Lo sceneggiatore britannico Al Ewing è entrato nel famoso X-Office – il gruppo di scrittori delle testate mutanti guidato dall’Head of X Jonathan Hickman e nato dopo il rilancio degli X-Men avvenuto con House of X/Powers of X – poco prima dell’abbandono dello stesso Hickman, diventandone successivamente uno dei pilastri narrativi assieme a Kieron Gillen e Gerry Duggan.
Avendo vissuto buona parte dei cinque anni dell’era Krakoana degli X-Men, che si sta avviando alla sua conclusione, Ewing è una delle voci più importanti e preparate per raccontare che cosa ha significato questo lungo periodo editoriale, sia da un punto di vista narrativo per i lettori, sia da un punto di vista professionale per lui e gli altri autori coinvolti.Ciao Al e benvenuto su Lo Spazio Bianco.
Sei entrato nel progetto mutante a cavallo tra la fine della gestione Hickman e quella che ha visto te, Kieron Gillen, e Simon Spurrier e Gerry Duggan come assoluti protagonisti della direzione delle storie. Come sono cambiati il tuo coinvolgimento e l’organizzazione del lavoro tra queste due fasi?
Per me è stata una transizione relativamente fluida, quantomeno: tendevo a fare riferimento a chi c’era già da prima di me, così come avevo fatto con Jonathan [Hickman, n.d.r.] quando era ancora nel team, quindi a persone come Gerry, Vita [Ayala, n.d.r.], Tini [Howard, n.d.r.] e Leah [Williams, n.d.r.] e poi, con il passare del tempo e l’avvicendarsi di altre persone, sono diventato io stesso uno della vecchia guardia. Quindi la transizione è stata molto organica. Credo che il cambiamento sia dovuto non tanto alle persone coinvolte, quanto alla direzione che stiamo prendendo: far atterrare un aereo sarà sempre diverso dal farlo volare per tutta la traversata.
Più in generale, come è stato organizzare quasi due anni di storie insieme ad altri autori e autrici per costruire questo grande affresco?
È stato molto divertente! Lavorare con alcune delle persone più brave che conosco in un ambiente collaborativo è stato un vero piacere. Il grande affresco in sé può essere un po’ complicato da realizzare, bisogna essere sicuri di aver chiuso tutti i fili di trama che abbiamo aperto, ma d’altra parte quello degli X-Men è un franchise che prospera sulla presenza di domande senza risposta, quindi non è importante se non riusciremo a risolvere tutti i problemi o a rispondere a tutte le domande: qualcuno riuscirà a scovare tutto ciò che ci è sfuggito.
Sia S.W.O.R.D. che X-Men Red hanno “parlato” anche italiano e, più in generale, la presenza di disegnatori italiani è stata uno degli elementi che ha caratterizzato la seconda parte dell’era krakoana. Come hai impostato il tuo lavoro insieme a Valerio Schiti e Stefano Caselli, che hanno disegnato la maggior parte di queste storie? Il primo, tra l’altro, come suo solito ha svolto un ingente lavoro di character design per S.W.O.R.D., che poi è stato traslato anche in X-Men Red.
Avevo lavorato con Valerio e Marte [Gracia, n.d.r.] su Empyre ed era stato un piacere, quindi mi sentivo come se fossimo già in sintonia quando è arrivato il momento di fare S.W.O.R.D. e sapevo di potermi appoggiare a Valerio per realizzare alcune splendide uniformi ultra-fashion e per rappresentare ogni genere di grande momento, sia epico che intimo. Vorrei aver fatto di più insieme a lui che non un semplice tie-in! Probabilmente il mio numero preferito con lui – e vorrei poterlo fare di nuovo – è stato il numero “Giallo”. Durante i periodi di lockdown da pandemia nel Regno Unito, avevo trascorso un po’ di tempo guardando un’enorme quantità di gialli degli anni ’70 e volevo davvero fare qualcosa che avesse almeno un pizzico di quel sapore, l’assassino che colpisce dall’ombra, un sospetto che fa da esca, un sacco di bella gente che parla di omicidio. (E poi c’è anche Fabian Cortez, il membro “giallo” dello S.W.O.R.D.). La copertina di Valerio era fantastica.
