Due bat-quesiti fondamentali
Batman da sempre porta in sé due quesiti fondamentali ai quali gli autori che si sono succeduti alla scrittura delle sue storie, in 75 anni di pubblicazioni, hanno provato a dare risposta; il Cavaliere Oscuro manterrebbe la sua iconica presenza se dietro alla maschera non ci fosse Bruce Wayne? E se Batman agisse in un luogo diverso dalla sua città, dall’oscura e gotica Gotham City, le sue avventure avrebbero la stessa potenza narrativa?
In campo cinematografico Christopher Nolan, nella sua trilogia dedicata al personaggio, ha provato a formulare una risposta al primo quesito, portando la sua visione alle estreme conseguenze nell’ultimo capitolo della saga (Il Cavaliere oscuro – il ritorno, 2012), cioè sposando la tesi che Batman è fondamentalmente un simbolo che può andare oltre e sopravvivere a colui che ne indossa la maschera. Una risposta che, nell’economia delle tre pellicole, mostra di avere un senso compiuto, raggiunto con un prodotto qualitativamente eccellente.
Il media fumettistico, invece, quando ha provato a cimentarsi con le due domande iniziali, ha spesso mostrato la corda da un punto di vista narrativo.
Le volte che Bruce Wayne ha dovuto, suo malgrado, lasciare la maschera dell’uomo pipistrello a qualcun altro, il personaggio di Batman ne è uscito o completamente stravolto, come nelle storie successive alla saga Knightfall dove Jean Paul Valley/Azrael ha sostituito un paraplegico Bruce nella sua crociata contro il crimine1, o notevolmente appiattito, come quando Dick Grayson ha provato a prendere su di sé il manto del pipistrello in seguito alla presunta morte di Bruce in Crisi Finale2.
Anche il Batman lontano da Gotham City sulle pagine dei fumetti si è sempre dimostrato criticabile dal punto di vista qualitativo. Il personaggio, quando occupa il suo posto nella Justice League, non porta mai con sé la potenza e le potenzialità narrative che riesce a esprimere nelle sue testate.
Anche un calibro come Grant Morrison nella sua serie Batman Inc., dove fondamentalmente ha provato a esplorare cosa potrebbe significare trasformare il simbolo e il significato dell’eroe in un franchise dedito alla lotta al crimine su scala mondiale, non è riuscito a raggiungere le vette di eccellenza narrativa della sua gestione del personaggio nella testata Batman, culminata con la saga Batman R.I.P.
Sembrerebbe, dunque, che provare a dare una risposta alle due domande con cui si apre questo articolo abbia spesso portato alla creazione di storie deludenti, nonostante le potenzialità narrative all’apparenza insite nei quesiti. Questo è vero, se non si considera una “terza via” alternativa che, in passato, ha prodotto alcuni bat-prodotti editoriali di qualità: gli Elseworlds.
“Cosa sarebbe successo se… ?” in salsa DC
Elseworlds (letteralmente, Altrimondi) è un’etichetta creata dalla DC Comics per raggruppare storie che si sviluppano al di fuori dal canone tradizionale dei suoi personaggi.
A differenza dei What if… ? della rivale Marvel Comics, che basano le loro storie su un singolo punto divergente rispetto alla continuity regolare di un supereroe, la maggior parte delle storie degli Elseworlds si sviluppa in varie continuity completamente costruite ex novo, il cui unico collegamento con la canonica continuity dell’universo DC è la presenza degli stessi eroi.
Per svariati anni, nel periodo che va dalla fine degli anni ’50 alla metà degli anni ’80, con una forte incidenza durante la Silver Age dei comic books supereroistici degli anni Sessanta, la DC Comics ha pubblicato numerose storie dei suoi personaggi di punta ambientate in una continuity diversa da quella tradizionale. Molte di queste avventure venivano etichettate come Imaginary stories, storie immaginarie alternative e, ovviamente, l’eroe maggiormente protagonista è stato Superman, seguito da Batman e dagli altri supereroi DC.
