Dei, eroi e supereroi: identità, epica ed etica (parte 3 di 5)

Dei, eroi e supereroi: identità, epica ed etica (parte 3 di 5)

Dei, eroi e supereroi sono protagonisti di racconti di epoche lontanissime fra loro, eppure non di rado le loro avventure ci mettono di fronte alle stesse questioni di senso, che hanno mantenuto il loro valore attraverso i secoli. Vediamone alcune, interrogando racconti e personaggi.

Dei, eroi e supereroi sono protagonisti di racconti di epoche lontanissime fra loro, eppure non di rado le loro avventure ci mettono di fronte alle stesse questioni di senso, che hanno mantenuto il loro valore attraverso i secoli. In questa terza parte, parleremo molto di Enea

Giustizia vs pietà

Nei precedenti articoli abbiamo visto come le azioni di eroi e supereroi si confrontino continuamente con l’idea di Giustizia, così che proprio attraverso questo confronto si forma una parte fondamentale della loro identità. Adesso facciamo un passo ulteriore, per indagare la capacità di questi personaggi di agire come “simboli”, cioè figure dell’articolazione del pensiero e della visione del mondo da parte delle culture che li esprimono.

Nell’assiologia dell’Eneide compare un valore nuovo rispetto a quella dell’Omeroverso: la pìetas, che indica la “disposizione dell’animo a sentire affetto e devozione verso i genitori, verso la patria, verso Dio e a operare di conseguenza, o, più in generale, rispetto reverenziale per ciò che è considerato sacro” (Treccani, 2a). La disponibilità a seguire le indicazione del Destino è componente fondamentale di questo valore, che contraddistingue Enea al punto da esserne diventata la connotazione ricorrente (“il pio Enea“).

Ma questo timore degli dei non lo rende immune alle passioni: in guerra il figlio di Anchise cede al furor. Davanti a Troia incendiata, sebbene sappia quale destino lo attenda e che la resistenza è inutile, prende le armi in preda all’ira. Lo stesso Enea è anche eroe del dubbio, accetta la vita come tristezza e dolore: sente l’amarezza della rinuncia all’amore con Didone, prova stanchezza e desidera quiete. È capo carismatico di una comunità di cui è parte, ma allo stesso tempo è solo. È soltanto lui l’agente del Fato, non l’intero gruppo di troiani esuli.

Per gli altri personaggi la situazione è diversa. Gli eroi sono condizionati dal destino, ma non continuamente determinati da esso: a parte Enea, agiscono come se fossero arbitri delle proprie scelte. Il Fato nell’Eneide garantisce le singole tappe e la meta finale, ma non si fa sentire come presenza nel corso dell’azione; è determinante in alcuni punti di svolta e nelle conclusioni, ma non pervade lo svolgimento del poema. È una costruzione coerente a una visione del potere come carismatico, cioè giustificato da un ordine superiore, del quale una persona si fa vicario ed espressione ed è leva sufficiente per muovere il popolo tutto.

I supereroi intrattengono con il Potere un rapporto molto più ambiguo ed esplicitamente problematico. In questo senso è significativo notare che i racconti nei quali sono i detentori del Potere mostrano i lati oscuri di una simile situazione. Pensiamo al Miracleman di Alan Moore, al Superman: Red Son di Mark Millar, a The Authority di Warren Ellis: questi racconti sono figli dell’inquietudine per il distacco del Potere dalla visione democratica, indagano la tensione fra sicurezza, conforto e autorità svincolata (ab-soluta) da qualsiasi possibilità di controllo su di sé.

Come abbiamo riflettuto altrove, il prezzo da pagare per la tranquillità è la libertà. In quelle visioni, si mostra la perdita di autonomia del genere umano, poiché sono i superumani a scrivere e a far rispettare il nomos (questo termine greco indica la Norma che è accettata dall’assemblea dei cittadini ed entra in uso in Atene ad opera di Clistene, in seguito alla sua fondamentale riforma del 508 a.C.).

Da quanto scritto finora, sembrerebbe di poter dire che mentre il Caos è qualcosa che riguarda le cause e il passato, il Fato riguarda i fini e il futuro. Ma è una differenza che sbiadisce non appena li si osservi con attenzione, considerandoli come funzioni euristiche rispetto agli eventi narrati: entrambi, infatti, incarnano e veicolano uno sguardo verso il passato. Tramite il Caos, operiamo una cesura nella catena causale e delle responsabilità: ciò che accade nel Kosmos dipende dallo stato in cui l’universo è emerso dal Caos, non da come ci sia arrivato.