Allo stesso modo, sento di essermi trovato bene con Stefano: anche in questo caso, avendo lavorato insieme a un numero di S.W.O.R.D., sapevo che sarebbe stato ideale per una trama molto incentrata su Tempesta, con tanti bei panorami e quel mix di grandi momenti epici e piccole emozioni intime che mi piace. Stefano ha un vero e proprio dominio sulla resa delle emozioni: non ha mai avuto problemi a rappresentare un volto da vicino mostrando esattamente cosa sta provando e, grazie al metodo di sceneggiatura Marvel, potevo aggiustare i dialoghi e renderli ancora più efficaci dopo avere visto i disegni. Ricordo che a un certo punto mi ha sorpreso con la profondità delle emozioni di Isca, che mi ha spinto a una lettura molto più empatica del personaggio. Questo è il motivo per cui i fumetti americani sono sempre il risultato di una collaborazione: l’artista è sempre metà della storia. (E si può dire lo stesso del lettering, della colorazione, dell’editing: tutti mettono le mani sul volante e cambiano leggermente la direzione. È molto raro che una sola persona faccia tutto).Più in generale, com’è stata la collaborazione con gli artisti che lavorano alle tue storie?
Sono davvero felice quando un artista si gode il processo –– cerco di renderlo il più semplice possibile, ad esempio inserendo nella sceneggiatura i riferimenti che si presentano o chiedendo all’editor di fornirli, specificando se un particolare oggetto nella location sarà importante e cose basilari come questa.
Allo stesso tempo, spesso consegno al disegnatore una singola scena alla volta, perché sto lavorando a qualcosa come quattro o cinque sceneggiature contemporaneamente, e so che questo è tutt’altro che ideale. Ci sono pochissimi artisti che ritengo mi abbiano deluso o con cui sia stato difficile lavorare: in genere mi sembra di essere io quello con cui è difficile lavorare assieme, quindi sono sempre molto felice se mi dicono che non è vero.
Nel corso delle tue X-serie (ma anche delle tue precedenti serie Marvel), ti sei trovato coinvolto in vari maxi eventi (AXE Judgement Day, Sins of Sinister) che ti hanno portato a scrivere dei tie-in. Di solito queste storie rischiano di deviare il corso di una serie, in qualche modo annacquandola o risultando superflue rispetto al resto della run principale. Invece sei sempre riuscito a integrarli al meglio nella tua narrazione. Come riesci a mantenere questo equilibrio e questa continuità narrativa?
Tendo a pensare ai tie-in come a qualcosa che, idealmente, dovrebbe svolgere due funzioni: dovrebbe essere, se non una parte vitale, almeno una pubblicità per l’evento a cui si lega, e dovrebbe continuare la storia che stiamo raccontando, in modo che non si interrompa all’improvviso. Se sono personalmente coinvolto nell’evento, posso fare ancora di più per assicurarmi che il tie-in abbia una collocazione naturale: Sins Of Sinister, per esempio, è stato progettato intorno a una pausa naturale nell’azione di tutte le testate, e poteva essere letto in ordine cronologico o come tre storie separate, quindi credo che abbia seguito regole diverse dalla maggior parte dei crossover.In X-Men Red hai praticamente creato da zero la cultura arakkiana: se puoi raccontarcelo, quali sono stati gli spunti iniziali concordati con Jonathan Hickman, se ci sono stati, e come poi hai deciso di far evolvere per conto tuo questa cultura mutante “aliena”? A che cosa ti sei ispirato o hai studiato per descrivere la società arakkiana?
Jonathan ci ha lasciato un po’ di ingredienti nel frigorifero: spettava a noi decidere come cucinarli. Alla conclusione di X of Swords, ho notato il potenziale pericolo che gli Arakkii venissero ridotti a “alieni violenti” monodimensionali, quindi ho spinto molto per ottenere più sfumature e complessità, prendendo alcune idee da concetti utopici anarchici e altre semplicemente notando piccoli dettagli come il personaggio di Isca che dominava la conversazione solo dopo essere stata dalla parte del nemico, fino a metà del numero finale del crossover. Ho riflettuto molto sul Grande Anello: era stato creato per rispecchiare il Consiglio Silente, ma sentivo che su Arakko non potevano esserci solo le “Persone Più Importanti”, che tutti avevano bisogno di un ruolo specifico e di un lavoro specifico da svolgere. E man mano che andavamo avanti e che mi venivano in mente altre idee, ho cercato di dare maggiore spessore alla mia interpretazione.
