Lo stato del fumetto in Italia: Riccardo Corbò

Lo stato del fumetto in Italia: Riccardo Corbò

Intervista a Riccardo Corbò per il nostro approfondimento sul fumetto in Italia.

Per completezza, pubblichiamo le interviste originali di chi ci ha supportato nella realizzazione del nostro approfondimento sullo stato del fumetto in Italia a fine 2024.

Riccardo Corbò

Giornalista professionista esperto di culture giovanili e curatore di mostre sulle icone pop del mondo dei comics.
Dopo alcuni anni come redattore e traduttore per case editrici di fumetti e come ufficio stampa per festival di Comics, nel 1997 inizia a collaborare con le rubriche del GR Rai in qualità di esperto di fumetto, videogioco e cartoons. Dal 2001 è assunto a Rai Net, dove è responsabile fino al 2007 del Portale e della Community. Per Rai Net ha curato l’edizione italiana di “Food Force”, videogioco creato dal WFP delle Nazioni Unite.
Ha curato per le edizioni Eri Rai il libro di interviste di Vincenzo Mollica “DoReCiakGulp” (2006). Dal 2007 al 2010 è responsabile web dell’offerta “Rai per la Cultura”.
Dal 2011 lavora al Tg3: per il sito del telegiornale ha ideato e realizzato le rubriche Tg3 Comics e Tg3 Ludus. I suoi servizi in TV sono per la rubrica “Tg3 Agenda del Mondo”, “Tg3 Mondo” e “Tg3 Persone”.
Per Rai Isoradio, dal 2014 al 2017 ha ideato e condotto i programmi “Fumetti con le ruote” e “La notte, un videogioco?”.
È il curatore, insieme a Vincenzo Mollica, della mostra presso il Museo del Vittoriano, a Roma, “Spider-Man, il più umano dei super-eroi”; della mostra presso Palazzo Bufalini, a Città di Castello, “Batman, Oscurità e Luce”; della mostra “80 anni di Batman” in collaborazione con Warner Bros, a Roma, a Romics; della mostra presso il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano “Batman, 80 years of Technology”  e della mostra “Simone Bianchi: Amazing Talent” a Palazzo Vitelli. All’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” è docente dal 2009 di Morfologia e critica della paraletteratura al Master di primo livello in Critica Giornalistica. Dal 2019 è docente del corso “Storia della Stampa e dell’Editoria” presso l’Accademia di Belle Arti RUFA – Rome University of Fine Arts.

Qual è, secondo lei, la tendenza principale del fumetto italiano di questi ultimi cinque anni, dovendone individuare solo una?
La “fluidificazione” del concetto di fumetto. Il fumetto tradizionale – una storia più o meno lunga, in albo o libro – resiste, ma conquistano il passo nuove forme che contengono sempre la grammatica base del fumetto (testo e immagine concatenati), ma sviluppata in singole vignette sui social, trasformata in etichette per il “food”, al servizio della divulgazione.

Le indagini AIE degli ultimi anni mostrano un boom dei fumetti in Italia, segno che appare di grande salute. Al tempo stesso, se questi numeri si confrontano con le copie vendute e le entrate medie degli autori e delle autrici italiane – ad esempio guardando le indagini di MeFu – si nota che questo settore è povero e con diritti limitati, ancor più che in altri Paesi. Quali potrebbero essere le soluzioni per rafforzare questo settore, soprattutto per autori e autrici, e arrivare a una maggiore sostenibilità economica?
Una soluzione potrebbe essere arrivare ai finanziamenti statali, come quelli per il cinema e il teatro, ma – a parte il fatto che attualmente in Italia il Governo punta alla direzione opposta – il mondo del fumetto è troppo frammentato e, se vogliamo essere burocratici, di fatto “inesistente”. A livello fiscale non esiste una categoria professionale specifica per chi fa fumetto e non esiste una vera associazione sindacale che abbia un reale peso a qualunque tavolo di trattativa.
Questo genera anche un altro paradosso: chi è un fumettista professionista in Italia oggi? C’è differenza tra un giocatore di calcio che gioca in serie A, vince lo scudetto e vince la Champions League e casomai anche i Mondiali con la Nazionale, e io che ogni tanto mi faccio una partita a calcetto fantozziana, o siamo tutti “giocatori di calcio”? È evidente che i primi giocatori guadagnino milioni e che io debba pagare per il campo e tutto il resto, che i primi abbiano un pubblico internazionale e che invece a me non venga a guardarmi neanche un cane randagio.
Nel mondo del fumetto, invece, c’è un immenso calderone di “fumettisti”, dove a vendere sono soprattutto i manga, poi distantissimi i supereroi americani, poi ancora due o massimo tre grandi autori e poi una massa di fumettisti che nessuno compra e non si capisce se perché c’è un complotto dei rettiliani contro di loro o semplicemente non sono capaci.
Alcuni propongono la soluzione di un “salario minimo” del fumettista, che l’editore sia obbligato per legge a pagare. Chi propone questa soluzione, perché oggi non viene pagato decentemente, non si rende conto che semplicemente un domani, con questa soluzione, non lavorerebbe proprio più. Quando un piccolo e scalcagnato editore – che oggi si regge proprio su questo tossico rapporto di non pagare autori che accettano di non essere pagati – dovesse per legge essere obbligato a pagare un salario minimo che non può permettersi, salterebbe semplicemente a gambe all’aria e chiuderebbe. Gli editori seri e storici, pur avendo abbassato i loro compensi, continuano a pagare i loro autori delle cifre importanti. È evidente però che questi editori non sono interessati a pubblicare indistintamente tutti i fumettisti che ogni anno si affacciano sul mercato e che il pubblico non vuole comprare.

