Batman può morire? La versione di Neil Gaiman

Batman può morire? La versione di Neil Gaiman

Batman può morire? Che cosa è Batman? Quale la sua natura, quale il senso del suo ruolo? Queste le domande al centro di Whatever Happened to the Caped Crusader, omaggio di Neil Gaiman e Andy Kubert all'Uomo Pipistrello.

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Morti eccellenti

whatever_coverLe morti dei supereroi hanno ovviamente un aspetto legato alla natura di prodotto industriale di quella letteratura. In questa prospettiva, sono parte di una tattica editoriale che mira ad aumentare non tanto le vendite del fumetto, quanto la risonanza attorno al personaggio stesso. Per questo, sono eventi preparati e annunciati, in modo che la casa editrice possa sfruttare al massimo l’onda di interesse così sollevata in tutta la gamma di prodotti legati al supereroe che muore, di cui, probabilmente, i fumetti non sono nemmeno più la parte maggioritaria.
Ma questo non è l’aspetto più interessante.
E la storia di Neil Gaiman, infatti, non ne parla.
La morte del supereroe è, di fatto, ormai un luogo ricorrente della letteratura supereroica.
E di questo luogo (se non si accetta questo punto, si rischiano fraintendimenti) fa parte anche il suo ritorno sulla scena. Quella che chiamiamo “morte”, è un evento di transizione, che può essere punto di accumulazione di una vita. E non deve distrarci dal fatto che a essere importante è la vita e non quell’evento particolare.
Ecco: è proprio di questo che parla la storia di Gaiman.

Struttura dell’opera

whatever_body_versionsWhatever happened to the Caped Crusader? fu composta da Neil Gaiman e Andy Kubert nel 2008 e pubblicata in due parti l’anno successivo, rispettivamente su Batman #686 e Detective Comics #853. In Italia è disponibile nell’edizione RW Lion (leggi la recensione specifica del volume che contiene anche altre importanti storie di Batman scritte da Gaiman).
Il racconto ruota attorno al funerale di Batman, al quale partecipano nemici e amici senza distinzione, ed è articolato in due parti distinte. Nella prima, ogni partecipante racconta la propria versione della morte di Batman, della quale è sempre direttamente responsabile. Le versioni sono reciprocamente incompatibili, le morti diverse, a immagine e somiglianza del personaggio che la racconta. In questa parte, la voce di Batman segue e commenta i racconti, insieme a una figura femminile di cui non viene rivelata l’identità (“Sei Death?“, chiede Batman; “Non credo che Death sia una persona“, risponde la figura femminile. Il cortocircuito con l’universo di Sandman è esplicito e velato di ironia).
Nella seconda parte, scopriamo che quella figura femminile è la madre di Batman: da qui inizia un confronto serrato, in cui Batman cerca di capire il senso di quello che sta avvenendo, il funerale (“Ho capito, sto vivendo un’esperienza di premorte“), mentre la madre lo spinge a capire il senso di ciò che ha fatto, la vita (“Che cosa hai imparato?“): quindi abbiamo ricerca del senso della morte contro quella del senso della vita: il funerale è l’occasione per raccogliere indizi e meditarli.
whatever_rebirthAlla fine, il lungo addio di Batman si trasforma nell’atto della sua nascita.
La storia può quindi (ri)cominciare.
Ma al di là del gioco di costruire una sorta di struttura circolare, quello che è centrale nel racconto di Neil Gaiman è proprio la contrapposizione fra l'”evento morte” e la vita: che cosa rappresentano per un supereroe? Che significato danno/aggiungono alla sua figura?
Perché, ricordiamocelo sempre, un supereroe, come tutti i personaggi delle storie, ha un livello di esistenza diverso dal nostro: in particolare, la costruzione di senso e significato dell’esistenza segue altre regole.

