Per completezza, pubblichiamo le interviste originali di chi ci ha supportato nella realizzazione del nostro approfondimento sullo stato del fumetto in Italia a fine 2024.
Emilio Varrà
Ha fondato nel 1996 Hamelin Associazione Culturale che lavora nel campo dello studio della letteratura per ragazzi, dell’educazione alla lettura, dell’organizzazione di mostre e eventi sul fumetto e l’illustrazione. Tra questi BilBOlbul. Festival internazionale di fumetto, BOOM! Crescere nei libri e A occhi aperti. Disegnare il contemporaneo.
Autore e coautore di volumi dedicati alle opere di scrittori come Twain, Kipling, o autori di fumetto come Muñoz, Altan, Giardino, all’analisi delle metafore d’infanzia, all’evoluzione degli ultimi venti anni di letteratura per ragazzi in Italia, al linguaggio dell’albo illustrato contemporaneo, alla storia della graphic novel degli ultimi trent’anni. È tra i fondatori della rivista “Hamelin. Storie, figure, pedagogia”. Lavora nella redazione alla rivista “Gli Asini”.
Dal 2005 insegna all’Accademia di Belle Arti di Bologna all’interno del Corso di Fumetto e Illustrazione nei corsi di Metodologie e tecniche della comunicazione e Scrittura creativa.
Qual è, secondo lei, la tendenza principale del fumetto italiano di questi ultimi cinque anni, dovendone individuare solo una?
La sensazione prevalente è quella di un naturale esaurimento della “ventata di novità” della graphic novel, inteso come fenomeno non come validità di singole opere che pure continuano a uscire. È un andamento naturale considerato che esso ha cominciato a penetrare nell’immaginario comune da una quindicina di anni. Lavorando spesso con nuove generazioni di autori e di autrici si percepisce anche l’idea che la pubblicazione di un volume da libreria non sia più una priorità; sta piuttosto prevalendo l’interesse per una ramificazione diversificata di prodotti editoriali che vanno dalla fanzine personale alla rivista collettiva autoprodotta alla micro editoria. Non c’è una separatezza ideologica tra queste diverse forme di produzione e distribuzione editoriale, non si tratta di un mercato indipendente “antagonista”, piuttosto c’è maggiore consapevolezza dei limiti strutturali che si incontrano nel momento in cui si crea una graphic novel: la richiesta di una certa foliazione (che non sempre è la più adatta per quello che si vuole raccontare), la sproporzione tra tempi e fatica di produzione ed effettivi guadagni, la possibilità di far circolare l’opera, di darle visibilità e la sua permanenza in libreria.
Le indagini AIE degli ultimi anni mostrano un boom dei fumetti in Italia, segno che appare di grande salute. Al tempo stesso, se questi numeri si confrontano con le copie vendute e le entrate medie degli autori e delle autrici italiane – ad esempio guardando le indagini di MeFu – si nota che questo settore è povero e con diritti limitati, ancor più che in altri Paesi. Quali potrebbero essere le soluzioni per rafforzare questo settore, soprattutto per autori e autrici, e arrivare a una maggiore sostenibilità economica?
Il sistema editoriale legato al fumetto è ancora estremamente fragile, ma il discorso si potrebbe estendere anche ad altri settori di mercato. In questi anni si è spesso confuso l’entusiasmo, comprensibilissimo, per una sorta di certificazione culturale del fumetto con la sua effettiva solidità sul mercato. È vero che la percentuale di lettori e di conseguenza anche quella delle vendite sono in aumento, ma si tratta di numeri ancora molto bassi per giungere a un reale equilibro. Mi sembra si possa intervenire in due direzioni: la prima è l’ampliamento del bacino di lettura, problema atavico nel nostro Paese e non solo per il fumetto. Sarebbe necessario moltiplicare le iniziative di formazione e di educazione alla lettura di un pubblico tanto giovanile (infanzia compresa) quanto adulto. Sono tante le manifestazioni dedicate al fumetto in Italia, ma sarebbe da chiedersi quanti lettori nuovi in effetti producano e quali sforzi si facciano in questo senso. D’altro canto, servirebbero anche delle politiche culturali dall’alto, per esempio dal Centro per il Libro e la Lettura, per facilitare la diffusione di fumetti in Italia, non solo nei luoghi specializzati ma anche nelle biblioteche e nelle scuole. La seconda direzione riguarda invece il mutamento di mentalità da parte della realtà editoriali, che sono settate su una scala di compensi assolutamente sproporzionata al lavoro richiesto. Da una parte “si fa di necessità virtù”, ma questa necessità viene via via metabolizzata come condizione di normalità.
Sempre guardando a questi dati, la produzione dei fumetti segue quella dell’editoria in generale: moltissimi sono i titoli prodotti ma scarsamente pubblicizzati, sussiste un grande ricambio nelle librerie e sono pubblicati pochissimi longseller. Ci sono rischi della formazione di una bolla produttiva a un certo punto insostenibile?