Sempre guardando a questi dati, la produzione dei fumetti segue quella dell’editoria in generale: moltissimi sono i titoli prodotti ma scarsamente pubblicizzati, sussiste un grande ricambio nelle librerie e sono pubblicati pochissimi longseller. Ci sono rischi della formazione di una bolla produttiva a un certo punto insostenibile?
La bolla produttiva si è già formata da anni, ma non sarà mai insostenibile fin quando, per i più svariati motivi, una notevole massa di fumettisti accetta di cedere la propria opera a editori di basso livello, per paghe praticamente inesistenti che consistono in poche centinaia di euro per impegni di anche oltre un anno di lavoro. Il sistema funziona perché è come se fosse una immensa catena di fast food, dove chi gestisce i negozi ovviamente fattura e anche bene, poi stranamente le mucche si domandano come mai – loro che senza le quali non esisterebbe il settore – mangiano solo un poco d’erba e anzi dopo un paio di anni misteriosamente spariscono.
Fin quando il fumettista medio avrà la consapevolezza di una mucca da carne per fast food, la bolla non esploderà mai.

In termini di vendite e aumento dei lettori, il manga ha sicuramente fatto da enorme traino, essendo il comparto che è più cresciuto in assoluto. Secondo lei questo boom del manga (che a mio modo di vedere unisce un effettivo aumento di lettori all’emersione di lettori “oscuri”, quando i manga sono scomparsi dalle edicole e apparsi [MANCA QUALCOSA?]) fa bene al fumetto italiano, facendo da traino, o rischia di ridurre e schiacciare gli spazi per esporre anche altri tipi di opere?
Diciamo che fa abbastanza bene al fumetto, fin quando gli spazi di vendita aumentano per ospitare i manga, e qualche italiano si trova quindi in un ecosistema forte. Ma alla fine sono due settori e prodotti diversi, il pubblico non è detto che sia comunicante. È come chiedersi se Sanremo fa bene alla musica lirica, o se la prima alla Scala aiuta i pianisti da piano bar.
Solo il fumetto, con uno strano senso dell’orgoglio, rivendica la mancanza di differenze tra autori, generi, settori, ma poi il mercato spietatamente la ripresenta.

Nel periodo precedente e durante la pandemia in Italia si è affermata una forma di racconto a fumetti incentrata sull’autobiografia, spesso nata sui social e poi trasferitasi su carta. Nel 2023/2024 questa tendenza sembra essersi quantomeno ridimensionata, con un maggiore spazio anche per altri generi e per autori e autrici con background diversi, soprattutto autoprodotti. Vede anche lei un certo cambiamento nelle tendenze di questi ultimissimi anni in questo senso, una maggiore differenziazione in termini di contenuti e voci?
Sì, ma nel senso che proprio il fumetto autoriale, a prescindere dalla differenziazione, si è ridimensionato sul venduto, qualunque contenuto presenti.

In questi ultimi anni la distribuzione e i formati del fumetto sono molto cambiati, spostandosi dagli albi spillati e brossurati da edicola a volumi più corposi da libreria e fumetteria. Che impatto ha avuto questo sulla diffusione e la lettura del fumetto? Se da una parte è vero che c’è più attenzione verso queste opere negli ambiti librari, è vero anche che i prezzi sono mediamente aumentati di molto e che la distribuzione delle librerie sul territorio italiano è molto varia, con grosse differenze tra Nord e Sud.
L’impatto è al contrario. Sono stati i cambiamenti della diffusione della lettura dei fumetti, a modificarne la forma e il prezzo, non il contrario.
L’intrattenimento e l’escapismo a bassissimo costo è stato vampirizzato dagli smartphone. Il pubblico non compra più fumetti a basso costo, in maniera ondivaga, perché trova contenuti a costo ancora più basso e ancora più “portatili” sul cellulare. Gli editori hanno quindi mutato la loro strategia e hanno puntato su quei pochi appassionati assoluti di fumetto, alzando però i prezzi, per rimediare alla quantità di lettori perduti.

