lampante considerando che la stessa persecuzione degli ebrei è stata tratta dalla penombra a seguito del processo Eichmann (1962), prima, e della narrazione televisiva Holocaust (1980)33, che possiamo vedere anche come eventi mediatici globali. Al contrario, lo sterminio dei rom, eseguito secondo gli stessi principi e le stesse modalità è rimasto confinato nella tradizione orale e non appartiene a nessun titolo al bagaglio culturale ed etico collettivo, con il risultato che la comunità rom è tuttora percepita senza imbarazzi come sgradita e criminale.
Notevole, in questo senso, è quindi la vicenda del personaggio di Magneto, nella quale la storia della persecuzione ebraica e quella dei rom si intrecciano indissolubilmente, come raccontano Greg Pak e Carmine di Giandomenico in Magneto: Testamento34. L’uso stesso del termine “Shoah”, parola ebraica, rischia di trasmettere il concetto che la politica di sterminio nazista fosse rivolta contro i soli ebrei, mentre non solo, come detto, travolse la popolazione rom, ma, come emerse già durante il processo di Norimberga, ne era prevista l’estensione ad altre popolazioni35.
L’elaborazione critica di quell’esperienza e del suo inserimento nella storia consente quindi di afferrarne problematicità e complessita, così da rendere più difficile l’insorgenza e strumentalizzazione di “abusi di memoria”36. Particolarmente sottile, in questo senso, è il rischio che la memoria della Shoah subisca una sacralizzazione che la collochi al fuori dalla storia, in un’area pericolosamente vicina a quella del mito, che la riduca quindi a topos narrativo o fattore di identità esclusiva. Un pericolo associato a questa trasformazione è che la memoria diventi una sorta di prigione per il futuro, uno strumento con il quale le vecchie generazioni tentano, consapevolmente o meno, di imporre alle nuove scelte e visioni del mondo.
Il confronto con questa ambiguità della memoria costituisce una novità qualitativa, ed è affrontato da due opere uscite negli ultimi anni: Noi non andremo a vedere Auschwitz, di Jérémie Dress37 e La proprietà di Rutu Modan38.
In entrambe le opere, è centrale la volontà dei protagonisti di non lasciarsi imporre le esperienze delle generazioni precedenti come pregiudizio verso il presente e rivendicando la propria autonomia, il diritto di costruire il proprio futuro. Che questa linea di riflessione sia stata aperta da due autori che vengono da famiglie di tradizione ebraica è comunque segno di come la memoria della Shoah sia ancora di fatto considerata talmente delicata da far sì che gli autori al di fuori della tradizione ebraica preferiscano limitarsi a trattazioni per così dire standard, muovendosi su terreni sicuri, lontani da quelle aree ambigue a cui abbiamo accennato sopra.
In Italia
La produzione fumettistica italiana collegata alla Shoah conta pochi titoli39.
Significa qualcosa?
È probabilmente manifestazione della dissonanza cognitiva che l’Italia ha nei confronti del periodo fascista e della II Guerra Mondiale. Enzo Traverso la inquadra efficacemente nel processo di ricostruzione della memoria collettiva, legata all’evoluzione sociale e politica ed evidenzia una specificità italiana su cui riflettere:
“In Italia […] la rilettura storica del fascismo […] ha preceduto il ritorno del rimosso nel corso degli anni Novanta con la fine del sistema politico nato nel 1945, la cosiddetta Prima Repubblica, e la legittimazione degli eredi del fascismo come forza governativa. […] La fine dell’oblio dell’antisemitismo di stato e dello sterminio degli ebrei è coinciso allora, questo è il paradosso, con la riabilitazione dei loro persecutori”40.