L’ultima Imaginary story ufficiale è stata scritta nientemeno che da Alan Moore ed è la famosissima Whatever happened to the Man of Tomorrow? apparsa in Superman (vol. 1) #423 e Action Comics (vol. 1) #583, entrambi del settembre 1986.
In un certo senso con gli Elseworlds si volle di nuovo tornare a creare delle storie immaginarie che si basassero però su un più ampio ventaglio di possibilità narrative, dando anche la possibilità agli autori di creare storie libere dai vincoli della continuity con cui avevano a che fare nelle testate regolari dei vari personaggi.
Il personaggio scelto per il rilancio di questo genere di storie fu proprio Batman; se era vero che togliere il manto del Cavaliere oscuro a Bruce Wayne, o allontanarlo da Gotham quale teatro della sua azione da vigilante, poteva tradire le premesse per delle buone storie, cosa sarebbe invece potuto accadere se l’uomo pipistrello fosse stato posto in un tempo e in un luogo a lui non consoni, in tempi e luoghi che sarebbero potuti esistere oppure no, che avrebbero potuto o non avrebbero dovuto essere? Eroi familiari da tutti conosciuti avrebbero potuto, di colpo, apparire nuovi?
Lampade a gas, serial killer, preti, vampiri e uomini pipistrello
La risposta arrivò nel 1989, quando Brian Augustyn e Mike Mignola diedero vita a Batman: Gotham by gaslight, la prima storia definita Elseworlds pur non portando originalmente sulla copertina il logo di quell’etichetta, coniata in seguito al successo della sua uscita.
La storia era ambientata in epoca Vittoriana e seguiva le gesta di Batman che dava la caccia nientemeno che a Jack lo Squartatore, arrivato a seminare il panico nei bassifondi di Gotham City.
Il primo albo a fregiarsi in copertina del logo Elseworlds arrivò due anni dopo, nel 1991, e si trattò di Batman: Holy Terror, scritto da Alan Brennert e disegnato da Norm Breyfogle. In degli Stati Uniti d’America distopici, governati da un sistema teocratico, un giovane Bruce Wayne appena ordinato sacerdote scopre la verità riguardo alla morte dei suoi genitori, uccisi dagli stessi teocrati a causa della lotta a un programma di esperimenti genetici portata avanti da Thomas Wayne. Bruce decide così di indossare un costume da pipistrello usato dal padre anni addietro per uno spettacolo teatrale per vendicare la morte dei suoi genitori e combattere contro il governo, colpevole tra l’altro di aver ucciso forse l’unica speranza per la redenzione dell’umanità, un bambino proveniente dallo spazio e arrivato sul nostro pianeta su un razzo atterrato nel Kansas.
Nello stesso anno uscì anche il primo volume di una trilogia che, a detta di molti, è la migliore storia Elseworld che ha il cavaliere oscuro per protagonista, Batman: Red rain. Sull’impianto narrativo pensato da Doug Moench, le tavole gotiche ed evocative di Kelley Jones, che richiamano alle mente i disegni di un altro grande maestro dell’horror come Bernie Wrightston, ci presentano un Batman che, per avere la meglio su Dracula e la sua orda di vampiri, compie il sacrificio estremo trasformandosi lui stesso in un non morto, abbandonando per sempre l’identità di Bruce Wayne e vivere come un vero uomo pipistrello (ali comprese!).
Lo stesso team creativo, negli anni successivi, completò la trilogia vampiresca con Batman: Bloodstorm (1994) e Batman: Crimson mist (1999) che, pur non raggiungendo la qualità narrativa del primo volume, completarono la storia dell’uomo pipistrello vampiro che, alla fine del terzo volume, sceglie l’oblio eterno esponendosi alla luce del sole.
Anche il primo Elseworld, Gotham by gaslight ebbe un seguito, nel 1991, Batman: Master of the future, scritto sempre da Brian Augustyn e disegnato da Edoardo Barreto, sempre ambientato in una Gotham steampunk all’alba del XX secolo.
