Cercare di comprendere, analizzare e definire una fumettista come Anke Feuchtenberger è un compito difficile, sicuramente superiore alle competenze di chi scrive e forse limitato anche dal termine stesso della definizione. Fumettista è infatti un termine tanto corretto e comprensivo quanto limitante dell’esperienza di Feuchtenberger, che nella sua quasi quarantennale esperienza artistica ha declinato la narrazione per immagini in molti modi, sconfinando nell’arte contemporanea, nella poesia criptica e trasognata, nelle storie per bambini che si tingono di sfumature sinistre, nella rappresentazione della natura che si fa metafora dell’esistenza umana, della trasmutazione dell’uomo in animale e parte del mondo organico. Parlare dell’arte di Feuchtenberger significa comprendere la forza che nasce in questa assenza di limiti, nello spazio bianco, o meglio nella fessura, che si crea tra le definizioni, la prorompente energia di un modo di concepire l’arte che ha fatto scuola, non solo in Germania ma anche a livello internazionale. Significa trovare chiavi interpretative a storie oscure e bizzarre che spesso confondono e lasciano inquieti, che lasciano solo nuove domande, che conducono a nuove strade per comprendere la natura stessa dell’essere umano.
Questa analisi si propone di essere quanto più completa nell’analizzare i motivi ricorrenti dell’arte di Feuchtenberger, ma mi rendo conto che non possa essere essere esaustiva, giacché ogni capitolo meriterebbe un saggio a sé stante (ed esiste, dal 2023 e per ora solo in lingua tedesca, con il titolo Die Königin Vontjanze1 e che il lavoro dell’artista possa avere numerose interpretazioni e letture. Per orientarmi meglio, ho quindi deciso di strutturarla come se fosse la visita ad un palazzo, una metafora del corpo e della memoria cara all’autrice e che ritorna in varie delle sue opere (esplicitamente in Das Haus, appunto, ma non solo): ogni porta si apre su uno dei mondi dell’opera e dell’esperienza di Feuchtenberger, tenendo ben presente che la struttura del palazzo non può essere strettamente euclidea, dato che le stanze si intersecano tra loro per creare forme nuove e imperscrutabili, nuovi spazi di racconto del mondo che ci circonda e che si cela in noi. Per aprire queste porte, userò come chiavi alcune frasi prese da varie interviste rilasciate negli anni a quotidiani, giornali accademici e riviste specializzate. Con queste premesse, possiamo cominciare il viaggio nel palazzo di Anke Feuchtenberger.
Porta d’ingresso: Anke Feuchtenberger, una biografia
“Ho vissuto la mia adolescenza negli anni Settanta nella Germania Est, dove molte delle cause per cui le donne dell’Ovest stavano lottando erano legate alla realtà: il diritto di abortire, il lavoro, il salario pari a quello dell’uomo, l’asilo per i bambini. L’emancipazione delle donne era imposta dal governo.”2
Anke Feuchtenberger nasce a Berlino Est nel 1963 e trascorre metà della sua infanzia nella citta tedesca e metà nella campagna del nord della Germania, la Pomerania occidentale. Sin da bambina, grazie al padre graphic designer e alla madre insegnante d’arte, viene esposta a molti stimoli artistici, dai poster di John Heartfield, ai libri su Käthe Kollwitz (artista tedesca attiva agli inizi del ‘900 e interessata alla rappresentazione espressionista e politica della realtà, soprattutto della vita delle classi sociali più povere) e quelli di Rodolphe Töpffer, da collezioni di dipinti del Rinascimento italiano alla scultura del Barocco, fino a xilografie giapponesi e arte africana, senza tralasciare l’influenza dell’Espressionismo tedesco e quella dei film animati in passo uno del grande illustratore e animatore Cecoslovacco Jiří Trnka.