Di quella stessa difficoltà soffrono tutte le vicende storiche che hanno visto protagonisti l’Italia in quel periodo: il genocidio perpetrato nelle colonie africane41, la pulizia etnica operata in Slovenia e Croazia, su cui Davide Toffolo ha scritto L’inverno d’Italia42, per non parlare sic et simpliciter della dittatura interna, delle sue violenze e delle distruzioni politiche, culturali, sociali ed economiche che il regime perpetrò negli anni del suo dominio e dell’appoggio di cui godette da parte di larghi ed importanti settori dell’economia e della Chiesa Cattolica.
In tutti questi casi, ed in particolare in quello della partecipazione attiva allo sterminio degli ebrei, il caso Italia si presenta fertile di stimoli, con un valore aggiunto che sta nell’essere stato prima Nazione alleata della Germania nazista, quindi spaccata in due all’indomani dell’8 settembre 1943, con, da una parte, la Repubblica Sociale Italiana che abbracciava la politica nazista, dall’altra, i cascami del Regno, alleato delle forze antifasciste e le forze partigiane. A questi, è giocoforza affiancare quel punto critico ineludibile che è l’atteggiamento del Vaticano.
Questa ricchezza di spunti è stata al momento raccolta da pochi autori, quali Walter Chendi ed Eugenio Belgrado. Walter Chendi, nel suo La porta di Sion, mette in scena gli effetti dell’entrata in vigore delle leggi razziali, mostrando come proprio con esse fu ripristinata quella “diversità” ebraica, che il Risorgimento aveva combattuto, come dimostra l’integrazione dei cittadini di fede ebraica nell’Italia unita43. L’ambiguità delle relazioni, umane, sociali, militari e politiche sono inoltre al centro dell’opera di Eugenio Belgrado, che ambienta il suo Le torri di fumo sullo sfondo dell’attività di sterminio in opera presso la Risiera di San Sabba e sottolinea come certi poteri abbiano disinvoltamente attraversato la temperie della guerra, mantenendo il proprio ruolo a prescindere dal regime vigente44; mentre nel racconto di Carlo Lucarelli È notte e sembra che faccia sempre più freddo, che Mauro Smocovich e Paola Camoriano hanno trasposto in fumetto all’interno della collana Nuvole Nere45 emerge il dramma della tentazione dell’individuo di ritenersi al di fuori del flusso della Storia.
La ricchezza di questo materiale fa sperare e confidare che gli autori italiani si cimentino ulteriormente con la narrazione della Shoah, dallo specifico punto di vista italiano.
Opere a fumetti citate
Eugenio Belgrado: Le torri di fumo, Lavieri edizioni
Edmond Calvo, Victor Danzette, Jaques Zimmermann: La Bete est Morte!, Gallimard
Walter Chendi: La porta di Sion, Edizioni BD
Chris Claremont: Dio ama, l’uomo uccide, Panini Comics
Pascal Croci: Auschwitz, Il Melangolo.
Jérémie Dress: Noi non andremo a vedere Auschwitz, Coconino Press – Fandango
Bernice Eisenstein: Sono Figlia dell’olocausto, Guanda
Will Eisner: Il complotto, Einaudi
Eric Heuvel, Ruud van der Rol, Lies Schippers: La stella di Esther, deAgostini
Otto Gabos: Esperanto, Coconino Press
Aldo Gay: Gli occhi di Aldo Gay. Catalogo della mostra (Roma, 17-27 ottobre 2007), Gangemi
Sarah Giddens: Capire Israele in 60 giorni, Rizzoli Lizard
Miriam Katin: We are on our own, Drawn And Quarterly
Michel Kichka: La seconda generazione, Rizzoli Lizard
Bernie Kriegstein: Master Race, in Impact #1, EC Comics. Le otto tavole che lo compongono sono disponibili presso: cacb.wordpress.com/2008/12/03/ec-comics-master-race
Joe Kubert: Yossel: 19 Aprile 1943, Free Books
Carlo Lucarelli, Mauro Smocovich, Paola Camoriano: È notte e sembra che faccia sempre più freddo, in Nuvole Nere #5, Edizioni Star Comics
Rutu Modan: La proprietà, Rizzoli Lizard
Greg Pak, Carmine di Giandomenico: Magneto: Testamento, Panini Comics
Tiziano Sclavi, Gianluigi Coppola: Dylan Dog #83 – Doktor Terror, Sergio Bonelli Editore
Dave Sim: Judenhass; preview disponibile presso: www.judenhass.com
Peter Sis: Il Muro, Rizzoli
Art Spiegelmann: Maus, Einaudi
Bryan Talbot: Alice in Sunderland, Comma 22
Davide Toffolo: L’inverno d’Italia, Coconino Press
Testi citati
Aa. Vv.: Storia della Shoah, UTET.