Tanti, troppi Altrimondi
Il successo dei primi volumi della linea Elseworld, com’era ovvio, diede il via da parte della DC Comics ha un massiccio sfruttamento commerciale del concetto che ebbe come risultato l’immissione sul mercato, duranti tutti gli anni ’90, di molti volumi e storie dedicate a versioni alternative di Batman, allargando man mano l’idea e coinvolgendo anche gli altri protagonisti dell’universo DC.
Addirittura, sia nel 1994 sia nel 1996, tutti gli Annual delle varie testate supereroistiche presentarono storie Elseworld dei vari personaggi. Nel 1994 ogni storia era slegata dall’altra, mentre nel 1996 tutte le storie erano accomunate da un incipit iniziale; erano tutte Legends of the dead Earth e si svolgevano in un futuro dove il nostro pianeta era ormai morto e i suoi eroi erano sparsi nello spazio in milioni di mondi. Tecnicamente, le storie degli Annual 1996, non furono etichettate come Elseworld, ma allargando il concetto alla base di quell’idea possono essere considerate un suo logico sviluppo.
La quantità di storie alternative che in quegli anni furono prodotte ebbe come risultato un’altalenante resa qualitativa e, con i primi anni 2000, il concetto degli Elseworld fu mano a mano abbandonato, non prima però di aver dato vita, nel 1996, alla miniserie di successo Kingdom Come, firmata da Mark Waid e Alex Ross, con protagonisti praticamente tutti gli eroi del cosmo DC.
Il chi, il dove, il quando
È indubbio che la linea Elseworld abbia trovato in Batman il suo personaggio di riferimento, grazie anche alle caratteristiche intrinseche del personaggio. Perché se è vero, come si diceva all’inizio di questa analisi, che privare l’uomo pipistrello delle motivazioni del suo alter ego civile, Bruce Wayne e del suo teatro di azione, quella Gotham City che per molti aspetti è l’origine della spinta alla nascita di Batman, depaupera l’eroe di molta della sua efficacia narrativa, la collocazione cronologica non appare invece così fondamentale.
Molti degli Elseworlds hanno quindi dimostrato che Bruce Wayne, Batman e anche Gotham, sradicati dal loro presente narrativo e ricollocati in una particolare era temporale, sia essa passata o futura, non perdono la loro forza e le loro potenzialità.
E, in certo senso, proprio queste potenzialità sono state sfruttate anche da Grant Morrison nella sua run sulle storie del cavaliere oscuro. Nella miniserie Batman: the return of Bruce Wayne, uscita nel 2010, che narrava le gesta di Bruce Wayne attraverso il flusso del tempo per tornare nel presente, dopo che Darkseid lo aveva spedito all’alba dei tempi alla fine di Crisi Finale, lo sceneggiatore scozzese rivisita molti dei concetti e delle storie presentati a suo tempo negli Elseworld.
La miniserie si sviluppava in sei numeri, ognuno dei quali copriva un determinato periodo storico, all’interno dei quali Bruce Wayne faceva comunque vivere la figura di Batman: la preistoria, il XV° secolo della caccia alle streghe, l’era dei pirati, il selvaggio West, gli anni noir ’40 e ’50 fino al presente narrativo.
Archi ed ere temporali che già erano vissuti anni addietro, come in Batman: the blue, the grey and the bat (1992, Elliot S.Maggin e Alan Weiss) ambientato al tempo della Guerra Civile americana e come in Detective Comics (vol. 1) Annual #7 – Leatherwing (1994, Chuck Dixon e Enrique Alcatena), dove Batman vestiva i panni di un corsaro di una nave pirata.
Concludendo possiamo allora affermare che, quando si parla di Batman, il chi e il dove sono importanti, Bruce Wayne e Gotham City diventano quasi assolutamente imprescindibili per narrare buone storie.
Il quando è relativo.