“Ho iniziato a capire che attraverso l’arte potevo sostituire la fantasia a un desiderio, che potevo vivere in un mondo che non era questo, ma un mondo di fantasia. Ho realizzato questa cosa molto presto nella mia vita e da allora non ho mai smesso di disegnare.”3
Sin dalla tenera età si dedica all’arte, pittura ma soprattutto scultura, ed entra in contatto con varie artiste, tra le quali Kerstin Grimm e Nuria Quevedo, pittrice spagnola in esilio dalla quale erediterà alcune tematiche focali per la propria esperienza artistica (il corpo della donna, il rapporto tra uomo e donna). In seguito, ripercorrendo le orme del padre il cui lavoro su poster e manifesti ha grossa influenza su di lei, si iscrive al corso di graphic design alla Kunsthochschule di Berlino, laureandosi nel 1988. Nel frattempo sviluppa un interesse per il teatro, in particolare quello di Ariane Mnouchkine, e i suoi primi lavori sono proprio in questo ambito, con poster e cartoline realizzate per spettacoli teatrali. L’inizio della carriera artistica coincide con un grande cambiamento storico, ovvero quello della caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione della Germania Est. Sin da poco prima di questo evento, nel 1989, entra a far parte del collettivo PGH Glühende Zukunft, un gruppo di grafici e fumettisti di cui fanno parte Detlef Beck, Holger Fickelscherer e Henning Wagenbreth: l’entrata nel collettivo la espone non solo a un maggiore coinvolgimento politico, comunque già presente nelle sue opere, ma la porta in contatto anche con un medium che fino da allora, se si esclude Rodolphe Töpffer, era stato assente dalla sua vita: il fumetto (iniziando con artisti quali Mark Beyer e Jacques de Loustal). Ma anche prima di questo incontro, la componente narrativa è sempre stata parte dell’arte di Feuchtenberger: basti vedere la raccolta di poster pubblicata nel 1999 da Jochen Enterprises sotto il nome di Die Biographie der Frau Trockenthal, in cui elementi del fumetto si fanno spazio nel lavoro di illustrazione, creando un collegamento fluido e bidirezionale tra queste due espressioni artistiche, come ben analizzato da Elizabeth Nijdam in un saggio contenuto in Studien zur Geschichte des Comic 4.
Nel 1993, parallelamente alla sua prima mostra personale al Goethe Institut di Parigi (la prima mostra collettiva risale al 1991 con altri membri di PGH Glühende Zukunft presso la Galerie am Chamissoplatz di Berlino), inizia ufficialmente la sua carriera di fumettista, con la pubblicazione di Herzhaft Lebenslänglich per Verlag Martin Barber, a cui fa seguito nel 1995 Mutterkuchen, che segna l’inizio della collaborazione con Jochen Enterprises, casa editrice che pubblicherà molti dei primi lavori di Feuchtenberger. Il biennio 1996-1997 rappresenta un momento cruciale nella carriera dell’autrice: da una parte, inizia la proficua collaborazione con Kathrin De Vries, con cui pubblica il primo volume della serie Die Hure H. (inizialmente per Jochen Enterprises, poi ripubblicato nel 2003 da Reprodukt, gli altri due volumi usciranno nel 2003 (Die Hure H zieht ihre Bahnen, Edition Moderne) e nel 2007 (Die Hure H wirft den Handschuh, Reprodukt) )5; dall’altra, nel 1997 inizia il suo lavoro come docente di disegno e narrazione grafica presso la Hochschule für Angewandte Wissenschaften, un ruolo che avrà un impatto fondamentale sulla sua carriera, ma anche sul mondo fumetto tedesco in generale. Nel 2007, insieme all’artista italiano e compagno di vita Stefano Ricci, fonda (e gestisce fino al 2015) MamiVerlag, casa editrice in cui, oltre alle proprie opere, pubblica anche le prime opere di alcuni dei suoi studenti e delle sue studentesse più promettenti. Nel corso della sua carriera ha realizzato più di 100 mostre tra personali e collettive (in Germania e altri paesi del mondo, tra cui molte in Italia, una buona panoramica si può avere qui: https://www.ankefeuchtenberger.de/biography/), ha pubblicato più di trenta tra fumetti, libri e saggi illustrati e cataloghi (oltre a quelli già citati, vale ricordare Somnambule, Jochen Enterprises, 1998; Das Haus, Reprodukt, 2001; Grano Blu, Canicola, 2011; Die Spaziergängerin, Reprodukt, 2012, La Fessura/Der Spalt, Canicola, 2021; Genossin Kuckcuk, Reprodukt, 2023 e Coconino Press, 2024 col titolo Compagna Cuculo), ha pubblicato in numerose riviste specializzate e generaliste tedesche e internazionali (tra queste, Strapazin, FAZ, e Internazionale, solo per citarne alcune) e ha ricevuto alcuni dei più importanti premi del fumetto in Germania (tra questi, nel 2008 il Max-und-Moritz-Preis „Bester deutschsprachiger Comic-Künstler“ del Salone Internazionale di Fumetto di Erlangen, nel 2020 il premio speciale Max-und-Moritz alla carriera e nel 2024 la nomination al premio del Salone del Libro di Lipsia, primo fumetto a raggiungere questo risultato) ma anche molte nomination a festival internazionali.