Riguardo a questo tema, pensando a tutto il tuo ciclo di storie, cosa rimarrà secondo te ai lettori della cultura e dei costumi arakkiani? Credi che alcuni degli spunti disseminati su Arakko possano essere ulteriormente esplorati dopo Fall of X e la fine dell’era mutante di Krakoa e magari ripresi in futuro da altri sceneggiatori?
Decisamente sì. Steve Foxe ha fatto un ottimo lavoro già in X-Men Unlimited, creando un festival annuale arakkiano che si basa davvero su ciò che abbiamo fatto, e si è consultato molto con me su come gli Arakkii potrebbero pensare – ancora una volta, cercando di allontanarsi dallo stereotipo di una “razza guerriera” per arrivare a una cultura più sfumata e a tutto tondo. Quindi, almeno a breve termine, direi che è in buone mani.
Hai imperniato X-Men Red sullo spessore di un personaggio come Tempesta, approfondendone ancora più la personalità, facendone di fatto la portavoce della cultura arakkiana ed evidenziando il suo ruolo di leader politico. Che cosa ti affascina in un personaggio come Ororo che è sempre molto complesso da scrivere? Ci sono delle storie del passato che ti hanno ispirato?
Ororo è un personaggio molto complesso: l’ho incontrata per la prima volta nelle ristampe britanniche di Secret Wars, l’originale degli anni ’80, dove era l’unica X-Man a opporsi davvero alla leadership del Professor X, il che l’ha resa immediatamente il personaggio in assoluto più interessante. Poi, riprendendo i fumetti statunitensi, ho visto che aveva perso i suoi poteri e guidava gli X-Men senza di essi, il che l’ha resa ancora più interessante –– mi sono sentito criticare da chi preferiva leggere un foglio di calcolo piuttosto che una storia, ma quello che fanno i personaggi senza poteri è molto più interessante di quello che fanno con tutti i poteri. Con Ororo in X-Men Red ho fatto il contrario: le sue sfide più grandi non sono quelle di forza, ma quelle politiche, emotive, strategiche e caratteriali.
Ci piacerebbe farti una domanda anche su Abigail Brand, che è una figura centrale in S.W.O.R.D. e una dei nemici di X-Men Red: quindi due donne protagoniste assolute dei suoi fumetti nell’X-world. Cosa ti ha portato a esplorare questi personaggi femminili?
Erano personaggi a disposizione ed erano interessanti. Penso che Abigail Brand abbia qualcosa di affascinante per via di come, storicamente, ha ottenuto un lasciapassare dalla narrazione per ogni azione orribile che ha compiuto, solo perché è una donna “di Whedon” figa e piena di spirito. È la ragazza cool. Quanto ci facciamo andare bene la tortura se ci viene inflitta da una girlboss con i capelli verdi e gli occhiali da sole? Ok, ora è vestita nello stile di Valerio Schiti, le sto dando tutti i dialoghi più fighi –– quanto posso insistere sui crimini di guerra prima che la gente se ne accorga? Penso che sia l’unico personaggio con cui potrei davvero farlo.
Un altro personaggio che risulta evidente che hai amato scrivere è stato Magneto. Anche questo è un personaggio difficile, con cui basta poco per scivolare da (anti)eroe tragico a piatto villain monotematico: in che modo ti sei approcciato alla personalità di Erik?
