Per completezza, pubblichiamo le interviste originali di chi ci ha supportato nella realizzazione del nostro approfondimento sullo stato del fumetto in Italia a fine 2024.
Virginia Tonfoni
Vive a Livorno, dove insegna nel liceo scientifico cittadino. Da anni si occupa di graphic novel: collabora con Alias de il manifesto e con numerosi festival letterari e di fumetto. È giurata del Premio Boscarato, del premio Pozzale-Luigi Russo e del Premio Tuono Pettinato. Si occupa di Comic Studies come ricercatrice indipendente ed è membro del Gruppo SnIF-Studying ‘n Investigating Fumetti. Nel 2017 ha pubblicato la biografia a fumetti di Violeta Parra, Violeta. Corazón maldito (Bao Publishing) disegnata da Alessio Spataro. È inoltre autrice con Andrea Benei e Matteo Contin del volume Tutti i critici sono bastardi (Edizioni Sido, 2021) e di un contributo nell’antologia Genere e Giappone (Asterisco, 2023).
Qual è, secondo lei, la tendenza principale del fumetto italiano di questi ultimi cinque anni, dovendone individuare solo una?
Per quanto riguarda il fumetto italiano mi sembra che ci sia (ancora) molto autobiografismo, molto giornalismo e si intravedono sprazzi interessanti di fiction.
Le indagini AIE degli ultimi anni mostrano un boom dei fumetti in Italia, segno che appare di grande salute. Al tempo stesso, se questi numeri si confrontano con le copie vendute e le entrate medie degli autori e delle autrici italiane – ad esempio guardando le indagini di MeFu – si nota che questo settore è povero e con diritti limitati, ancor più che in altri Paesi. Quali potrebbero essere le soluzioni per rafforzare questo settore, soprattutto per autori e autrici, e arrivare a una maggiore sostenibilità economica?
Realtà come quella di MeFu sono fondamentali per dare consistenza a quelle che fino alla creazione dell’associazione erano lamentale, comunque fondate, e recriminazioni frequenti ma isolate. Riflettere sulle professionalità e sui diritti delle lavoratrici e lavoratori del settore è importante per la definizione e formalizzazione di tariffari minimi condivisi. Questo scenario scoraggerebbe probabilmente le case editrici dal proporre condizioni contrattuali irricevibili e incoraggerebbe autrici e autori a non accettare accordi umilianti, con l’effetto di abbassare l’asticella della loro professionalità e del mestiere in generale, in termini di retribuzione, percezione e quindi credibilità.
Sempre guardando a questi dati, la produzione dei fumetti segue quella dell’editoria in generale: moltissimi sono i titoli prodotti ma scarsamente pubblicizzati, sussiste un grande ricambio nelle librerie e sono pubblicati pochissimi longseller. Ci sono rischi della formazione di una bolla produttiva a un certo punto insostenibile?
Che il mercato editoriale, soprattutto nel nostro Paese, abitato da lettori non proprio forti, sia insostenibile, lo dimostrano la politica del reso e del macero, dello scaffale dove le novità sopravvivono per una manciata di giorni. Anche a livello di impatto ambientale, la produzione editoriale così concepita è del tutto insostenibile.
In termini di vendite e aumento dei lettori, il manga ha sicuramente fatto da enorme traino, essendo il comparto che è più cresciuto in assoluto. Secondo lei questo boom del manga (che a mio modo di vedere unisce un effettivo aumento di lettori all’emersione di lettori “oscuri”, quando i manga sono scomparsi dalle edicole e apparsi nelle librerie) fa bene al fumetto italiano, facendo da traino, o rischia di ridurre e schiacciare gli spazi per esporre anche altri tipi di opere?
Considero il manga un (duraturo) fenomeno generazionale, non necessariamente legato a un interesse più vasto per il linguaggio, ma per fortuna magari alla pratica della lettura, fatto che da lettrice e da insegnante, mi pare comunque positivo. Quando dico generazionale, intendo che anche la mia generazione (sono della fine degli anni Settanta, nello scorso secolo!) leggeva manga, ma come ben fai notare, non li comprava in libreria. Ognuno di noi in anni più recenti ha visto gli spazi delle librerie e delle biblioteche invase dai volumetti in serie e si è trovato costretto a riflettere sul significato di questa vistosa, talvolta ingombrante presenza. Di spazio nelle librerie ce n’è comunque poco, ma è una questione legata alla sovrapproduzione.
Nel periodo precedente e durante la pandemia in Italia si è affermata una forma di racconto a fumetti incentrata sull’autobiografia, spesso nata sui social e poi trasferitasi su carta. Nel 2023/2024 questa tendenza sembra essersi quantomeno ridimensionata, con un maggiore spazio anche per altri generi e per autori e autrici con background diversi, soprattutto autoprodotti. Vede anche lei un certo cambiamento nelle tendenze di questi ultimissimi anni in questo senso, una maggiore differenziazione in termini di contenuti e voci?