Hanna Arendt: La banalità del male, Feltrinelli.
Maria Agostinelli e Florinda Fiamma: Ovadia: a proposito di Maus, disponibile presso www.letteratura.rai.it/articoli-programma/bovadiab-a-proposito-di-maus/1413/default.aspx.
David Bidussa: Gli Ultimi testimoni, Einaudi.
Luciano Canfora: Prima lezione di storia greca, Laterza.
Alberto Casiraghi: “Il complotto”, lo sguardo del maestro Will Eisner sui Protocolli dei Savi di Sion, disponibile presso: www.lospaziobianco.it/complotto.
Alberto Casiraghi: Alice in Sunderland, disponibile presso www.lospaziobianco.it/alice-sunderland
Catherine Coquio: Finzione, poesia, testimonianza: dibattiti teorici a approcci critici in Aa. Vv.: Storia della Shoah.
Angelo del Boca: Italiani brava gente, Neri Pozza.
Anna Foa, Le stagioni del Ricordo in Saul Meghnagi – a cura di : Memoria della Shoah, Donzelli Editore.
Antonio Furno: La proprietà di Rutu Modan: un fumetto recitato come un film, disponibile presso www.lospaziobianco.it/proprieta-rutu-modan-fumetto-recitato.
Claudio Gaetani: Il cinema e la Shoah, Le Mani.
Robert Gellately: Norimberga: voci del passato, in Leon Goldenson: I taccuini di Norimberga, Il Saggiatore.
Raul Hillberg: La distruzione degli ebrei in Europa, Einaudi.
Daniel J. Goldhagen: I volenterosi carnefici di Hitler, Mondadori.
Daniel J. Goldhagen: Una questione morale, Mondadori.
Leon Goldenson: I taccuini di Norimberga, Il Saggiatore.
Pier Luigi Gaspa: Per la libertà, Settegiorni Editore.
Marianne Hirsch: Immagini che sopravvivono: le fotografie dell’Olocausto e la post-memoria, in Aa. Vv.: Storia della Shoah.
Michael Kimmelmann: No Laughs, No Thrills, and Villains All Too Real, New York Times 27/02/2008, disponibile presso: www.nytimes.com/2008/02/27/books/27holocaust.html?_r=2&
Raffaele Mantegazza, Brunetto Salvarani: Le Strisce dei Lager : la Shoà e i Fumetti, Unicopli.
Saul Meghnagi – a cura di : Memoria della Shoah, Donzelli Editore.
Davide Occhicone: Yossel: 19 Aprile 1943 / 8 Maggio 1943, disponibile presso www.lospaziobianco.it/yossel-19-1943-8-1943
Davide Occhicone: Tornando ad Auschwitz, disponibile presso www.lospaziobianco.it/tornando-auschwitz.
Davide Occhicone: Da Spiegelman a Kubert, lezioni perdute, disponibile presso: www.lospaziobianco.it/Spiegelman-Kubert-lezioni-perdute.
Davide Occhicone: God Loves, Man Kills: la parabola di Claremont sul razzismo e la difficoltà di resistere all’odio per il diverso, disonibile presso www.lospaziobianco.it/god-loves-man-kills-parabola-claremont-razzismo.
Massimo Paravizzini: Bernard Krigstein, chi era costui?, disponibile presso www.edizionicargo.it/bernard-krigstein
Boris Pahor, Necropoli, Fazi.
