Ringo: analisi della seconda stagione di Orfani (prima parte)

Ringo: analisi della seconda stagione di Orfani (prima parte)

Con Ringo, Orfani si è rinnovato nella struttura e ha approfondito il suo viaggio nel colore e oltre la gabbia bonelliana. Prima parte della nostra analisi.

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Ogni stagione di Orfani ha un titolo diverso e una caratterizzazione ben precisa, sia come temi che come ambientazione. Con Ringo, la serie ideata da Roberto Recchioni ed Emiliano Mammucari prosegue il proprio percorso nell’ambiziosa intenzione di ricalibrare le coordinate dell’ormai consolidato linguaggio bonelliano. Il nome di un unico protagonista in copertina e l’architettura meno intricata degli episodi potevano indurre a pensare che questa seconda stagione rappresentasse in parte un passo indietro rispetto alle istanze di innovazione presentate nei primi dodici albi. Invece, il viaggio nell’Italia post-apocalittica del Pistolero, in compagnia dei giovani Nuè, Rosa e Seba, propone nuovi spunti di rinnovamento, non sempre eclatanti e non sempre pienamente compiuti, ma decisamente meritevoli di un approfondimento.
Nella seguente trattazione cercheremo di sviscerare alcuni aspetti narrativi e grafici dell’intera stagione, ponendo l’accento sulla figura del protagonista e dei comprimari e confrontando le dinamiche presenti nella prima e nella seconda stagione. Eviteremo di esaminare ulteriormente l’aspetto delle citazioni tratte da musica, cinema e letteratura, sulle quali si è in ogni caso già detto in articoli precedenti.

Ringo: la costruzione di un eroe tragico

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Protagonista della serie finora, Ringo è un personaggio tragico fatto e finito. Se per tragedia si intende il conflitto insanabile fra le morali di uno o più personaggi e l’etica del contesto in cui si muovono, Ringo si situa, nella prima stagione, proprio all’estremo della dinamica di negazione dello status quo. Più di tutti i suoi compagni, che mostrano invece un adattamento alla realtà: se Jonas e Sam, per motivi opposti, diventano i più convinti sostenitori del mantenimento della menzogna sugli alieni, e Raul e Juno, con notevoli differenze, mostrano di arroccarsi su pulsioni interne e di allontanamento dalla famiglia adottiva dei commilitoni, l’idealismo monolitico e rabbioso di Ringo sa essere al contempo scintilla che mette in moto gli eventi ed elemento deflagrante che li porta alla prima catarsi, la conclusione del ciclo iniziale.

La costruzione del personaggio Ringo è graduale: se la sua impulsività è resa fin dalla prima apparizione, insieme con la nota gentile dell’aiuto prestato alla spaurita Sam, il gioco, da allora in poi, è mantenere la sua strafottenza, quell’atteggiamento da torero nei confronti della realtà, come uno specchietto per le allodole da esibire in superficie. Nel frattempo, in quanto eroe tragico, Ringo è costantemente messo alla prova. C’è lo scontro con Nakamura e l’autorità, in Primo sangue, e la sua risoluzione umiliante in nome dell’affetto per Sam. Assistiamo al confronto sanguinoso con la futura Mocciosa, nell’intenso “Spiriti nell’ombra”, dove Ringo rinuncia a qualcosa di intimo, il suo innato senso di conservazione, per salvare da se stessa la donna della sua vita. In …e rinascerai col dolore, Ringo sperimenta sulla propria pelle, in successione rapida, le macchinazioni dell’esercito e il tradimento da parte della propria ragazza, mentre, nella linea temporale del passato di Bugie e pallottole, è il primo a farsi corrodere dai dubbi sulla missione degli Orfani.