Il Caos, in questo senso, è luogo senza memoria o con memorie strumentali, non falsificabili, per le quali non esiste la contrapposizione vero/falso: Joker in The Killing Joke dichiara che quella che abbiamo seguito è la sua ricostruzione preferita del proprio passato. Analogamente, il Fato, inteso come prospettiva teleologica, rende i tentativi di costruire una catena causale privi di senso, lasciando solo lo spazio per una drammatizzazione degli eventi, nel flusso dei quali l’umanità è immersa e dai quali è trascinata, talvolta verso la gloria di un impero, altre volte verso un Armageddon o un Ragnarok. È uno sguardo all’indietro, un senno di poi, una visione che cancella l’individuo e il presente perché presuppone un futuro univoco, quindi inevitabile. Di fatto, una simile impostazione si presta generalmente a giustificare uno scenario e una prospettiva attraverso l’esclusione di alternative. Non problematizza il corso degli eventi ma ne mette in scena l’ineluttabilità. Nel Fato, si stempera il concetto di Giustizia.

Salvatore Fiume, Anchise mostra al figlio i suoi discendenti

Torniamo al poema virgiliano. Giunone, divinità ostile ai Troiani e quindi a Enea dai tempi della scelta di Paride, si oppone al Fato; la sua opposizione è vana, ma, ecco la drammatizzazione, comporta alcuni accadimenti. La moglie di Giove è passionale, prova dolore e ira, e le sue passioni trovano largo spazio in scena. Di contro, Venere agisce in armonia con il Fato, ma lo fa perché è madre di Enea e ha a cuore il bene del figlio.

Dunque, se Giove aderisce al piano del Fato perché si identifica con esso (ma, ricordiamocelo: Giove non è il Fato né ha potere alcuno su di esso), Giunone, Venere, le altre divinità e a maggior ragione gli uomini, consapevoli oppure no, subiscono il Fato, impassibile davanti alle passioni di dei ed esseri umani.

Il Fato è anche inflessibile: richiede un prezzo iniquo. È giusto ma opera anche ingiustizie e, soprattutto, non deve renderne conto all’umanità. È cioè una Giustizia che risponde non a un modello di valori umano e autonomo, bensì a un Ordine Superiore. E l’Impero (l’Eneide, non dimentichiamolo, fu opera commissionata direttamente da Ottaviano Augusto) è semplicemente strumento di questo Ordine Superiore. Quanto vicina è questa resa del Fato alla tipica caricatura della corrispondenza hegeliana fra reale e razionale!

Gregorio Lazzarini, Morte di Didone

Immaginiamo, allora, che il Fato sia manifestazione di un Ordine Superiore, di una speciale razionalità sovraumana, di una Giustizia ineffabile che vincola l’azione umana e osserviamo in questa prospettiva le vicende degli eroi, mettendo in tensione le idee di Giustizia, vendetta e razionalità.

È importante notare che giustizia e vendetta possono esser viste come due modalità di gestione delle violazioni della norma divina (thesmos): la prima resta all’interno del thesmos stesso, mentre la seconda intende un’iniziativa al di fuori di esso.

In greco, quindi nella cultura degli eroi classici, la distinzione è netta, poiché l’espressione per “vendetta” è “ekdikesis“, letteralmente “fuori (ek) dalla Giustizia (dike)”: una simile azione richiede la necessità di uno specifico intervento per ristabilire il giusto equilibrio delle cose, responsabilità in carico a Nemesi. Quindi, poiché viola i dettami di Dike, argine contro l’hybris, la vendetta è un atto empio, che può arrivare a mettere in crisi le fondazioni della società. Quando questa crisi diventa sistemica, è necessario inventare un nuovo patto fra uomini e dei, che sancisca un nuovo ordine: è quello che avviene al termine dell’Orestea di Eschilo, che racconta la spirale di vendette nella casa di Argo, ulteriore strascico tragico della Guerra, causata, vale la pena ricordarlo, dall’ira di Eris, dalla vanità di Era, Atena e Afrodite e dalla viltà di Zeus: il macello umano sotto le mura di Ilio affonda le radici nell’irrilevanza della vita umana per gli dei olimpici.

Continua…

Dei, eroi e supereroi: identità, epica ed etica (parte 1 di 5)

Dei, eroi e supereroi: identità, epica ed etica (2/5)

 

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