Direi che quello della bolla produttiva non è un rischio, è una realtà, è da capire se in effetti si è vicini a un tracollo. Non sento ancora questo rischio vicino, proprio perché si accetta una condizione di fragilità come dato di fatto. Magra consolazione è pensare che in realtà questi limiti riguardino tutto il mercato del libro.
In termini di vendite e aumento dei lettori, il manga ha sicuramente fatto da enorme traino, essendo il comparto che è più cresciuto in assoluto. Secondo lei questo boom del manga (che a mio modo di vedere unisce un effettivo aumento di lettori all’emersione di lettori “oscuri”, quando i manga sono scomparsi dalle edicole e apparsi [MANCA QUALCOSA?]) fa bene al fumetto italiano, facendo da traino, o rischia di ridurre e schiacciare gli spazi per esporre anche altri tipi di opere?
Il fenomeno dei manga, ma il discorso può essere più generale, porta un vantaggio immediato ai produttori che ne sono interessati direttamente. Che portino vantaggi o svantaggi nei confronti dell’intero settore dipende dalla reazione dell’intera filiera da una parte e dalla capacità di “assorbimento culturale”. Se il boom del manga portasse a un certo tipo di informazione che lega le uscite più recenti o di maggior successo ad altri titoli (giapponesi o no), se ci fosse un certo modo di presentarli in libreria, se ci fosse un’attività anche di formazione per avvicinare un pubblico ancora non educato al fumetto in generale e che ci si avvicina per la prima volta spinto dalla curiosità per il manga, allora sarebbe tutto molto positivo. Purtroppo, sappiamo che invece l’atteggiamento è quello di sfruttare tutto lo sfruttabile al fenomeno senza pensare a un investimento futuro. Ecco che allora tocca guardare con preoccupazione il fatto che il manga stia occupando sempre più scaffali in libreria, riducendo la varietà dell’offerta.
Nel periodo precedente e durante la pandemia in Italia si è affermata una forma di racconto a fumetti incentrata sull’autobiografia, spesso nata sui social e poi trasferitasi su carta. Nel 2023/2024 questa tendenza sembra essersi quantomeno ridimensionata, con un maggiore spazio anche per altri generi e per autori e autrici con background diversi, soprattutto autoprodotti. Vede anche lei un certo cambiamento nelle tendenze di questi ultimissimi anni in questo senso, una maggiore differenziazione in termini di contenuti e voci?
Concordo su questa visione, anche secondo me c’è una diversificazione e una maggiore ampiezza di direzioni: dalla fiction vera e propria al fumetto per i più giovani, alle forme più sperimentali e ibridate con altri linguaggi. Insomma, il panorama forse è meno compatto se lo si guarda da fuori, ma penso sia più ricco di possibilità.
In questi ultimi anni la distribuzione e i formati del fumetto sono molto cambiati, spostandosi dagli albi spillati e brossurati da edicola a volumi più corposi da libreria e fumetteria. Che impatto ha avuto questo sulla diffusione e la lettura del fumetto? Se da una parte è vero che c’è più attenzione verso queste opere negli ambiti librari, è vero anche che i prezzi sono mediamente aumentati di molto e che la distribuzione delle librerie sul territorio italiano è molto varia, con grosse differenze tra Nord e Sud.
La presenza di volumi a fumetti in libreria è stata fondamentale per l’affermazione delle graphic novel e anche per un ampliamento del pubblico di lettori e lettrici, che comunque è un dato significativo. E il fatto che tali libri si presentassero anche in un certo modo, con un certo aspetto, non è stato indifferente. I prezzi sono indubbiamente aumentati, ma sinceramente anche in questo caso si tratta un’abitudine e di un atteggiamento culturale. Parlo in continuazione con persone che dicono che i libri costano troppo e vedo poi a prendersi un aperitivo. Non sono polemico, ma vuol dire che è vissuto in modo più normale lo spendere 15 euro per due birre che per mezzo libro. Ognuno fa delle scelte.
Quello che mi sembra invece per lo meno fastidioso è che tanti libri, nella “lotta disperata” di conquistarsi un centimetro in più di spazio sugli scaffali della libreria, si presentino con formati sempre più grandi e preziosi. Sembrano tutti libri di lusso. A volte tali formati nuocciono alla stessa storia a fumetti che risulta visivamente esile perché avrebbe bisogno di spazi più compressi, di un formato e un oggetto più sobrio. Non è un fenomeno solo italiano, in Francia è una tendenza molto evidente (e francamente insopportabile).
La distribuzione è un problema gravissimo ed endemico, che condiziona la vita e la sopravvivenza di tante realtà editoriali. Un problema più sotterraneo rispetto alla permanenza dei libri sugli scaffali per i clienti, ma molto più cruciale.