Valentina Pisanty: Abusi di memoria, Bruno Mondadori.
Simone Rastelli: Esperanto, disponibile presso www.lospaziobianco.it/esperanto-gabos.
Simone Rastelli: La stella di Ester, diposibile presso www.lospaziobianco.it/stella-esther.
Simone Rastelli: Intervista a Eric Heuvel, disponibile presso www.lospaziobianco.it/intervista-eric-heuvel/
Simone Rastelli: Davide Toffolo: L’inverno d’Italia, disonibile presso: www.lospaziobianco.it/davide-toffolo-inverno-italia.
Simone Rastelli: Una sorta di ritorno a casa: Noi non andremo a vedere Auschwitz, disponibile presso www.lospaziobianco.it/ritorno-casa-andremo-vedere-auschwitz
Enzo Traverso: Auschwitz e gli intellettuali, Il Mulino.
Ulteriori opere a fumetti per approfondire
Kris, Vincent Bailly: Un sacchetto di biglie, Rizzoli Lizard (recensione di Nicola Medda disponibile presso https://www.lospaziobianco.it/sacchetto-biglie-kris-bailly-shoah-occhi-bambino/)
Ilaria Ferramosca, Gian Marco De Francisco: Charlotte Salomon – I Colori dell’anima, BeccoGiallo (recensione di Paolo Pugliese disponibile presso https://www.lospaziobianco.it/charlotte-salomon-i-colori-dellanima-una-storia-di-arte-amore-e-dolore/)
Ari Folman, David Polonsky: Anne Frank – Diario, Einaudi (recensione di Roberta Vassallucci disponibile presso https://www.lospaziobianco.it/storia-fumetti-diario-anne-frank/)
Matteo Mastragostino, Alessandro Ranghiasci: Primo Levi, BeccoGiallo (recensione di Mattia Ferri presso https://www.lospaziobianco.it/levi-mastragostino-ranghiasci/)
Antoine Ozanam, Nadji: Il Diario di Anne Frank, Star Comics (recensione di Rachele Bazoli disponibile presso https://www.lospaziobianco.it/il-diario-di-anne-frank-un-adattamento-a-fumetti/)
F. Lombardo, Janjo, D. Maglionico, C. Caiffa, T. Viceconti: Siamo tutti uomini – I colori dell’Olocausto, la memoria del mondo libreria editrice (recensione di Nathan Quaranta disponibile presso https://www.lospaziobianco.it/uomini-memoria-compito/)
Aa. Vv.: Storia della Shoah, UTET ↩
Cfr. Catherine Coquio: Finzione, poesia, testimonianza: dibattiti teorici a approcci critici in Aa. Vv.: Storia della Shoah, op. cit., p. 539. ↩
Cfr.: Marianne Hirsch: Immagini che sopravvivono: le fotografie dell’Olocausto e la post-memoria, in Aa. Vv.: Storia della Shoah, op. cit., pagg. 298 e segg.. La citazione di Maus, come ispiratore del concetto di post-memoria è a pag. 301. ↩
Cfr.: Anna Foa: Le stagioni del Ricordo in Saul Meghnagi – a cura di : Memoria della Shoah, Donzelli Editore. ↩
Va sottolineato che queste problematiche sono tipiche della narrativa di ambientazione storica, dove l’intreccio è in tensione con la ricostruzione del contesto. ↩
Vale sempre la pena di sottolineare che la memorialistica non è racconto ‘vero’ da contrapporre brutalmente alla finzione come racconto ‘falso’; allo stesso modo, dal punto di vista storiografico, testimonianza e documento sono due entità ben distinte, che richiedono specifiche analisi per ricavarne informazioni. Su questo punto, si veda la chiara esposizione in Luciano Canfora: Prima lezione di storia greca, Laterza. ↩
Ne ho accennato nella mia recensione a “Il Muro” di Peter Sis – Peter Sis: Il Muro, Rizzoli ↩
