Per completezza, pubblichiamo le interviste originali di chi ci ha supportato nella realizzazione del nostro approfondimento sullo stato del fumetto in Italia a fine 2024.
Paolo Interdonato
Scrive e parla, da almeno un quarto di secolo e quasi mai a sproposito, di fumetto e illustrazione . Ha imparato a districarsi nella vita, a colpi di karate, crescendo al Lazzaretto di Senago. Nonostante non viva più al Lazzaretto ha mantenuto il pessimo carattere e frequenta ancora gente poco raccomandabile, tipo Boris, con il quale, dopo una serata di quelle che non ti ricordi come sono cominciate, ha deciso di prendersi cura di (Quasi), rivista di critica del fumetto online pubblicata dall’associazione Oblò APS.
Qual è, secondo lei, la tendenza principale del fumetto italiano di questi ultimi cinque anni, dovendone individuare solo una?
Negli ultimi anni è diventato evidente che i fumetti si comprano sempre meno in edicola, uno spazio magico, che offriva prodotti a prezzi anche molto bassi e che si trovava a poche centinaia di metri da tutte le case. Ma oggi i fumetti in edicola sono sempre meno e sempre meno venduti: le librerie ne sono diventate lo spazio di distribuzione principale. I titoli che resistono in edicola vendono poco o comunque meno di quanto facessero anche solo l’anno scorso: una tendenza discendente e inarrestabile. Lo spostamento in libreria ha prodotto la trasformazione radicale del fumetto popolare e seriale.
Le indagini AIE degli ultimi anni mostrano un boom dei fumetti in Italia, segno che appare di grande salute. Al tempo stesso, se questi numeri si confrontano con le copie vendute e le entrate medie degli autori e delle autrici italiane – ad esempio guardando le indagini di MeFu – si nota che questo settore è povero e con diritti limitati, ancor più che in altri Paesi. Quali potrebbero essere le soluzioni per rafforzare questo settore, soprattutto per autori e autrici, e arrivare a una maggiore sostenibilità economica?
Si producono sempre più libri che vendono sempre meno. La battuta preferita da chi lavora nella grande editoria è “millecinquecento copie è il nuovo cinquemila!”, e giù risate (che sempre allegri bisogna stare che il nostro piangere…).
Erich Linder diceva che l’editoria è l’anti-industria per eccellenza, perché, mentre un’azienda sana produce il minor numero di tipi di saponette da vendere nel maggior numero di esemplari possibili aumentando la marginalità, l’industria dei libri si ostina a fare prodotti tutti diversi, con costi di lavorazione significativi, da vendere a segmenti sempre più mirati di acquirenti.
Nel mondo del consumo di informazione e intrattenimento digitali, stiamo assistendo a profilazioni sempre più mirate. Come si fa a garantire un guadagno opportuno a chi assume il rischio di impresa e, aumentando il plusvalore (uh!), alla forza lavoro? Dipende da chi vogliamo tutelare. Se pensiamo a chi fa i fumetti, credo che queste persone debbano assumersi il rischio di impresa e capire come arrivare al pubblico senza mediazione. Tanto, nell’enorme taglio dei costi, tutti i gruppi editoriali, anche i più grandi, hanno ridotto il personale addetto all’editing e alle pratiche redazionali. Se si pensa alle imprese, se la diminuzione di vendite è inevitabile come sembra, tocca incidere sui costi produttivi: e lì ci sono le AI, il “disegnomalismo” e il print on demand.
Per noi lettori si tratta di cose dannose, accidenti!
Sempre guardando a questi dati, la produzione dei fumetti segue quella dell’editoria in generale: moltissimi sono i titoli prodotti ma scarsamente pubblicizzati, sussiste un grande ricambio nelle librerie e sono pubblicati pochissimi longseller. Ci sono rischi della formazione di una bolla produttiva a un certo punto insostenibile?
Eh? Non ho capito la domanda. Forse dovresti chiederlo a Shockdom.
In termini di vendite e aumento dei lettori, il manga ha sicuramente fatto da enorme traino, essendo il comparto che è più cresciuto in assoluto. Secondo lei questo boom del manga (che a mio modo di vedere unisce un effettivo aumento di lettori all’emersione di lettori “oscuri”, quando i manga sono scomparsi dalle edicole e apparsi in libreria) fa bene al fumetto italiano, facendo da traino, o rischia di ridurre e schiacciare gli spazi per esporre anche altri tipi di opere?
I manga sono letti da molte più persone di quante poi effettivamente li comprino. Conosco soprattutto giovani e molto giovani che leggono su schermo tanto più di quello che esce. Il fenomeno delle “scanlation”, di cui non parliamo mai, continua a soddisfare i gusti di lettura di un sacco di gente. Mica Telegram lo si usa solo per chattare con i match di Tinder e per comprare la droga!
Poi va detto che i manga rappresentano la sola vera opportunità di longseller del fumetto (a parte Zerocalcare). Un manga di successo anche relativo resta in libreria, con tutti i suoi volumi, fino alla fine della sua serializzazione. Gli altri libri dopo poche settimane… puff! È chiaro che un prodotto con queste prospettive di presenza sugli scaffali ruba spazio agli altri. E, diciamocelo, il teorema di Sturgeon, “il 90% di qualsiasi cosa è spazzatura”, vale anche per il fumetto giapponese.