In questo senso, un settore importante del fumetto è il fumetto per bambini e ragazzi, e questo è vero per tutto il mondo (basta guardare alle vendite dei fumetti di Dav Pilkey negli USA, per esempio). Anche in Italia le classifiche di vendita sono dominate dai fumetti per bambini, siano esse raccolte di vignette umoristiche come Pera Toons che storie più lunghe e articolate come quelle realizzate da alcuni content creator, uno su tutti Lyon. Al tempo stesso, i cambiamenti nella distribuzione di cui abbiamo parlato hanno modificato un po’ la fruizione e l’accesso dei bambini e ragazzi a questi prodotti. Come valutate lo stato di salute del fumetto per ragazzi in Italia, anche al di fuori di quei pochi nomi di cui abbiamo parlato?
Il fumetto per l’infanzia e per ragazze e ragazzi sta conoscendo un risveglio dopo anni di letargo totale. La vera svolta si è avuta con Raina Telgemeier: non solo per il successo specifico dei suoi libri, ma perché il fumetto era pubblicato da un editore che aveva già una tipologia di lettori legati all’infanzia e fidelizzati. D’altra parte, è sano che certi editori di fumetto (in primis Tunué) persistano nella loro vocazione. Quindi il momento è positivo, ma ha ancora con dimensioni limitate. Meno limitato è lo scenario internazionale, ad esempio nel mercato USA, dove questo fenomeno è evidente e ne è un segno concreto il fatto che la Bologna Children’s Book Fair si sia aperta qualche anno fa al fumetto, con un premio dedicato, una parte di padiglione (il Comics Corner) e incontri dedicati.
Dopo i difficili anni della pandemia, stiamo assistendo a un rifiorire di festival, alcuni con al centro proprio il fumetto, altri molto più generalisti e dispersivi, anche se in generale mi sembra che ci siano delle differenze rispetto al passato. Che ruolo hanno e avranno i festival in questo settore?
Anche sul piano dei festival e delle manifestazioni sul fumetto lo scenario è cambiato: sia in termini quantitativi, sia qualitativi. Il fatto che sia nato il RIFF è un segno di maturazione del settore. Poi la varietà di obiettivi, nature e vocazioni rimane ed è giusto che sia così, per un certo verso: ha senso che un festival definisca gli obiettivi in stretta relazione con il territorio in cui opera. Gli obiettivi non sono mai astratti. Ad esempio, con Hamelin abbiamo creato prima BilBOlbul e poi A occhi aperti, che hanno obiettivi culturali ambiziosi e questo deriva certo dal nostro desiderio ma anche dal fatto che Bologna permette di lanciare queste sfide. Ma, a volte, poter presentare in luoghi di forte passaggio una selezione di fumetti può essere già una cosa preziosa. Quello che rimane importante e che può rendere questo settore sempre più fertile è appunto una lucida analisi di cosa si vuole fare e del contesto in cui si opera. E cercare anche di formare un nuovo pubblico che vada ad arricchire il numero di lettrici e lettori.
Una domanda che riguarda anche la stampa e la critica. Oggi il fumetto ha una grossa diffusione, ma ci sono i canali, i tempi e le modalità per poter parlare delle opere con un occhio critico, magari severo ma attento, oppure i tempi del giornalismo e la comunicazione da social media stanno appiattendo questo tipo di lavoro? Più in generale, ci sono cose che pensa potrebbero e dovrebbero cambiare per comunicare meglio il fumetto?
Bisogna distinguere ciò che riguarda la comunicazione e ciò che riguarda la critica. Per quanto riguarda la prima certamente si possono fare ancora tante cose, ma stiamo vivendo tempi felici rispetto a non troppi anni fa. Sul piano della comunicazione la doppia pagina a fumetti de La lettura ha un suo impatto, decisamente meno sul piano culturale.
La direzione su cui ancora bisogna lavorare tanto è invece un’attività pedagogica, di formazione e di educazione della lettura il più possibile diffuso e capillare, sia a livello geografico sia a livello di varietà di pubblico.
Sul piano della critica e di una riflessione che vada un poco oltre l’informazione o la recensione più immediata invece sento ancora una stasi preoccupante: non mi sembra che ci sia stata una maturazione della critica congrua alla trasformazione del settore. Certamente l’ambiente universitario non ha ancora accolto questa disciplina e non è neppur detto che una investitura accademica sia davvero la soluzione.
Chiudiamo guardando al futuro: cosa pensa che succederà nei prossimi cinque o dieci anni nel fumetto italiano? Identifica già l’emergere di nuove direzioni, idee e sviluppi?
Non mi sembra di vedere oggi direzioni creative e produttive particolarmente inedite rispetto a quelle di dieci o quindici anni fa. Forse si sta vivendo un momento di consolidamento. E non tutti i periodi possono avere la stessa vitalità. Questo non vuol dire che stiamo vivendo un brutto periodo: escono tanti libri, certo troppi, ma la nostra offerta editoriale ormai non ha nulla da invidiare a quella di altri paesi. Sul piano del movimento dal basso ci sono opere, proposte, autori e autrici vitali. C’è tutta una rete di manifestazioni che contribuisce. C’è un sottobosco interessante. Il problema più grande riguarda la fragilità di tutto questo settore produttivo e le abitudini di lettura del nostro paese.