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Cronache di morti annunciate

Che cosa c’è di affascinante nella morte di un supereroe?
Data la sua natura di evento, il lettore è avvertito del finale e, lo ribadiamo con forza, del fatto che quel supereroe tornerà. Magari non subito, certo, ma la loro uscita di scena non può mai considerarsi definitiva: restano giusto dietro le quinte, pronti a tornare quando ci sarà bisogno di loro. Il ritorno avrà spiegazioni le più varie: la morte era avvenuta in uno dei tanti universi paralleli; era stato tutto un equivoco, in realtà era successo qualcos’altro (tipo l’arma con cui era stato colpito l’aveva spedito indietro nel tempo); oppure il morto c’era, ma era qualcun altro, che si era sostituito al supereroe (una spalla, un sostituto Kree, chiunque, ma un altro); o magari l’eroe è proprio morto morto, ma arriva vivo e vegeto dal passato.
whatever_portraitGaiman, semplicemente, si serve dei racconti delle possibili morti di Batman per mettere a fuoco ogni volta un aspetto della sua figura, definita attraverso il suo rapporto con gli altri personaggi. La struttura a racconti concatenati, che occupano da qualche tavola a poche vignette, agisce come una sequenza di fotografie di un soggetto da diversi punti e angolazioni: dal loro insieme, siamo in grado di ricostruire la struttura complessiva del soggetto. Mettendoci, ovviamente, del nostro: questo ruolo dell’osservatore lettore rientra pienamente nelle regole del gioco. Corollario di questa visione è che quegli aspetti sono compresenti in ogni momento: il personaggio è quindi complesso, la sua personalità ha una articolazione interna, ma, fondamentalmente, non evolve.

I tanti volti dell’Uomo Pipistrello

whatever_alternateLe varie morti di Batman, che i presenti al funerale ci raccontano, esplorano un’ampia gamma di possibilità narrative, che possiamo dividere in due categorie. Mentre i racconti degli altri propongono tanti casi di eroismo tipico, di caduta in combattimento “per la giusta causa”, quelli di Selina Kyle e Alfred sfruttano e amplificano alcuni tratti inquietanti del personaggio.
Nel racconto di Selina, abbiamo un Batman che nel tempo fagocita Bruce Wayne, diventando (o avviandosi a diventare) un essere largamente privo di ciò che chiamiamo umanità, interamente (pericolosamente?) devoto alla causa, incapace di relazioni “normali”. In quello di Alfred, al contrario, Batman e il suo mondo avventuroso sono conseguenza (in senso non banale) dei problemi mentali di Bruce Wayne. Le questioni poste dai due racconti sono quelle basilari del genere: dove porre la soglia oltre la quale il supereroe cessa di essere umano? Come gestire e far fruttare la tensione fra quei due termini? Quale posto c’è nel mondo reale per i supereroi?
I racconti delle altre morti citano invece aspetti del Batman più classico: ombroso, scostante, perfino distante, ma giusto e (qui la differenza fondamentale con i due racconti di cui sopra) con pieno controllo di sé. Perfino beffardo: nessuno dei suoi avversari è soddisfatto della sua morte; nessuno è riuscito a goderne. Non il Joker, che si è sentito dire da Batman che la propria morte “Non è divertente“; non il Cappellaio Matto, che anzi continua ad arrovellarsi sulle sue ultime parole: “Io non me ne vado. Non è finita. Non è mai finita” (il Cappellaio non sa quello che noi lettori sappiamo, quindi noi ridiamo di lui insieme a Batman).
E infine, quasi luogo ricorrente della letteratura batmaniana, il confronto fra le visioni del supereroe come espresse da Superman e Batman: la fondamentale ricerca della convivenza con gli umani (integrazione, accettazione) per il sopravvissuto di Krypton; il senso della missione, a prescindere dalla comprensione altrui, e il legame con Gotham per l’Uomo Pipistrello.
Alla fine di questa collezione di racconti e punti di vista, abbiamo quindi un Batman tridimensionale e complesso. Il punto rimasto in sospeso è: “Qual’è il senso di tutto ciò?”.

Che senso ha tutto ciò?