Io mi rifaccio a Claremont: il Magneto che conosco è la versione complessa che lotta con la sua storia, il suo dolore e le sue decisioni di fronte a questo. Non riesco a concepire una versione del personaggio che regredisce completamente: se diventa di nuovo un antagonista, si tratta di un’evoluzione, non una devoluzione. In S.W.O.R.D. l’ho scritto partendo da dove Jonathan Hickman lo aveva lasciato, ovvero da un Magneto freddo, sicuro di sé, calmo e all’apice dei suoi poteri, ma man mano che andavo avanti ho notato delle piccole crepe in lui e ho deciso che sarebbe stato divertente esplorarle, e le ho viste sfociare in una sorta di Magneto “vecchio leone”, che si isola su Marte/Arakko, nascondendosi dal mondo. E sono stato in grado di collaborare con le storie che il resto dell’X-Office voleva raccontare per portarlo a quel punto.Oltre a portare avanti le trame mutanti, hai anche inserito in S.W.O.R.D. prima e in X-Men Red poi un sacco di riferimenti a tue serie precedenti, e in generale al lato cosmico Marvel che hai esplorato in vari momenti della tua carriera. Cosa ti fa tornare sempre a questo lato delle storie Marvel e cosa ti affascina di più di questa parte dell’Universo della casa delle idee?
Collego tutto insieme, è una maledizione: vedo una scatola di mattoncini Lego e devo costruirci qualcosa, anche se i mattoncini non mi appartengono e gli altri bambini li smontano non appena ho finito, per costruire le loro cose belle. Con l’avanzare dell’età, sono diventato più interessato alle grandi questioni: la magia, la religione, Dio, la coscienza, l’arte, tutte queste cose. Mi sono ritrovato a chiedermi perché sto facendo tutto questo, a che cosa serve, e allo stesso tempo non riesco a smettere di lavorare. Se potessi smettere, farei qualcosa che mi faccia guadagnare di più e che sia più rispettato, ma non so come smettere o fare qualcos’altro. Fortunatamente, la Marvel Comics ha una forte e duratura tradizione di scrittori che lottano con questo genere di cose cercando di scriverle sulla pagina, e personalmente penso che sia una tradizione che vale la pena preservare –– se non altro, rende i fumetti di supereroi migliori.
Sempre parlando di scenari da da sci-fi stellare, la miniserie Storm & The Brotherhood of Mutants presenta dei riferimenti a Star Wars. Ritieni ci siano affinità tra il mondo mutante e la saga ideata da George Lucas?
Beh, in questo momento i mutanti stanno combattendo una specie di impero fascista malvagio, quindi ci sono delle somiglianze. Onestamente, però, non sono un grande fan di Star Wars in generale – sapevo solo che Kieron stava facendo molte analogie con Star Trek nella sua mini Immoral X-Men, così ho pensato che sarebbe stato divertente esplorare una versione molto diversa di un futuro fantascientifico. A dire il vero, aveva molto in comune con cose come Buck Rogers nel 25° secolo: si trattava più di esplorare una certa tradizione di fantascienza che un singolo franchise. Nel frattempo, Si Spurrier è andato in una direzione molto più letteraria, prendendo spunto da Un cantico per Liebowitz e da altre opere sci-fi. Nel complesso, quindi, il crossover è diventato quasi un’esplorazione dell’interazione tra diversi generi fantascientifici.
Osservando la tua produzione in Marvel, seppur con eccezioni come Hulk e Venom, noto che spesso sei convolto in progetti che prevedono l’uso di tanti personaggi. Gli X-Men e i Mutanti in generale rappresentano una sfida in questo senso. Come scegli a chi dare maggiore rilevanza in una storia e in che modo riesci a equilibrare la presenza dei comprimari?
È sempre difficile assemblare squadre ben bilanciate e io tendo a orientarmi verso molti personaggi minori, lasciando che sia la redazione a dirmi quando mi sono spinto troppo in là. Essendo il cast di X-Men Red costruito attorno a Tempesta e, inizialmente, a Magneto, avevo un’ancora “di serie A” e avevo molta più libertà di esplorare alcuni personaggi secondari. Con S.W.O.R.D., invece, il problema che Jonathan [Hickman, n.d.r.] aveva evidenziato inizialmente è che la squadra che avevo scelto non aveva alcun cattivo: c’erano Magneto e Brand, ma erano entrambi eroi, e anche se avevo previsto la presenza di Vanisher e Peeper, non erano esattamente dei pezzi grossi. Per questo è arrivato Fabian Cortez, che è stato molto divertente da scrivere. Per quanto riguarda lo spazio riservato alle pagine, cerco di fare in modo che tutti abbiano qualcosa da fare in ogni numero, o almeno nella maggior parte dei numeri, ma non ho paura che alcune delle “grandi star” si ritirino per un numero o due: mi sembra che in generale siano adeguatamente curate, quindi è giusto staccare la telecamera da loro e guardare più da vicino alcuni dei personaggi meno importanti.Ormai siamo giunti al ciclo conclusivo dell’era Krakoana, e tu stai scrivendo una miniserie il cui titolo è abbastanza esplicativo: The Resurrection of Magneto. Cosa ci dobbiamo aspettare, a parte ciò che si legge nel titolo, appunto?