Il Pistolero, insomma, è inserito in un percorso coerente, che parte da un personaggio con caratteristiche ben evidenti, e si inserisce in una ripida traiettoria di anti formazione (o come direbbe lui: una formazione a “cattivo”) che lo porta alle radicali scelte finali che occupano la luttuosa volata finale da War pigs in poi, primo fra tutti il drammatico scontro con la Mocciosa.
La catarsi di Rock and roll, momento necessario di un percorso tragico, è in realtà una catarsi del gruppo degli Orfani: gli ideali posticci di cui erano vestiti vengono meno, e tutto si risolve con l’ultimo scontro. Con la morte di Jonas, il gruppo di giustizieri voluto dall’esercito muore e un ideale di rivoluzione sembra rinascere, sancito da una distorsione del motto meta narrativo che percorre la prima stagione. Ma il dodicesimo episodio di Orfani non fornisce la necessaria catarsi al suo protagonista. Lo infila invece all’inizio di un suo percorso personale di redenzione.

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La seconda stagione parte proprio da questa nuova strada in salita, restituendoci l’ex Pistolero come il classico eroe in pensione, ritiratosi dalla lotta in cui credeva, dopo aver constatato che era un’inutile causa di morte, al pari dei massacri compiuti dall’altra parte della barricata.
È un cambiamento radicale, una nuova e dura prova per un avventato e idealistico narcisista come Ringo: negare alla radice il nucleo delle proprie azioni, quelle convinzioni romantiche che l’avevano portato a dare fuoco al mondo. La scelta, per quanto non originalissima, ha il pregio di evitare un appiattimento del personaggio sullo stereotipo di condottiero della rivoluzione. E segna l’inizio di un nuovo percorso, coerente da un punto di vista drammaturgico, ma soprattutto reso meglio, da un punto di vista narrativo, rispetto alla prima stagione. Il nuovo obiettivo al contempo cambia radicalmente, rimane fortemente idealistico, e ha il pregio di essere forse più difficile del precedente: un guerriero, un uomo che ama riempirsi la bocca con uno slogan à la Wolverine (“sono bravo ad ammazzare la gente”), si ritrova a doversi spogliare, gradualmente, di tutte le belle suggestioni da combattente che gli si sono stratificate addosso, per accogliere un complicato ruolo inatteso: essere padre.

La seconda stagione di Orfani tende verso una dimensione corale, ma al contempo intima, raccolta. Se la prima stagione medita sulle alienazioni tipiche degli orfani, in un racconto di anti formazione, il percorso nella seconda è opposto.Siamo tutti orfani”, ricordano più volte Nuè, Rosa e Seba, ma con i chilometri percorsi si stringono intorno al piccolo nucleo di affetti che il mondo gli ha fortunosamente cucito addosso. È una dinamica che trova una simmetria deformata nel rapporto fra una rediviva Sam e la principale antagonista della serie, la professoressa Jsana Juric.
Diversamente dalla prima stagione, che utilizzava la coralità per raccontare la tragedia di un personaggio, qui al contrario tutto si concentra fin da subito sul personaggio, illuminando insieme alla sua, la tragedia di un gruppo. E trovando, insieme al destino del protagonista, anche la risoluzione della dinamica del gruppo, anzi, dei due gruppi di cui ha fatto parte. È la catarsi davvero finale, potremmo dire, quella che rappresenta una conclusione per i comprimari (siano essi vecchi o nuovi orfani), ma che soprattutto chiude i conti in sospeso con il protagonista.

Il Ringo della seconda stagione di Orfani è un uomo spezzato, un “Dark Knight Returning1 che viene, a fatica e grazie ai rapporti con gli altri, ricucito in tempo per l’esecuzione. La sua morte in pubblica piazza è il momento in cui trova il massimo senso in un’accezione tragica, perché è insieme il compimento del suo percorso di padre, ma anche la sconfitta completa nel suo ruolo di rivoluzionario.
La vita di Ringo, dalla sua infanzia al sacrificio, rappresenta uno degli elementi di maggior pregio dell’operazione Orfani, perché ci restituisce un personaggio a tutto tondo, che rimane empatico anche nelle sue estremizzazioni più action.

