Red Son: Superman e la morte delle ideologie

Red Son: Superman e la morte delle ideologie

Mark Millar immagina come sarebbero andate le cose se Superman fosse stato sotto la bandiera del comunismo russo.

Red_Son_coverGli “Elseworlds” sono una delle scelte narrative più stuzzicanti che uno scrittore seriale possa realizzare, solitamente riscuotendo un buon successo tra i lettori (qui un nostro approfondimento sulla materia).
L’idea di base è semplice: si prendono personaggi e situazioni note al pubblico e si ribaltano, cambiandone i presupposti e mostrando cosa sarebbe successo all’universo narrativo che tutti conoscono se le cose fossero andate diversamente.
In questo modo ci si può sbizzarrire, liberi da vincoli di continuity e da paletti prestabiliti, senza nemmeno rischiare lo scontento degli appassionati, dal momento che quello che si racconta si svolge su un piano narrativo parallelo.
Non è però facile scrivere un “Elseworld” intelligente, una realtà alternativa per i protagonisti di un fumetto che abbia una ragion d’essere, una motivazione o uno spunto di riflessione interessante.
Superman: Red Son è un esempio di questo tipo di scrittura ragionata.

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Con questa storia, lo sceneggiatore Mark Millar non si limita a cambiare alla base il mito dell’Uomo d’Acciaio, facendone cadere la navicella con cui è giunto sulla Terra a Mosca invece che a Metropolis, negli Stati Uniti d’America.
Al contrario, studia minuziosamente gli effetti che una situazione del genere potrebbero avere sul corso della Storia del nostro pianeta, concentrandosi su un periodo temporale particolare come era quello della Guerra Fredda, momento di massima tensione tra le due superpotenze mondiali.
Red_Son_2In uno scenario in cui si svolgeva la corsa agli armamenti da parte di USA e URSS, quale miglior deterrente alla bomba nucleare e ad altri tipi di attacchi se non un alieno dagli invincibili poteri? La presenza di un tale superuomo non solo fa pendere il piatto della bilancia decisamente da una parte, ma spazza letteralmente via la bilancia stessa. D’altronde, già il Dottor Manhattan dal Watchmen di Alan Moore postulava questo assunto, anche se con modi e circostanze diverse.

Questo ragionamento è comunque soltanto la base su cui si costruisce il complesso affresco di Red Son; anzi, forse ne costituisce addirittura l’elemento più superficiale.
Con il procedere della narrazione, infatti, molti sono i temi che emergono, a cominciare dalla dottrina morale di Superman. L’Azzurrone appare infatti un fervente sostenitore dell’ideologia comunista, grazie all’educazione impartitagli negli anni della crescita e alla vicinanza con Stalin, che ne fa il suo braccio destro. Eppure risulta evidente una contraddizione, ben spiegata dal capo della polizia di stato Pjotr Roslov: l’essenza stessa di Superman, aliena e imparagonabile a quella di qualunque terrestre, non è forse la negazione del principio di uguaglianza di ciascun cittadino su cui si basa il comunismo?
Non solo: il supereroe viene considerate uno speciale soldato dell’Unione Sovietica, ma lui stesso non si ritiene di proprietà esclusiva degli interessi russi, non esitando a difendere e salvare anche cittadini americani.

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L’estraneità di Superman verso la Terra risulta ben chiara anche ad uno scienziato americano, l’uomo più intelligente del mondo: Lex Luthor. Analogamente a quanto accade nella continuity classica, Luthor vede l’Uomo d’Acciaio come una minaccia, una devianza pericolosa da estirpare, la cui stessa esistenza sul nostro pianeta ne altera il normale andamento.
In questa realtà alternativa, essendo Superman un nemico sovietico, ha ancora più libertà di movimento nel cercare di eliminarlo: l’odio, la gelosia e l’isterismo con cui Luthor si oppone al personaggio evitano però che il protagonista possa riflettere con attenzione sull’eventuale fondatezza delle paure dello scienziato, e questo porta all’evoluzione più interessante presentata nel fumetto.
Red_Son_7Superman, a capo dell’URSS, espande il proprio governo fuori dalle regioni orientali e nel 1978 tutto il mondo si è unito all’Unione Sovietica, ad esclusione di Stati Uniti e Cile, senza spargimenti di sangue.
Mark Millar ci fa notare che tale scenario è solo apparentemente idilliaco, attraverso una narrazione serrata e l’intervento di alcune situazioni che incrinano quella superficiale perfezione: nel tentativo di fare del bene al mondo, Superman l’ha semplicemente assoggettato, influenzandolo e dominandolo secondo principi positivi ma pur sempre ponendosi come un despota alieno arrivato a dominare un popolo inferiore.