Oltre a tutto questo, come tiene a precisare sul suo sito internet, è madre e nonna. E quindi mi sembra giusto chiudere così questa parte biografica, anche perché queste definizioni di sé stessa sono fondamentali per iniziare ad addentrarci nelle tematiche e nell’arte di Anke Feuchtenberger.
Porta dei sensi: la donna, il corpo e le sue forme
“La costruzione dell’idea di corpo e quindi la ricerca, con il disegno, derivano dalle suggestioni della mia vita. Dal corpo maschile arrivava la violenza. Così ero sempre più interessata al corpo femminile, perché é anche il mio corpo, quello che conosco meglio.” 6
Se si dovesse individuare un unico elemento pervasivo e costante nell’arte e nel lavoro di Anke Feuchtenberger, questo sarebbe sicuramente l’esplorazione del corpo, in particolare quello femminile. È la stessa autrice a far risalire questo interesse alla sua formazione, permeata dall’influenza del Rinascimento e del barocco italiani da un lato, in particolare la scultura, e dalla cultura della Repubblica Democratica Tedesca (DDR) dall’altro, che nell’arte dava una grande importanza al corpo, alla sua concretezza e presenza nello spazio, rispetto alla progressiva astrattizzazione a cui si assisteva nell’arte del mondo occidentale. I poster realizzati per le produzioni teatrali e successivamente per associazioni femministe definiscono già quello che sarebbe venuto più tardi nei primi fumetti, sia a livello stilistico che tematico. I corpi sono definiti da linee spesse e angolate, geometricamente essenziali, non rispettano nessuna anatomia, anzi i dettagli sono deformati: aumentano le dimensioni delle teste, delle labbra e degli occhi a scapito degli arti e del busto, squadrato e spesso definito da pochi elementi, ovvero capezzoli su seni poco o per nulla pronunciati e, quando mostrato, l’organo genitale femminile definito da una semplice linea; la sensazione di trovarsi davanti a qualcosa di esotico e alieno viene rafforzata dalle scelte compositive, con le figure che spesso occupano gran parte (se non tutto) dello spazio illustrativo, sia esso una vignetta o un poster, mentre controintuitive prospettive dal basso o dall’alto alterano ancora di più le dimensioni e i dettagli dei personaggi. In questa prima fase sembra quasi che Feuchtenberger stia testando i limiti della rappresentazione della donna, prima di tutto in termini di misure fisiche: in una intervista rilasciata nel 2008 a Mark Devin Nevis (uno dei massimi conoscitori e curatori del lavoro dell’autrice in lingua inglese) per l’ European Comic Art, l’artista dichiara infatti che “disegnare è capire cosa siano le misure: la misura del corpo, la scala dell’essere umano, lo spazio dell’amore e del contatto, la dimensione della vita”.7
Questi elementi della figura femminile iniziano a definirsi con maggiore precisione in Mutterkuchen (1995, Jochen Enterprise), opera che raccoglie nove racconti accomunati dal tema della maternità e della nascita in relazione al corpo della donna (mutterkuchen è il termine tedesco per placenta): queste storie presentano una figura i cui connotati, pur rimanendo femminili, perdono una ben precisa definizione. Questo processo viene estremizzato nel primo volume de La Puttana P. (Die Hure H., 1996, Jochen Entreprises, recentemente ripubblicato in formato integrale da Reprodukt), l’opera più famosa del primo periodo artistico di