Claudio Castellini ha debuttato nel 1989 disegnando una storia per Dylan Dog (La casa infestata, n. 30, marzo 1989), personaggio della Sergio Bonelli Editore. Negli anni successivi ha contribuito all’elaborazione grafica di Nathan Never, di cui ha continuato a disegnare le copertine fino al numero 59 (aprile 1996). Il suo amore per i dettagli tecnici e i particolari, influenzato da artisti come Neal Adams e John Buscema, si vede nella sua prima storia per la Marvel Comics, una storia con protagonista Silver Surfer scritta da Ron Marz. In seguito ha lavorato sul crossover Marvel vs. DC, che lo ha reso popolare negli Stati Uniti. I suoi ultimi lavori includono Spider-Man, Conan il Barbaro, Batman: Gotham Knights e Wolverine the End. Negli ultimi anni, interrotta la collaborazione con alcuni editori di rilevanza internazionale, si è dedicato quasi unicamente allo sviluppo di tavole su commissione.
Esiste una grande tradizione di illustrazioni di fantascienza, da quelle che accompagnavano le riviste pulp americane o le famose copertine di Urania disegnate da Karel Thole. C’è stato qualche autore che ti ha fatto da “musa ispiratrice” nella composizione delle copertine?
Mi è ovviamente nota la tradizione di illustrazioni di fantascienza, dalle riviste pulp a quelle di Urania, ma non ho nessun legame artistico con loro, nel senso della mia formazione o a livello di ispirazione. Le mie fonti vanno ricercate nel fumetto supereroistico americano, e in tutto il bagaglio visivo derivante dalla fruizione di opere cinematografiche di questo genere. Sono infatti un appassionato del cinema di fantascienza e, anche nell’ambito del fumetto , i miei personaggi preferiti sono sempre stati quelli di “livello cosmico”, come Silver Surfer, o come i primi Fantastici 4, le cui avventure si ambientavano in un contesto da “space opera”. Da sempre sono stato affascinato dal cosmo e dai suoi misteri al di là della nostra comprensione, da mondi immaginari futuristici nei quali la fantasia non ha il limite della quotidianità.
La realizzazione della copertina è per te maggiormente un complemento della storia o un’immagine indipendente (per quanto legata ovviamente al tema)?
Penso di poter dire entrambe le cose. La copertina non può esulare completamente dagli avvenimenti all’interno dell’albo, dei quali è un complemento, ma allo stesso tempo credo che non debba rimanere necessariamente vincolata ad essi. A mio parere può essere indipendente, senza ovviamente andare fuori tema, prevedere una situazione potenziale che in realtà non accade nella storia ma potrebbe accadere, una sorta di “what if”.
C’è una cover a cui sei particolarmente legato? (Ad eccezione della prima, per ovvi motivi)
In realtà la prima, pur avendo un grande valore nostalgico e “storico”, non è la mia preferita in assoluto, questo perché dal punto di vista artistico sono cresciuto nel corso degli anni in cui le realizzavo mensilmente e quindi considero migliori altre successive. Tra le mie preferite ci sono, per esempio, L’enigma di Gabriel, La prigioniera del castello, Io robot, Uomini ombra, Tragica ossessione, L’orrore sopra di noi e altre… Ma non ne ho una sola alla quale sia particolarmente legato e per dei motivi specifici. La mia preferenza è legata prevalentemente alla buona riuscita della copertina dal punto di vista grafico.
Nascondevi spesso la tua firma nell’illustrazione di copertina e ogni mese per il lettore era una sorta di gioco implicito scoprire dove si trovasse il tuo cognome. Come è nato questo inside joke?
È molto divertente parlare di questo perché ancora oggi, a distanza di tanti anni, sembra essere qualcosa di imprescindibile, un gioco che è rimasto nella memoria di tutti i vecchi lettori! Questo inside joke, che è stato apprezzato molto al di sopra delle mie aspettative, è nato… per gioco! Semplicemente pensai che fosse ripetitivo siglare mese dopo mese la copertina con la solita firma stereotipata e mi sembrò interessante introdurla di volta in volta in maniera differente, come fosse un elemento grafico della copertina. Le possibilità diventavano quindi infinite, poteva essere parte del fumo, incisa nella pietra, nei riflessi metallici, nei ciuffi d’erba, nei flutti dell’acqua, ecc. L’approvazione del pubblico per questo extra da settimana enigmistica in copertina è stato tale che quelle poche volte che misi la firma per esteso i lettori rimanevano un po’ delusi…
Hai fatto spesso ricorso a copertine con Nathan o un comprimario in situazione di “spalle al muro” ed una minaccia incombente (pensiamo a Gli occhi di uno sconosciuto, Il numero zero, Cacciatori e prede, Tragica ossessione…), in generale sempre un Nathan più in pericolo rispetto alle copertine più “descrittive” realizzate da Roberto De Angelis. A cosa è dovuto questo approccio?
Il mio approccio nella realizzazione del concept di una copertina è quello di trasmettere sensazioni più che descrivere ambientazioni, a meno che non sia indispensabile per introdurre una scenografia che ha un ruolo di protagonista nella storia. E quale sensazione più forte ci può essere se non quella di vedere il nostro beniamino in stato di pericolo? Ciò che in una copertina più attrae l’attenzione, almeno la mia, è l’epicità del personaggio e la drammaticità della situazione; il pathos generato da circostanze estreme in cui la stessa difficoltà della prova affrontata ne descrive la eroicità, o anche solo la sensazione di una minaccia imminente, questo è ciò che ci spinge a sapere come andrà a finire… e a comprare l’albo.
Hai mai contattato il copertinista cui hai ceduto il testimone, per consigli o scambio d’opinioni?
No, non è mai capitato né credo dovesse essere necessario, Roberto De Angelis era già un grande professionista con una sua propria visione.
Come descriveresti il “tuo” Nathan Never?
Il mio Nathan Never rifletteva quello che era nella mente dei tre creatori letterari Serra, Medda e Vigna, un personaggio forte ma con un velo di tristezza, tormentato dai drammi del suo passato. Quando se ne parlò con loro fu facile per me abbracciare e sentire mia la linea psicologica del personaggio, visto che già apparteneva all’archetipo di eroe che prediligevo (anche il mio preferito in assoluto, Silver Surfer, è un personaggio tormentato..). Avendo avuto l’incarico di delinearne l’aspetto grafico lo creai tenendo bene in mente le indicazioni caratteriali e psicologiche, usando tutti gli espedienti visuali per poter raffigurare appropriatamente quelle caratteristiche; Il suo viso doveva essere forte, da duro, ma al tempo stesso esprimere il suo dolore interiore ed anche il suo essere un disadattato in un mondo che non comprende né accetta pienamente. Ecco quindi l’espressione mesta, vagamente triste, descritta graficamente dalle sopracciglia un po’ inclinate ( che definisco ad “ali di gabbiano”) e dalle ciocche di capigliatura bianca che pensai di aggiungere nella rappresentazione del suo volto, in seguito giustificate narrativamente, reclinate sulla fronte per dargli un look un po’abbattuto, malinconico. Quello che secondo le istruzioni doveva essere un trench alla Deckard, il protagonista di Blade Runner, assumeva quasi, nella mia interpretazione, l’aspetto di un mantello i cui lembi sarebbero stati opportunamente accarezzati e sollevati da un provvidenziale vento per trasmettere un senso di eroicità e nobiltà cavalleresca. Quindi se dovessi descrivere in breve il “mio” Nathan Never lo dipingerei così: un personaggio eroico, nostalgico, tormentato e romantico.
Intervista condotta via mail a maggio 2016.