Intervista a Eric Heuvel

Intervista a Eric Heuvel

In occasione del'uscita del volume La Stella di Esther, lospaziobianco intervista l'autore, Eric Heuvel: scopriamo la genesi di un progetto narrativo e di ricerca storica.

Come è nato il progetto di un fumetto sulla Shoah [HE-1]?
Fu nel 2000, quando venni a sapere, via TV e radio, quanto fosse basso il livello di conoscenza della II Guerra Mondiale da parte dei giovani studenti e dei ragazzi in generale. Alcuni nemmeno sapevano quando fosse vissuto Hitler, se prima o dopo Napoleone! Poiché io iniziai a conoscere la storia della II GM da un fumetto (all’età di dieci anni, nel 1970, dopo 25 anni di pace) pensai che potesse essere una buona idea raccontarne in un fumetto. Presi contatto con la Anne Frank Foundation (AFS) di Amsterdam.

Aveva già collaborato con l’AFS, vero?
Sì, avevo creato per loro illustrazioni e fumetti, quindi conoscevo le persone a cui rivolgermi. Furono entusiasti dell’idea: mi fornirono la documentazione ed affiancarono le persone insieme alle quali definimmo lo scenario per “De Ontdekking“, (“Un segreto di famiglia”).

Un lavoro in team…
Sì, io mi occupai della realizzazione grafica, mentre lo scenario fu un lavoro di gruppo. E, naturalmente, l’ASF curo’ la raccolta dei fondi per il progetto e gli aspetti didattici.

De Ontdekking è una sorta di prologo a “La Stella di Esther“?
La storia inizia negli anni 1930 e narra l’ascesa del nazismo, l’attacco tedesco all’Olanda e l’occupazione, che duro’ 5 anni. Racconta, fra le altre cose, la vita quotidiana, la resistenza, il collaborazionismo, l’estromissione degli ebrei dalla società olandese.

Le finalità didattiche erano quindi presenti fin dall’inizio…
Sì, questo è stato forse il primo fumetto sviluppato specificamente a scopi didattici. Dopo la sua pubblicazione, divenne un grande successo e ne fu sottolineata la vasta adozione nelle scuole da parte degli insegnanti di storia.

Da questo successo nacque l’idea che porto’ a “La Stella di Esther” [RA-1]: fu ancora una sua proposta?
No, fu l’ASF a prendere l’iniziativa per quella che divento’ “La Stella di Esther”. “De Ontdekking” parlava della persecuzione degli ebrei, ma si fermava alla loro raccolta nel campo di concentramento (Durchgangslager), da dove vennero deportati in Polonia, al ritmo di mille alla settimana; in pochi anni furono circa 100.000, nei campi di sterminio di Auschwitz e Sobibor. “De Ontdekking” non raccontava che cosa accadde in Polonia e quindi la Shoah; si limitava ad accennarne. Così, L’ASF propose di raccontare quelle vicende in un secondo lavoro, dove decidemmo di utilizzare alcuni personaggi già apparsi in De Ontdekking.

Quali furono le differenze di approccio e nel lavoro preparatorio rispetto a De Ontdekking?
Affrontavamo una vicenda che si era svolta in un contesto internazionale, così fummo affiancati da un gruppo di storici di varie nazioni, che incontrammo e consultammo in numerose occasioni. Il lavoro di scrittura fu quindi anche in questo caso un lavoro di un gruppo e scrivemmo questa storia utilizzando tutte le informazioni disponibili nei vari paesi. Questo anche per far prendere l’albo in considerazione nei diversi paesi. Correntemente è distribuito anche in Germania, attraverso le scuole. L’Anne Frank Zentrum di Berlino promosse uno studio sulla possibilità di utilizzare un fumetto come supporto didattico su un argomento così delicato. Il risultato fu che risulto’ largamente ben accolto negli istituti coinvolti nel progetto, a Berlino e nel Nordrhein-Westfalen.
Ora il nostro fumetto è adottato da Yad Vashem, in Israele, e ne è prevista la pubblicazione in Giappone, Stati Uniti, Brasile, Polonia, Ungheria e Francia. E ci sono stati contatti anche per la sua pubblicazione in Russia.

L’obiettivo didattico ha anche influenzato le scelte stilistiche?
Sì, naturalmente: il voler realizzare un’opera di supporto all’insegnamento della storia ha determinato la scelta di che cosa mostrare nell’albo. Ad esempio, sapere che i nostri lettori sarebbero stati dei bambini ci spinse ad evitare la brutale proposizione di scene di violenza.

Ho anche pensato che il suo obiettivo fosse rivolgersi alla parte razionale e morale del lettore ed evitare qualunque forma di sentimentalismo e patetismo.
Certamente. Poiché questo progetto era inteso come didattico fin dall’inizio, tentammo di evitare quei toni, che potevano essere interpretati come nostre interpretazioni delle vicende. Naturalmente, trattando di individui si devono a volte mettere in scena emozioni, ma questo è qualcosa di diverso dal sentimentalismo. Deve essere funzionale alla storia, non a trasmettere un messaggio. Gli studenti devono sviluppare le proprie riflessioni sull’argomento in maniera autonoma. Abbiamo anche sempre avuto in mente il fatto che stavamo scrivendo (e disegnando) per dei bambini e che questo romanzo a fumetti sarebbe stato solo un primo incontro con la II Guerra Mondiale e la Shoah. Sarebbe bello che alcuni dei bambini approfondissero l’argomento.

