La mia memoria
Ho diversi ricordi dei discorsi del nonno.
Entrambi seduti sul divano beige della sala, quello con i cuscini quadrati dalla fodera ruvida, lui alla mia destra, altissimo, vicino al bracciolo, e io al centro del divano.
Avevo sette, forse otto anni e lui, con delicatezza, provava a spiegarmi la guerra. Per me erano storie lontanissime: cinquant’anni mi parevano un’infinità di tempo, erano inconcepibili per la mia mente di bambino.
Per lui invece era solo ieri e ricordava tutto del campo di lavoro in cui era stato rinchiuso: giovanissimo, da poco entrato in servizio nel genio-pontieri, venne fatto prigioniero con il numero 161162 del M.-Stammlager XC 6227, un campo fuori Lubecca, in Germania, dove venne deportato insieme ai suoi commilitoni dopo il voltafaccia italiano. Visse là, prigioniero di guerra dei nazisti, fino all’arrivo dei soldati americani.
Purtroppo il nonno morì che ero ancora piccolo e sento molto la mancanza di un confronto adulto con lui, tuttavia il suo ricordo è ancora molto vivo in me.
Anche se umanamente non ho mai conosciuto il vero freddo o i morsi della fame, anche se non ho mai visto un uomo di un metro e novanta tanto magro da piegarsi e cadere sotto il peso del lavoro forzato, anche se probabilmente non passerò un paio d’anni della mia vita a curarmi dai postumi di una bastonata sulla schiena presa da un soldato nazista, queste cose sono nella mia testa: in qualche modo ho memoria.
Ho visto con i miei occhi e sentito con le mie orecchie quello che la guerra fa alle persone: a quell’anziano amico del nonno che non usciva mai di casa senza un tozzo di pane in tasca, o all’amico Gino, che riuscì a scappare dalla prigionia a dorso di asino, ritrovando i compagni di sventura che lo credevano morto, solo a guerra finita. Ho ascoltato la voce del nonno, che non poteva fare a meno di chiedersi, ogni qualvolta incrociava una persona di nazionalità tedesca, se questi non fosse in qualche modo imparentato con il soldato che lo aveva picchiato alla fila per il convoglio.
Come diceva Primo Levi “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario” e io, come tanti della mia generazione e delle precedenti, ho visto e ascoltato i testimoni. Ho assimilato. In qualche modo ho memoria.
Fogli bianchi
È il 27 gennaio e mi trovo in un’aula del comune di Vanzaghello, nell’estrema periferia della provincia milanese. Sono lì per accompagnare una classe di terza media, in veste di educatore, a un’iniziativa per la giornata della memoria, ovvero la presentazione del fumetto Siamo tutti uomini – I colori dell’olocausto, sceneggiato da Francesco Ive Lombardo e illustrato da diversi disegnatori: Janjo, Dario Maglionico, Cosimo Cheone Caiffa e Toni Viceconti.
Chi è abituato a lavorare con i ragazzi sa quanto possa essere difficile un pubblico di tredicenni, specie se pescato in un paesello di provincia dove le possibilità e le iniziative culturali sono piuttosto rare. Spesso si dice, almeno qui, che quella sia “l’età della stupidera” e probabilmente è vero, ma lo è anche nel senso bello del termine: stupidità che è estrema ingenuità, un voler apparire grandi senza averne le fondamenta, un’ignoranza che non è altro che malcelata curiosità. In fondo ricordando si può capire: questi ragazzi sono solo fogli bianchi, desiderosi di iniziare a scriversi.
Undici anni di differenza non sono poi così tanti, ma in certi casi bastano a tagliare di netto due generazioni: loro non hanno avuto nonni prigionieri o parenti dispersi nella campagna di Russia, per loro la seconda guerra mondiale è storia antica.
Per quanto sia ovvio razionalmente, è solo in quest’occasione che mi rendo davvero conto della portata enorme di questa cosa: per ragioni anagrafiche, tra qualche manciata di anni saranno scomparsi tutti i testimoni diretti dello sterminio nazista, e già oggi siamo talvolta vergognosamente costretti a combattere il cancro del negazionismo.
Che ne sarà delle nuove generazioni, che saranno presto private anche delle testimonianze e dei racconti dei sopravvissuti e di quella sensazione di opprimente empatia che essi trasmettono? Riusciremo nei prossimi decenni a impedire che la memoria venga contraffatta e perduta nel vortice dei new media?
Raccontare la Storia: il fumetto al servizio della memoria
All’incontro sono presenti Viceconti e Lombardo: il primo si occupa della musica e del proiettore, il secondo parla ai ragazzi. Li fa sedere sparsi, a terra, prende distanza dal concetto di lezione. Mostra loro i volti nel nazismo: Hitler, Himmler, Eicke. Prova a farli parlare e leggere.