La pandemia ha sicuramente scatenato narrazioni intimiste anche presso gli altri linguaggi, penso al cinema e alla narrativa. Il lockdown e l’isolamento forzato hanno probabilmente favorito pratiche e processi introspettivi, che spesso autrici e autori hanno trasferito nelle loro opere. Non interpreterei però il fiorire del genere autobiografico esclusivamente come uno dei numerosi effetti del Covid, ma più in generale come una risposta alla complessità dell’epoca contemporanea, alla precarietà, ai dovuti percorsi di autodeterminazione in una società esclusiva ed escludente. Negli ultimissimi anni, come storicamente accade quando la crisi diventa sistemica e diffusa, rifiorisce la fiction. A fianco di questa ricerca di evasione, che, come lettrici e lettori, è un momento rinfrancante, troviamo l’immancabile graphic journalism a far fronte al racconto di realtà.
In questi ultimi anni la distribuzione e i formati del fumetto sono molto cambiati, spostandosi dagli albi spillati e brossurati da edicola a volumi più corposi da libreria e fumetteria. Che impatto ha avuto questo sulla diffusione e la lettura del fumetto? Se da una parte è vero che c’è più attenzione verso queste opere negli ambiti librari, è vero anche che i prezzi sono mediamente aumentati di molto e che la distribuzione delle librerie sul territorio italiano è molto varia, con grosse differenze tra Nord e Sud.
L’approdo del fumetto in libreria è legato al formato che da un po’ di tempo (A Contract with God di Will Eisner è uscito in libreria nel 1978) chiamiamo graphic novel. Per anni questa definizione è stata al centro del dibattito tra gli addetti ai lavori. Poi, per fortuna, da qualche tempo ci siamo stancati e abbiamo convenuto che si tratta di una dicitura merceologica, che associa il fumetto autoconclusivo e autoriale al romanzo e per estensione al formato libro, proprio per poterlo commercializzare in libreria. Pur nella sconfinata varietà di sottogeneri, le caratteristiche cartotecniche dei fumetti in libreria fanno sì che il loro costo sia generalmente maggior non solo di quello di un fumetto, ma anche di un libro di narrativa o di un saggio. Non saprei dire a cosa sia dovuto il divario nella distribuzione libraria tra Nord e Sud, ma temo che si tratti di una questione di diversa domanda alla quale per una corretta e efficace politica di promozione della lettura, dovremmo rispondere probabilmente in modo opposto.
In questo senso, un settore importante del fumetto è il fumetto per bambini e ragazzi, e questo è vero per tutto il mondo (basta guardare alle vendite dei fumetti di Dav Pilkey negli USA, per esempio). Anche in Italia le classifiche di vendita sono dominate dai fumetti per bambini, siano esse raccolte di vignette umoristiche come Pera Toons che storie più lunghe e articolate come quelle realizzate da alcuni content creator, uno su tutti Lyon. Al tempo stesso, i cambiamenti nella distribuzione di cui abbiamo parlato hanno modificato un po’ la fruizione e l’accesso dei bambini e ragazzi a questi prodotti. Come valutate lo stato di salute del fumetto per ragazzi in Italia, anche al di fuori di quei pochi nomi di cui abbiamo parlato?
A giudicare dal fiorire di collane di fumetto nelle case editrici di varia e di letteratura per l’infanzia e i lettori young adult, lo stato di salute del fumetto per ragazzi in Italia non può che essere buono. Si tratta di un fenomeno forse determinato anche dall’andamento del mercato dell’editoria ragazzi, più positivo rispetto a quello dell’editoria generale. Semplificando molto, grazie al doppio codice, il fumetto è un linguaggio fortemente inclusivo. Per la sua caratteristica composizione dove testo e immagine convivono, sarebbe auspicabile includerlo nei percorsi di promozione della lettura, così come in generale nei contesti di apprendimento formale e informale.
Un ruolo importante in questo senso potrebbe giocarlo la scuola; benché sia importante ricordare che soprattutto al suo malandato stato attuale non può e non deve farsi carico di tutto, nelle aule della scuola dell’obbligo si può certamente iniziare a riflettere sul linguaggio in modo attivo, facendolo filtrare all’interno della progettualità e dell’intervento didattico. Ci sono poi le biblioteche, dove per i bambini e i ragazzi, grazie al lavoro di bibliotecarie e bibliotecari virtuosi, si attivano non solo gruppi di lettura i cui programmi pian piano includono anche i fumetti, ma anche laboratori con autrici e autori di fumetto.
Dopo i difficili anni della pandemia, stiamo assistendo a un rifiorire di festival, alcuni con al centro proprio il fumetto, altri molto più generalisti e dispersivi, anche se in generale mi sembra che ci siano delle differenze rispetto al passato. Che ruolo hanno e avranno i festival in questo settore?