E lo stile grafico, che evita qualsiasi forma di espressionismo anche nelle scene più intense, è appunto funzionale a quell’approccio.
Ci sono state delle critiche sul mio modo di rappresentare Auschwitz. Troppo ‘pulito’, dicevano… Ma era semplicemente così. Era un campo di distruzione (Vernichtungslager) che funzionava come un orologio. Nessun bisogno di allarmare i nuovi arrivati, che sarebbero stati uccisi e bruciati entro poche ore, con morti e cadaveri marcescenti fra le baracche. Questo fu il caso, ad esempio, di Buchenwald o Bergen Belsen; e solo verso la fine della guerra, quando la disciplina scomparve ed altri campi (Auschwitz ad esempio) venero evacuati.

Il fatto che lei abbia usato lo stesso stile per le vicende dentro e fuori Auschwitz mi ha fatto pensare che intendesse mostrare come Auschwitz sarebbe diventata una parte della “vita normale” nel Nuovo Ordine Nazista.
Quella sarebbe stata, sarebbe potuta essere la vita normale per quelli che sarebbero vissuti fuori dai campi, senza poter esser parte della ‘Razza Dominanté [1]. Intendo i popoli slavi, che avrebbero servito i loro padroni, una volta che l’Europa Orientale fosse stata colonizzata. Nei campi ogni internato era destinato a morire. La maggior parte immediatamente dopo la selezione [all’arrivo (NdT)]. Una piccola parte di ogni carico veniva distrutta attraverso il lavoro. Le SS usavano l’espressione ‘Vernichtung durch Arbeit’ (distruzione attraverso il lavoro).

Ha approfondito le vicende storiche che facevano da scenario alla storia?
Si, certamente. Oltre a leggere tutto quanto mi fu possibile, ho visitato i campi di Auschwitz I e II (Birkenau), Majdanek e Sobibor, per documentarmi sul posto. Fu veramente duro trovarsi lì, ma l’importanza di narrare questa storia era fondamentale .

Ci saranno altri capitoli?
Sì, al momento sto lavorando con uno dei partner del progetto “La Stella di Esther” ad un terzo albo, nel quale narriamo le vicende della II Guerra Mondiale nel lontano oriente, dove l’Olanda aveva, in quel periodo, vaste colonie. L’Indonesia si chiamava allora “Indie Olandesi dell’estremo Oriente” e fu attaccata dall’impero giapponese. L’Olanda fu quindi l’unica nazione occupata sia dalla Germani sia dal Giappone [2]. Nella nostra società vivono ancora vittime di quelle due aggressioni. Subito dopo la resa giapponese, in Indonesia inizio’ la lotta per l’indipendenza che provoco’ anch’essa un gran numero di vittime da entrambe le parti, Indonesia ed Olanda. Intendiamo raccontare anche questa decolonizzazione ed alcuni schizzi preparatori sono disponibili sul mio sito, nella sezione blog [HE-2].

Gli autori hanno iniziato a cimentarsi con romanzi a fumetti dalla fine degli anni 1970; sto pensando a Spiegelmann, Sacco, Kubert e così via… Che cosa pensa abbia reso possibile questa evoluzione o scelta o impegno?
Penso che in un mondo dove la comunicazione attraverso le immagini acquista sempre più importanza sia comprensibile che il fumetto abbia raggiunto i reami dell’alta cultura e dell’arte. Ed anche la maturazione, la crescita interiore di molti degli autori che creavano i fumetti ha contribuito. Se sei giovane, forse è sufficiente riuscire a divertire; crescendo, emerge probabilmente il bisogno di educare ed informare, spingendo le persone a riflettere. Detto questo, va aggiunto che naturalmente vanno considerate le motivazioni di ciascun autore. Io, per esempio, un tempo pensavo mi sarebbe piaciuto essere un insegnante di storia ed ho anche intrapreso gli studi necessari.

Dopo La stella di Esther, verranno distribuiti in Italia altri suoi lavori? E conta di venire in Italia, magari a qualche festival del fumetto, ad esempio Lucca?
Per il momento non è previsto che alcuna mia serie appaia in Italia, ma chi può dire che cosa porterà il futuro. Quando accadrà, allora certo una visita a Lucca sarebbe interessante. Ma questo anche nel caso in cui non ci fossero i fumetti di mezzo.

Note
[1] Heuvel usa l’espressione ‘Master Racé, che è anche il titolo del racconto a fumetti breve di Kriegstein che per primo parlo’ esplicitamente della Shoah. Vedi [KR] ed il mio [RA-2].
[2] In realtà lo stesso vale per la Francia, che vide l’Indocina occupata dalle forze giapponesi.

Riferimenti
[HE-1] Eric Heuvel: La stella di Esther, deAgostini (2009).
[HE-2] Il sito di Eric Heuvel: www.eric-heuvel.nl.
[KR] Bernie Kriegstein: Master Race, in Impact #1, EC Comics. Le otto tavole che lo compongono sono disponibili presso: cacb.lospaziobianco.it.com.
[RA-1] Simone Rastelli: La stella di Esther (recensione).
[RA-2] Simone Rastelli: Il fumetto e la Shoah.

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