Ciò che mi colpisce è che gli autori cercano di trascinare gli studenti in una sorta di gioco di ruolo in cui riproducono regole e dinamiche delle varie fasi della società tedesca durante l’ascesa e la supremazia del nazismo.
Il gioco sembra funzionare e i ragazzi, sebbene non abbandonino il tipico distacco imbarazzato adolescenziale, si prestano e si lasciano coinvolgere. A ognuno viene dato un triangolo colorato: verde, rosa, viola, nero, rosso, blu, marrone, giallo, come quelli che venivano applicati alle divise dei prigionieri allo scopo di dividerli a seconda della loro “colpa”. Poi i ragazzi vengono disposti in differenti zone dell’aula, riproducendo metaforicamente il trattamento e la gerarchia dei prigionieri nei lager.
Questo è esattamente il filo conduttore seguito dal fumetto: otto storie da quattro tavole ciascuna, una per ogni triangolo, unico elemento a colori in tutte le storie.
La prima storia porta il triangolo verde, quello dei criminali comuni: Siamo tutti colpevoli, disegnata da Viceconti, narra infatti del ritorno di un ex-kapo ad Auschwitz, settant’anni dopo. La seconda, Io sono innocente, per i disegni di Maglionico, ha il triangolo rosa degli omosessuali (maschi, poiché alle donne veniva imposto il triangolo nero degli “asociali”), poi vengono le storie disegnate da Caiffa, il triangolo viola dei testimoni di Geova per Il soldato tedesco e il triangolo nero de Il folle, in cui il disegnatore riesce a proporre un apprezzabile stile caricaturale.
Tocca poi ai disegni di Janjo, con El convoy de los 927, che narra la storia dei ribelli spagnoli contrassegnati dal triangolo blu degli apolidi, mentre le tavole per i triangoli rosso e marrone, il primo per i prigionieri politici e di guerra, il secondo per Rom e Sinti, sono ancora di Viceconti: Gli eroi di Buchenwald, storia riguardante i detenuti russi di Buchenwald che riuscirono a nascondere e salvare dallo sterminio circa 900 bambini, e La memoria del vento, in cui si racconta la storia, spesso ignorata o dimenticata, dello sterminio di oltre 500 000 zingari, cui solo nel 2012 è stato dedicato un monumento commemorativo a Berlino.
L’ultima storia riguarda invece i due triangoli gialli sovrapposti a formare la stella di David, il simbolo ebraico: La stella del re, disegnata ancora da Caiffa, narra la storia di Cristiano X, re di Danimarca, il quale riuscì, nonostante il dominio nazista, a salvare il 99% degli ebrei presenti in territorio danese, grazie ad astute politiche di ostruzionismo e al favore e alla fiducia del suo popolo, per il quale le sue passeggiate a cavallo senza scorta, con la stella ebraica cucita per solidarietà sulla giubba reale, divennero un simbolo della silenziosa ostilità della nazione nei confronti del nazismo.
Siamo tutti uomini è un fumetto particolare, in cui tutto è mirato a uno scopo ben preciso: c’è poca armonia tra disegni e parole, con una notevole preponderanza di queste ultime (ogni storia è persino preceduta da una pagina di introduzione scritta), la gabbia è a volte costruita in modo ingenuo, e così le didascalie. Questo basterebbe ad affossare il giudizio critico su qualunque fumetto, ma in questo caso l’importanza è molto relativa alla luce del messaggio che gli autori si propongono di passare e che globalmente arriva forte e chiaro al lettore.
I colori dell’olocausto è un fumetto studiato appositamente per essere didattico, per aprire al lettore nuove porte, dare spunti, puntare i riflettori su quelle storie che, nel turbine dell’orrore inerente all’Olocausto e alla seconda guerra mondiale, difficilmente trovano la possibilità di essere raccontate.
In questo senso ritengo questa raccolta di racconti a fumetti un’iniziativa importante e preziosa, e non è un caso se gli autori vadano raccontando il loro lavoro là dove maggiormente è necessario che ci siano memoria e consapevolezza, ovvero le scuole.
Ora più che mai dobbiamo esserne coscienti: la memoria pesa sulle nostre spalle, dipende da noi, tramandarla, ora, è compito nostro.
Abbiamo parlato di:
Siamo tutti uomini – I colori dell’Olocausto
F. Lombardo, Janjo, D. Maglionico, C. Caiffa, T. Viceconti
la memoria del mondo libreria editrice, Gennaio 2015
80 pagine, brossurato, bianco e nero/colori, 9,00€
ISBN 9788898414529