Non è tanto un tentativo di riabilitare Magneto quanto di fare i conti con lui. E anche con Tempesta: è lei a narrare due dei quattro numeri, è lei l’altra protagonista della mini. Suppongo che sia un tentativo di fare i conti con l’intera era Krakoana: la storia su pagina è quella di ciò che hanno fatto di giusto e di ciò che hanno fatto di sbagliato, e di come gli errori non possano essere perdonati, ma solo riconosciuti, elaborati e considerati, e suppongo che questa sia anche la meta-storia. Cosa abbiamo fatto di giusto e cosa abbiamo fatto di sbagliato.
Fin dal primo numero hai inserito molti elementi esoterici, e questa non è una novità nella tua produzione. Com’è nata la passione per questo tipo di immaginario?
Sono interessato al misticismo e all’immaginario mistico da un po’ di tempo – suppongo che sia iniziato come un tentativo di fare i conti con alcune tragedie personali della mia vita di cui non parlo molto in pubblico, oltre che con quelle grandi domande di cui ho parlato prima. Per alcuni anni ho cercato di trovare una sorta di struttura di fede funzionante, qualcosa cui appoggiarmi, ma non l’ho mai trovata. Credo di esserne uscito come una persona più completa e più a tutto tondo, ma sto iniziando a mettere in discussione il modo in cui sto usando le corrispondenze mistiche nell’opera si può seguire il viaggio di Magneto e Tempesta attraverso le immagini dei Tarocchi nella miniserie, ma sento che dovrei studiare di più prima di usare di nuovo questi strumenti, in modo che la prossima volta possa sfruttarli a un livello più profondo e significativo. Vedremo come andrà a finire.
Più in generale, cosa dobbiamo aspettarci da questa serie?
L’arte di Luciano Vecchio è incredibile è uno dei migliori artisti con cui abbia mai lavorato, e ho visto quello che ha fatto per gli X-book da quando ci siamo lasciati e sta raggiungendo vette ancora più alte. Posso sperare che questo albo venga ricordato come un buon lavoro di scrittura, ma non ho alcun dubbio sul fatto che verrà ricordato come una grande opera d’arte di un grande artista che ha appena iniziato a passare al livello successivo. Quindi prendetelo!
Grazie per il tuo tempo, Al!
Intervista realizzata via mail nel mese di marzo 2024
Traduzione di David Padovani
AL EWING
Al Ewing (12 agosto 1977) è un fumettista britannico, noto principalmente per il suo ruolo di scrittore per la Marvel Comics su testate come Immortal Hulk, Mighty Avengers e Ultimates. Debutta in madrepatria sulla storica testata 2000 A.D., scrivendo storie di Judge Dredd dal 2008 al 2015. Passato alla major americana, scrive varie miniserie e, dopo il rilancio All New All Different Marvel, gli vengono affidate diverse serie regolari, quali Contest of the Champions, New Avengers e Ultimates. Diviene successivamente lo scrittore di Royals, serie regolare con protagonisti gli Inumani, e di Rocket, con protagonista Rocket Raccoon. Nel 2018, con l’avvento del rilancio Fresh Start, diventa lo scrittore della serie regolare Immortal Hulk, disegnata da Joe Bennett. Nel 2020 diviene il nuovo sceneggiatore della testata Guardiani della Galassia e scrive insieme a Dan Slott l’evento crossover Empyre e i relativi tie-in. Nello stesso anno debutta per la casa editrice BOOM! Studios con We Only Find Them When They’re Dead, disegnato da Simone Di Meo. Sempre nel 2020 entra a far parte del gruppo di sceneggiatori delle testate mutanti coordinato da Jonathan Hickman, scrivendo la serie S.W.O.R.D. a cui seguono X-Men Red e Resurrection of Magnet