In questo senso, un settore importante del fumetto è il fumetto per bambini e ragazzi, e questo è vero per tutto il mondo (basta guardare alle vendite dei fumetti di Dav Pilkey negli USA, per esempio). Anche in Italia le classifiche di vendita sono dominate dai fumetti per bambini, siano esse raccolte di vignette umoristiche come Pera Toons che storie più lunghe e articolate come quelle realizzate da alcuni content creator, uno su tutti Lyon. Al tempo stesso, i cambiamenti nella distribuzione di cui abbiamo parlato hanno modificato un po’ la fruizione e l’accesso dei bambini e ragazzi a questi prodotti. Come valutate lo stato di salute del fumetto per ragazzi in Italia, anche al di fuori di quei pochi nomi di cui abbiamo parlato?
Mi pare ottimo, nel senso di libri per l’infanzia. I genitori – disperati perché i figli non leggono più – comprano qualunque cosa a forma di libro e i bambini sono ben contenti di leggere fumetti, prima di accedere allo smartphone.

Dopo i difficili anni della pandemia, stiamo assistendo a un rifiorire di festival, alcuni con al centro proprio il fumetto, altri molto più generalisti e dispersivi, anche se in generale mi sembra che ci siano delle differenze rispetto al passato. Che ruolo hanno e avranno i festival in questo settore?
I festival sono importanti per l’incontro umano tra autore e pubblico e anche per la vendita diretta al pubblico, che sia dell’editore o dell’autore stesso.
Detto questo, i festival in senso ampio sono sempre di più una specie di trappola tossica per i fumettisti, perché dietro a un nome con “comics” dentro, che parrebbe far intuire un forte interesse degli organizzatori per il fumetto, contengono ormai tutto tranne che i fumetti. Ospiti pornodivi, guide turistiche dei cimiteri, ballerini, cantanti, lanciatori di coltelli, venditori di ramen, gente nuda a vario titolo… I fumettisti si trovano, quando riescono a esserci, in mezzo a un pubblico che li ignora totalmente, creando loro disagi personali e commerciali.
La situazione non è destinata a migliorare per ora, perché il pubblico pagante non paga per i fumettisti e gli organizzatori che devono far quadrare il bilancio per non fallire, si adeguano.

Nonostante alcuni importanti progetti quali Tacotoons e Jundo Comics, oppure la neonata Zipaki, mi sembra che il fumetto digitale, soprattutto a pagamento, in Italia faccia ancor più fatica che negli altri paesi ad affermarsi. Quali sono, secondo lei, motivi?
Fumetti che rispondono poco ai gusti effettivi del pubblico digitale disposto a pagare, direi.

Una domanda che riguarda anche la stampa e la critica. Oggi il fumetto ha una grossa diffusione, ma ci sono i canali, i tempi e le modalità per poter parlare delle opere con un occhio critico, magari severo ma attento, oppure i tempi del giornalismo e la comunicazione da social media stanno appiattendo questo tipo di lavoro? Più in generale, ci sono cose che pensa potrebbero e dovrebbero cambiare per comunicare meglio il fumetto?
Più che il giornalismo, che non vedo molto cosa c’entri, direi che i tempi e i modi dei social media, hanno appiattito e appiattiranno ancora il modello di comunicazione. Di fronte a un teorico insieme infinito di comunicatori, sui social, attira di più l’attenzione chi fa contenuti clamorosi, controversi, spettacolari, collegati ai trend che l’algoritmo premia. Mi pare evidente che in questo modo l’approfondimento e l’occhio critico assoluto non siano premiati.

Più in generale, ci sono cose che pensa potrebbero e dovrebbero cambiare per comunicare meglio il fumetto?
Come in quasi tutti gli altri settori della comunicazione e dello spettacolo e anche della cultura, il pubblico non vuole solo il contenuto, ma il rapporto con un autore. Non è che i cantanti o i musicisti cantano e suonano nascosti in una scatola, anzi, si creano un loro personaggio, un loro look, un loro modo di rendere in carne e ossa la propria canzone, la propria performance, una loro forte personalità.
Il pubblico vorrebbe la stessa cosa nel fumetto, ma sono pochissimi i fumettisti che abbiano un ragionamento funzionante e funzionale, del loro rapporto diretto fisico, col pubblico.

Chiudiamo guardando al futuro: cosa pensa che succederà nei prossimi cinque o dieci anni nel fumetto italiano? Identifica già l’emergere di nuove direzioni, idee e sviluppi?
Se fossi capace di tanto, sarei miliardario. A occhio, direi che il fumetto diventerà sempre più fluidificato, fondendosi e mutando con altri linguaggi.

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