La criticità di queste analisi è ben segnalata dalla travagliata storia della ricerca di Hillberg, ora considerata il testo di riferimento per lo studio della Shoah – vedi Raul Hillberg: La distruzione degli ebrei in Europa, Einaudi -, e dall’intensità, per non dire ferocia, del dibattito seguito alla pubblicazione dei lavori di Goldhagen sulla Shoah. Vedi Daniel J. Goldhagen: I volenterosi carnefici di Hitler, Mondadori; Daniel J. Goldhagen: Una questione morale, Mondadori ↩
Su questo tema specifico, si può leggere Sarah Giddens: Capire Israele in 60 giorni, Rizzoli Lizard. ↩
In Italia, ad esempio, tuttora l’unico testo che ricostruisca il rapporto fra fumetto e Shoah è Raffaele Mantegazza, Brunetto Salvarani: Le Strisce dei Lager : la Shoà e i Fumetti, Unicopli, la cui reperibilità non è ormai agevole. ↩
Edmond Calvo, Victor Danzette, Jaques Zimmermann: La Bete est Morte!, Gallimard. Calvo, Dancette e Zimmermann dedicano alla deportazione degli ebrei una sola vignetta la cui didascalia recita fra l’altro: “les hordes du Grand Luop avaiant commencé le plus atroce des plans de destuction des races rebelles“. Se questa sorta di riservatezza sul tema nascesse da scarsa conoscenza o dalla tradizionale ambiguità su tutto il periodo, legata alla vicenda di Vichy, è tema chiaramente oltre la portata di questo articolo. Gli autori francesi usano, come farà Spiegelman personaggi zoomorfi; il Grand Luop rappresenta Hitler. ↩
Si legga l’interessante articolo di Massimo Paravizzini: Bernard Krigstein, chi era costui? . ↩
Miriam Katin: We are on our own, Drawn And Quarterly. ↩
Gli occhi di Aldo Gay. Catalogo della mostra, Gangemi. Le illustrazioni sono disponibili qui. ↩
Joe Kubert: Yossel: 19 Aprile 1943, Free Books. Sull’opera vedi Davide Occhicone: Yossel: 19 Aprile 1943 / 8 Maggio 1943 ↩
Cfr.: Michel Kichka: La seconda generazione, Rizzoli Lizard ↩
Bernice Eisenstein: Sono Figlia dell’olocausto, Guanda. Il titolo originale, ” I was a child of holocaust survivors” suona “Ero una figlia di sopravvissuti dell’olocausto”; la sua resa italiana non è a parer mio felicissima. ↩
Cfr: Maria Agostinelli e Florinda Fiamma: Ovadia: a proposito di Maus, disponibie qui. ↩
Cfr.: Chris Claremont: Dio ama, l’uomo uccide, Panini Comics. Sull’opera, la cui edizione italiana è purtroppo ad oggi di difficile reperibilità, leggi Davide Occhicone: God Loves, Man Kills: la parabola di Claremont sul razzismo e la difficoltà di resistere all’odio per il diverso ↩
Otto Gabos: Esperanto, Black Velvet. Sull’opera, vedi Simone Rastelli: Esperanto. ↩
Gli autori omaggiano in vari modi Spiegelmann: ad esempio nei propri incubi la coprotagonista Anja si trasforma in topo ed i suoi persecutori in maiali. Probabilmente, citano anche Kriegstein, poiché scenario della vicenda è la metropolitana. Cfr. Tiziano Sclavi, Gianluigi Coppola: Dylan Dog #83 – Doktor Terror, Sergio Bonelli Editore. ↩
Pascal Croci: Auschwitz, Il Melangolo. In merito, vedi Davide Occhicone: Tornando ad Auschwitz: Pascal Croci e la necessità di raccontare, ancora, l’orrore ↩