La riflessionewhatever_cover_2 sul senso della propria vita, del proprio ruolo, del rapporto fra essi, che trasforma l’attività di detective in missione esistenziale, occupa la seconda parte dell’opera. La transizione avviene con un cambio di scena: passiamo dall’affollata sala che ospita il funerale (spazio chiuso, perfettamente definito), a uno spazio non definito (tendenzialmente illimitato), dove stanno Batman e la madre. Una quasi splash page marca l’inizio del dialogo e cambia anche il registro emotivo: da un certo qual distacco, passiamo al coinvolgimento, ci avviciniamo al protagonista, alla sua intima essenza. Dall’ironia passiamo alla compassione, al “sentire insieme”. E a questo punto è anche opportuno notare che abbiamo sempre a che fare con Batman, mai con Bruce Wayne (in concordanza con la scena del funerale di Morfeo in Sandman, dove vediamo Batman, non Bruce Wayne): l’eroe ha assorbito l’uomo, o, piuttosto, è l’eroe che ha bisogno di un senso, ancor più dell’uomo? Infatti, se Bruce Wayne semplicemente esiste, Batman è una creazione: fra loro sta la stessa differenza presente fra le vite reali e quelle finzionali. Per essere accettate, queste ultime devono essere più verosimili, più consistenti: se vivere è un qualcosa che capita a prescindere dalla volontà (per cui la questione centrale è “come”), la creazione è propriamente un atto volontario e la sua questione fondamentale è “perché”.
Perché Batman?
Non per un premio, non per la riconoscenza e il riconoscimento altrui, intesi anche come attestazione della propria esistenza e dei propri meriti.
Ma perché, semplicemente, un concetto senza articolazioni interne, qualcosa di simile a una verità elementare, perché, da quando è stato creato, Batman vuole essere Batman. Perché ha scelto, appunto, una missione: “Io sono Batman. Proteggo la città, salvo le persone, indago sui crimini, difendo l’innocente, correggo il colpevole”. Come il Cavaliere inesistente di Italo Calvino: la missione dà vita al personaggio, ne costituisce la sostanza ultima. Ma, mentre la missione del personaggio dello scrittore torinese si esaurisce, dissolvendo ciò che lo teneva in vita, quella di Batman è una missione senza fine, confermata ogni giorno. Una gabbia, forse, una prigione, una infinita spirale mortale. Il punto è che Batman esisterà finché crederà in se stesso. Non sarà rassicurante, non sarà compiacente, non cercherà a tutti costi il nostro affetto, la nostra riconoscenza. Non sarà Superman. Sarà, e continuerà a essere, Batman. “Tu continui a combattere perché devi. […] Sai qual è l’unico premio per essere Batman? È che tu ottieni di essere Batman”. Dice la madre. Non sequitur.

Un omaggio e una riflessione dalla distanza

Se le riflessioni di cui sopra raccolgono alcuni degli spunti proposti da Neil Gaiman, dal punto di vista formale, Whatever happened to the Caped Crusader? si configura come un omaggio al personaggio e alla sua storia. A evidenziare questa caratteristica è intanto l’approccio grafico, che ripropone, grazie al virtuosismo di Andy Kubert, stili di interpreti storici, quali Dick Sprang, Neal Adams, Jack Burnley, Jerry Robinson e tanti altri. E omaggio è sicuramente il presentare tanti volti di Batman, tanti protagonisti (alleati e nemici) delle sue avventure: siamo di fronte a una specie di titoli di coda, dove tutti tornano, magari per una piccola scena un po’ fuori dall’ordinario.
Whatever happened to the Caped Crusader? è una sorta di “lettura distante” del personaggio: non l’immersione in un caso né lo svisceramento di un singolo tratto; bensì il tentativo di abbracciarne la molteplicità, di presentarne tutta la ricchezza e tutte le potenzialità narrative.
Non un’apertura di nuovi scenari, quanto il tentativo di comprenderne l’essenza.
Essenza che, forse, è in una delle frasi che Batman dice alla madre: “Ogni cosa cambia, niente resta uguale. Ogni amico mi tradisce, prima o poi, e ogni nemico diventa un amante o un amico. Ma ecco la cosa che non cambia mai: io non mi arrendo”.
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