A parte una timida ma costante tendenza a introdurre ospiti legati al mondo del fumetto in festival letterari, cinematografici e musicali, mi sembra opportuno, restringendo il campo al nostro ambito, distinguere tra fiere e festival. Nei primi, come è normale, si esalta e si spinge l’aspetto del mercato mainstream, mentre nei secondi, liberi da cosplayers, videogames e serie tv, si condivide una riflessione sul linguaggio, sulle sue nuove forme, sulle espressioni autoriali talvolta esplorando la scena internazionale (penso al TCBF, al vecchio BilBOlBul e in modo più estremo al nuovo Ad occhi aperti di Bologna, all’ARF! di Roma). Ci sono ovviamente contesti, come quello di Lucca Comics&Games e del Napoli Comicon, in cui le due tendenze confluiscono e forse non è un caso: il fumetto, che sempre più volentieri dialoga con altri linguaggi, come pittura e fotografia, rivendica il suo status di arte, è comunque indissolubilmente legato all’entertainment. Le differenze alle quali accenni sono probabilmente frutto di una rinnovata attenzione a questa dicotomia ed è curioso come nonostante la crescente porosità del linguaggio, la legittimazione che arriva dal mercato e la lampante qualità tecnica e artistica di molti lavori che si pubblicano, talvolta chi si occupa di fumetti, anche in campo di ricerca accademica, debba giustificare la propria attività. Nonostante tutto quello che abbiamo detto, spesso la percezione del fumetto per i non lettori è ancora ahimè infima. Ben vengano le fiere e i festival come spazi di incontro, scambio ed esplorazione, come porte che consentono di entrare e conoscere il fumetto, come finestre sul mondo esterno e sulle sue aspettative e necessità per chi in quella casa ci è cresciuto e ci vive ancora.
Nonostante alcuni importanti progetti quali Tacotoons e Jundo Comics, oppure la neonata Zipaki, mi sembra che il fumetto digitale, soprattutto a pagamento, in Italia faccia ancor più fatica che negli altri paesi ad affermarsi. Quali sono, secondo lei, motivi?
Immagino che abbia a che fare con la media anagrafica di un paese di vecchi, o di giovani vecchi affezionati alla carta. Nonché al basso potere d’acquisto dei meno vecchi (dentro e fuori) che li leggerebbero. Ma non sono la persona giusta alla quale chiederlo, visto che leggo fumetti sullo schermo controvoglia e solo per motivi di lavoro.
Una domanda che riguarda anche la stampa e la critica. Oggi il fumetto ha una grossa diffusione, ma ci sono i canali, i tempi e le modalità per poter parlare delle opere con un occhio critico, magari severo ma attento, oppure i tempi del giornalismo e la comunicazione da social media stanno appiattendo questo tipo di lavoro? Più in generale, ci sono cose che pensa potrebbero e dovrebbero cambiare per comunicare meglio il fumetto?
L’affollamento sugli scaffali è determinato da un ritmo di pubblicazione piuttosto incalzante ed è per la critica piuttosto impossibile garantire la copertura di molte delle uscite, soprattutto sulle pubblicazioni cartacee. Ci si dedica ai “libri più importanti”, ma chi decide quali sono? Siano lodati quegli spazi e contenitori che non temono i recuperi e la dedica di attenzioni a titoli non freschissimi. I social invece, per loro costituzione e format mediali, sostengono i ritmi indiavolati dell’editoria e sono lo spazio preferenziale per l’instant review. Insomma, mi sembra che ce ne sia per tutti i gusti. Non credo che il lavoro si stia appiattendo, ma di certo i fumetti non si salvano dall’attenzione di blogger improvvisi, ma del resto… it’s just entertainment!
Chiudiamo guardando al futuro: cosa pensa che succederà nei prossimi cinque o dieci anni nel fumetto italiano? Identifica già l’emergere di nuove direzioni, idee e sviluppi?
Le graphic novel costano tanto e temo costeranno sempre di più; questo non favorirà l’accesso dei giovani al fumetto d’autore o comunque al fumetto libro. Questo fenomeno potrebbe essere in parte contenuto o quantomeno tamponato da una buona accessibilità ai testi presenti nelle biblioteche. Le biblioteche però hanno bisogno di fondi per l’acquisto (il fondo speciale di 30 milioni non è stato previsto per il 2024, nonostante gli appelli di AIE e AIB), di formazione specifica sul linguaggio per i bibliotecari e di risorse per la diffusione. Che potrebbero comunque essere inutili se non saniamo questa dilagante generale diffidenza verso la cultura del libro (e la cultura in generale) promossa dai nostri governanti. Bisogna anche aggiungere che il rapporto tra biblioteche e fumetto è tutt’altro che stabile o facile, per molti motivi dei quali abbiamo provato a parlare durante il primo seminario “Ti leggerei ovunque. Fumetti, biblioteche, istituzioni” lo scorso anno a Treviso Comic Book Festival.
Per quanto riguarda le nuove direzioni, sono abbastanza sicura che l’estrema permeabilità del fumetto, così disponibile al dialogo transmediale, consentirà di vedere cose davvero nuove e spero interessanti. Certo, si userà sempre di più nel bene, ma temo soprattutto nel male, l’intelligenza artificiale.