Nel periodo precedente e durante la pandemia in Italia si è affermata una forma di racconto a fumetti incentrata sull’autobiografia, spesso nata sui social e poi trasferitasi su carta. Nel 2023/2024 questa tendenza sembra essersi quantomeno ridimensionata, con un maggiore spazio anche per altri generi e per autori e autrici con background diversi, soprattutto autoprodotti. Vede anche lei un certo cambiamento nelle tendenze di questi ultimissimi anni in questo senso, una maggiore differenziazione in termini di contenuti e voci?
No.
In questi ultimi anni la distribuzione e i formati del fumetto sono molto cambiati, spostandosi dagli albi spillati e brossurati da edicola a volumi più corposi da libreria e fumetteria. Che impatto ha avuto questo sulla diffusione e la lettura del fumetto? Se da una parte è vero che c’è più attenzione verso queste opere negli ambiti librari, è vero anche che i prezzi sono mediamente aumentati di molto e che la distribuzione delle librerie sul territorio italiano è molto varia, con grosse differenze tra Nord e Sud.
Faccio da anni una battuta che mi ha garantito un sacco di nuove amicizie tra gli addetti ai lavori: “i graphic novel sono come i fumetti, solo fatti un po’ peggio”.
Non solo costano di più, ma sono fatti da gente che, nella gran parte dei casi, non ha avuto spazi di maturazione che non fossero la produzione di storie da centinaia di pagine. Poi c’è chi ha quella misura, è capace, impara, migliora e produce cose sempre più interessanti. Ma, nella maggior parte dei casi, ci troviamo di fronte a persone che non hanno uno spazio per formarsi che non sia quello delle scuole e delle accademie, tutta roba che viene prima – e invece – del lavoro.
In questo senso, un settore importante del fumetto è il fumetto per bambini e ragazzi, e questo è vero per tutto il mondo (basta guardare alle vendite dei fumetti di Dav Pilkey negli USA, per esempio). Anche in Italia le classifiche di vendita sono dominate dai fumetti per bambini, siano esse raccolte di vignette umoristiche come Pera Toons che storie più lunghe e articolate come quelle realizzate da alcuni content creator, uno su tutti Lyon. Al tempo stesso, i cambiamenti nella distribuzione di cui abbiamo parlato hanno modificato un po’ la fruizione e l’accesso dei bambini e ragazzi a questi prodotti. Come valutate lo stato di salute del fumetto per ragazzi in Italia, anche al di fuori di quei pochi nomi di cui abbiamo parlato?
Ci sono fumetti per bambini e ragazzi meravigliosi. E di quelli dovremmo parlare di più e più spesso. Poi ci sono questi fenomeni straordinari con cui non riesco proprio a entrare in sintonia. Mi pare che il “disegnomalismo” sia una pessima notizia per chiunque legga fumetti. Pera Toons, per fare un esempio che mi capita di avere sotto gli occhi perché piace a mia figlia settenne, ci mette meno tempo a riempire la pagina di un libro di quanto ce ne mettesse Gino Bramieri. E il rilievo sociale, artistico e culturale è il medesimo.
Dopo i difficili anni della pandemia, stiamo assistendo a un rifiorire di festival, alcuni con al centro proprio il fumetto, altri molto più generalisti e dispersivi, anche se in generale mi sembra che ci siano delle differenze rispetto al passato. Che ruolo hanno e avranno i festival in questo settore?
Non ne ho idea.
Nonostante alcuni importanti progetti quali Tacotoons e Jundo Comics, oppure la neonata Zipaki, mi sembra che il fumetto digitale, soprattutto a pagamento, in Italia faccia ancor più fatica che negli altri paesi ad affermarsi. Quali sono, secondo lei, motivi?
È semplice. Il fumetto digitale lo si legge su Telegram. E non è a pagamento. Ah… spesso non è neanche digitale.
Una domanda che riguarda anche la stampa e la critica. Oggi il fumetto ha una grossa diffusione, ma ci sono i canali, i tempi e le modalità per poter parlare delle opere con un occhio critico, magari severo ma attento, oppure i tempi del giornalismo e la comunicazione da social media stanno appiattendo questo tipo di lavoro? Più in generale, ci sono cose che pensa potrebbero e dovrebbero cambiare per comunicare meglio il fumetto?
Faccio, con mio fratello Boris Battaglia, una redazione meravigliosa e l’anti editore per eccellenza, Oblò – APS di Claudio Calia, una rivista di critica e storia dell’immaginario. Siamo tutti e tutte abbastanza indifferenti ai tempi e ai modi della comunicazione che ti garantisce larga visibilità. Addirittura, diciamo che (Quasi), il nostro giocattolo con un sacco di propaggini e deviazioni, è “la rivista che non legge nessunə”. Questo staccarsi radicalmente dalla logica quantitativa dei like e dell’influenza ci permette di analizzare, criticare, leggere, rileggere e mettere in prospettiva tutto ciò che ci piace, senza avere l’ansia di raccontare tutto mentre sta succedendo.
Chiudiamo guardando al futuro: cosa pensa che succederà nei prossimi cinque o dieci anni nel fumetto italiano? Identifica già l’emergere di nuove direzioni, idee e sviluppi?
Spero solo di essere stupito. Sono un lettore. Mi interessano pochissimo le tendenze dell’editoria, del mercato, dei canali eccetera. Mi bastano fumetti bellissimi e autorə che mi stupiscano.