Red Son non è comunque un’opera esente da difetti: se dal punto di vista delle tematiche c’è ben poco da obiettare, sotto il profilo narrativo qualcosa scricchiola. Ad un certo punto si fa sentire il peso dei troppi personaggi DC inseriti, spesso senza che la loro presenza risulti davvero utile al racconto: questo elemento rende eccessivamente densa la sceneggiatura in alcuni punti, tendendo a divagare troppo o a non essere abbastanza chiara nell’esposizione dei fatti.
Alcuni snodi narrativi risultano forse troppo repentini, rischiando di non giustificare pienamente alcuni sviluppi descritti. Si tratta di inciampi che minano la fruizione dell’opera, ma che non ne intaccano il valore complessivo.

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I disegni di Dave Johnson e Kilian Plunkett accompagnano in modo riuscito e piacevole questa realtà alternativa orchestrata da Millar.
Il tratto di Johnson, responsabile della prima metà del volume, appare piuttosto sobrio, pulito e classico, caratteristiche che si possono riscontrare soprattutto nella rappresentazione degli sfondi urbani, tanto quelli occidentali di Metropolis quanto quelli più aperti e spogli di Mosca.
Red_Son_1La figura di Superman è statuaria e la sua espressione risulta sempre decisa, come si conviene ad una persona sicura di sé. L’artista riesce però a bilanciare questi tratti con un viso che sa anche essere aperto e allegro, a dimostrare l’essenza solare insita nel personaggio anche in questa versione.
Notevoli poi alcune splash-pages che il disegnatore piazza in punti strategici della storia, come quando Superman afferra il globo simbolo del quotidiano Daily Planet salvando un bambino, momento che Johnson realizza con una scena di grande iconicità.
Lo stile armonico dell’artista lascia il passo a quello leggermente più cupo di Kilian Plunkett, ben in linea con gli sviluppi della trama al centro della seconda parte della storia. Superman mostra i segni dell’età, Luthor anche, e i loro volti tradiscono questa condizione attraverso rughe e uno stile più ruvido di quanto visto nei capitoli precedenti. Quando poi, sul finale, il protagonista si rende conto della componente malata del suo ideale di vita e di politica, non solo il volto, ma tutto il suo corpo sembra accusare il colpo, e Plunkett riesce a mostrare quell’essere così prestante rattrappirsi su sé stesso in un’immagine quasi catartica.
Alle splash-pages della prima parte si sostituiscono vignette quadruple, sempre d’effetto e con un costante uso della simmetria.
Il lavoro di Dave Johnson sul costume, infine, è apprezzabile e originale, mostrato nelle varie fasi di studio dal ricco comparto editoriale in coda al volume Lion: la falce e il martello al posto della classica “S” è infatti un’idea tanto semplice quanto esteticamente e simbolicamente vincente, e l’evoluzione che l’outfit del protagonista conosce con l’accrescere della sua posizione riesce a mantenere i tratti distintivi della figura di Superman pur coniugandoli in maniera più “regale” e ricercata.

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Superman: Red Son
è un fumetto capace di porre interrogativi interessanti ai lettori: per quanto animato da buone intenzioni e volto al bene, è moralmente giustificabile un governo gestito da una sola persona, lontana anni luce per potenzialità e natura dai propri “sudditi”? Dove finisce il governo e inizia una dittatura inconsapevole? Un’ideologia buona può diventare una buona forma di governo?
Mark Millar ci suggerisce che non esistono risposte facili a simili domande, e che nemmeno la presenza di una persona dalle possibilità maggiori di un comune essere umano può garantire una forma di governo “giusta”, né la sopravvivenza di un’ideologia che non prevarichi le persone.

Abbiamo parlato di:
Superman: Red Son
Mark Millar, Dave Johnson, Kilian Plunkett
Traduzione di Matteo Marco Lucani
RW Lion, maggio 2015
176 pagine, cartonato, colore – 24,50 €
ISBN: 9788868737023

2 Commenti

1 Commento

  1. matteo

    24 Luglio 2015 a 13:27

    E comunque in italiano si scrive URSS e non URRS. Unione delle repubbliche socialiste sovietiche.

    • la redazione

      24 Luglio 2015 a 15:11

      Si tratta ovviamente di una distrazione, sappiamo benissimo come si scrive :). Grazie della segnalazione, provediamo a correggere.

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