Eric Heuvel, Ruud van der Rol, Lies Schippers: La stella di Esther, deAgostini. In merito, vedi: Michael Kimmelmann: No Laughs, No Thrills, and Villains All Too Real, New York Times 27/02/2008. Sull’opera: Simone Rastelli: La stella di Esther ↩
Al proposito, vedi l’articolo di Davide Occhicone: Da Spiegelman a Kubert, lezioni perdute. ↩
Raffaele Mantegazza, Brunetto Salvarani, op. cit. ↩
Molti indicano proprio un’opera di finzione, lo sceneggiato statunitense “Holocaust”, come l’innesco dell’interesse popolare verso il tema. Lo sceneggiato è stato tuttavia anche accusato di banalizzazione. Cfr.: Claudio Gaetani: Il cinema e la Shoah, Le Mani, pagg. 62-71 ↩
Introduzione in Joe Kubert, op. cit. ↩
Cfr.: David Bidussa op. cit.. ↩
Forse anche per evitare questa banalizzazione, resa paradossalmente possibile dalla bellezza delle tavole, Croci ha ritenuto importante concludere il volume con una propria lunga intervista dove spiega motivazioni ed obiettivi. Vedi Pascal Croci, op. cit.. ↩
Cfr.: Will Eisner: Il complotto, Einaudi. Sull’opera, leggi Alberto Casiraghi: Il complotto. ↩
Cfr.: Hannah Arendt La banalità del male, op. cit.. Sulla tesi della Arendt vale comunque la pena sottolineare come sulla sua riflessione possa aver agito il desiderio di diluire le responsabilità morali di Martin Heidegger, suo maestro e passato amante. ↩
Cfr. David Bidussa op. cit.. ↩
Greg Pak, Carmine di Giandomenico: Magneto: Testamento, Panini Comics. ↩
Cfr.: Robert Gellately: Norimberga: voci del passato. ↩
Cfr. Valentina Pisanty: Abusi di memoria, Bruno Mondadori. ↩
Jérémie Dress: Noi non andremo a vedere Auschwitz, Coconino Press – Fandango. Sull’opera: Simone Rastelli: Una sorta di ritorno a casa: Noi non andremo a vedere Auschwitz. ↩
Rutu Modan: La proprietà, Rizzoli Lizard. Sull’opera: Antonio Furno: La proprietà di Rutu Modan: un fumetto recitato come un film. ↩
Intendo la produzione professionale e mainstream: fumetto e illustrazione sono strumenti largamente utilizzati ad esempio nelle scuole, nella didattica riguardante la Shoah, come testimoniano le numerose iniziative e mostre organizzate da istituti negli ultimi anni. Da segnalare, oltre al saggio di Mantegazza e Salvarani su fumetti e Shoah – Raffaele Mantegazza, Brunetto Salvarani op. cit. – il libro di Pier Luigi Gaspa: Per la libertà, Settegiorni Editore, che si concentra sul racconto della Resistenza attraverso il fumetto. ↩
Enzo Traverso: Auschwitz e gli intellettuali, Il Mulino. ↩
L’intensità del rifiuto da parte degli italiani di affrontare le proprie responsabilità è dimostrata ad esempio dalle polemiche che hanno nel tempo accompagnato l’opera di Fabrizio del Boca – cfr.: Angelo del Boca: Italiani brava gente, Neri Pozza – o nei quaranta anni trascorsi prima che in Italia si pubblicassero alcuni romanzi di Pahor, come Necropoli – Boris Pahor, Necropoli, Fazi] ↩
Davide Toffolo: L’inverno d’Italia, Coconino Press. Sul’opera vedi Simone Rastelli: Davide Toffolo: L’inverno d’Italia. ↩
Walter Chendi: La porta di Sion, Edizioni BD ↩
Eugenio Belgrado: Le torri di fumo, Lavieri edizioni. ↩
Carlo Lucarelli, Mauro Smocovich, Paola Camoriano: È notte e sembra che faccia sempre più freddo, in Nuvole Nere #5, Edizioni Star Comics. ↩