I comprimari: metamorfosi fra le due stagioni

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Jonas, Juno, Raul e Sam: i comprimari di Ringo nel primo ciclo sono personaggi che esemplificano i concetti di alienazione derivante dal lutto e della conseguente (e imperfetta) ricerca di equilibrio: credono di raggiungerlo nelle regole come paradigma inviolabile, nella vendetta come modo d’essere, nella lontananza dalle emozioni come antidoto o nelle menzogne di stato come barriera per ulteriori orrori.
Uno dei giochi della seconda stagione è ritrovarli in corpo di fantasmi, che sono parodia del ruolo ricoperto quando erano realmente in vita. La cosa è particolarmente evidente in Jonas, che diventa il “cane da caccia” del gruppo, o in Sam, che sostituisce l’attaccamento per la “famiglia dell’esercito” con un affetto deviato per la Juric. Per Juno, che riceve un ingombrante potenziamento, omaggio al suo amore per le armi pesanti, rimane il ruolo di elemento sfuggente, che agisce secondo una logica autonoma, mentre Nakamura e Raul sono derubricati a semplici strumenti e come tali subiscono le principali mutazioni fisiche disumanizzanti.
Al di là della loro natura di killer al servizio della Juric, rappresentano insomma un modo di mettere a confronto Ringo con i demoni del proprio passato.

Ma Orfani: Ringo aggiunge al cast i tre ragazzi, Rosa, Seba e Nuè, che costituiscono una nuova squadra con una dinamica interna opposta rispetto a quella del gruppo militare, con un percorso di formazione che, snodandosi sui dodici numeri di una fabula di viaggio, risulta più equilibrato e convincente, grazie anche a una caratterizzazione ben definita dei tre comprimari. I nuovi arrivati rappresentano l’elemento più “naturalistico” nella saga, e i loro battibecchi e l’amicizia che si consolida fra conflitti ed elaborazioni successive sono la fonte di molte delle pagine più convincenti di questo secondo anno.

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Discorso diverso per il filone “politico”, concentrato principalmente nel personaggio di Jsana Juric (e in subordine in Nakamura). Difficile digerire la stolida fissità da villain d’epoca che la professoressa mostra dalla prima all’ultima sua apparizione. La Juric, anzitutto, è introdotta in maniera fumosa: è una sociologa che troviamo a capo dei militari di Dorsoduro, ma non c’è mai alcun riferimento al perché. La sua sconfitta a fine prima stagione si tramuta in un inaspettato avanzamento di grado, perché sembra l’unica in grado di gestire la situazione di crisi generata sulla Terra. Ancora una volta, riesce difficile capirne il motivo. In tutti i dialoghi in cui compare non mostra mai davvero una debolezza, ma nemmeno viene mai realmente messa alla prova. Anche il suo rapporto con la Sam tramutata in Corvo viene filtrato da battute talmente fredde, che si arriva a percepire del calore (o almeno, una sua approssimazione distorta) solo nelle reazioni dell’ex Mocciosa.
Si potrebbe pensare che la caratterizzazione spoglia della Juric sia simbolica: se il mondo rimane immutabile, a prescindere dai nostri tentativi di influenzarlo, allora la stessa immutabilità potrebbe essere stata applicata da Roberto Recchioni al personaggio (estendendola anche all’aspetto esteriore: a fine seconda stagione ha un fisico invidiabile e giusto due rughe di espressione, pur essendo invecchiata di trent’anni rispetto al primo episodio).
Ma mentre nella prima stagione la sua natura di commentatore degli eventi e la caratterizzazione aneddotica di altri comprimari rendono un simile utilizzo allineato al resto, la seconda stagione, più naturalistica nelle intenzioni e nelle dinamiche principali, finisce col rendere la sua presenza un unicum stonato, in conflitto stridente con la struttura del racconto. Avrebbe di sicuro giovato investire di più su questo personaggio, non solo perché assume, di fatto, il ruolo di principale antagonista, ma anche perché una individualità più realistica e meglio formata sarebbe stata più adatta per trasmettere il messaggio che sembra portare sulle spalle. La sensazione, invece, è che la morale politica che incarna si spogli di sostanza e rimanga uno slogan vuoto.

Nella seconda parte dell’approfondimento su Orfani: Ringo confrontiamo le strutture delle due stagioni, parliamo dell’aspetto grafico e dell’ambientazione italiana.

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Fine prima parte – continua e finisce tra pochi giorni nella seconda parte


  1. Roberto Recchioni, nella nostra intervista su “Orfani: Nuovo Mondo”, ha dichiarato “Ringo è più che una risposta, proprio il mio ideale proseguimento delle vicende del primo DKR.“ 

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