Feuchtenberger. In questa storia, l’autrice, insieme alla scrittrice Katrin De Vries, racconta e in un certo senso analizza, in maniera metaforica e simbolica, il rapporto della società con la donna con una narrazione che procede per ellissi e balzi temporali. I testi poetici e criptici di De Vries ispirano, nella prima parte di questo lavoro, la metamorfosi della donna-Feuchtenbergerowa in un personaggio indefinito e indefinibile: la perdita completa dei capelli, l’accentuazione delle dimensioni della testa, la schematizzazione degli arti e del busto, sempre nudo e definito da pochi dettagli, seni a punta e organo genitale come fessura, quasi eliminano la differenziazione tra uomo e donna, facendo regredire la protagonista a uno stadio neonatale e pluripotente. In questa fase si definisce anche il concetto di maschera nella narrazione dell’autrice come esplorato da Jonas Engelmann nel saggio “Einige Dinge Kehren wieder”: Facetten des Unhemlichen bei Anke Feuchtenberger8: queste figure sono anche “superfici di proiezione[…] figure senza identità che impediscono al lettore di identificarsi e lo conducono in un ambiente inquietante (unheimlich in originale, NdT)”. La mancanza di precisa identità non solo impedisce l’immedesimazione del lettore e concorre alla creazione di una sensazione perturbante, ma inizia in maniera quasi naturale una riflessione sul senso stesso della sessualità e dell’identità di genere, argomenti fino ad allora poco frequentati dal fumetto, soprattutto in Germania.
Come spiegato dalla stessa autrice nell’intervista condotta da Giordana Piccinini (con contributi di Alessio Trabacchini e Emilio Varrà) raccolta in Prendere posizione. Il corpo sulla pagina (Hamelin, 2020): “Stavo cercando immagini diverse del corpo femminile senza escludere la sensualità. Era una cosa molto ambivalente. Un mio amico scrittore diceva che le mie creazioni erano caratterizzata da “fascino e orrore”, espressione che ancora oggi mi sembra giusta per il mio lavoro. Ci sono il dolore, la tristezza, ma anche la dolcezza e la forza del corpo femminile.” E ancora: “La Puttana P era un personaggio che mi piaceva molto, il suo nome produceva una provocazione, l’idea di un segreto in rapporto con il corpo e le relazioni sessuali degli adulti, come lo sentivo quando ero piccola. La protagonista cerca di capire le tradizioni, i cliché che rendono normale il rapporto tra uomo e donna.”9 Un concetto che ha ricordato anche in una recente intervista al quotidiano TAZ e che si connette all’idea di maschera espressa poco sopra:“[…]non ho mai lavorato contro un ideale di bellezza, ho cercato di immaginare il mio ideale di bellezza. Il risultato è una sorta di corpo infantile che non è chiaramente definito dal genere.”10
La provocazione intrinseca a questo personaggio, la distanza tra il suo atteggiamento di ricerca, di fame di esperienze, e il suo nome, attribuito da una società patriarcale, fa sì che la storia della Puttana P. sia una riflessione sulla battaglia che si combatte sul corpo, la sessualità e il concetto stesso di donna nel nostro mondo. I vari capitoli sono tappe di un viaggio che è confronto costante con convenzioni, ruoli imposti e idee omologate: si comincia con un faccia a faccia diretto con l’essere maschile, un uomo che cerca di soddisfare sessualmente ma da cui viene solo usata senza ricavare alcun piacere, salvo poi trovarlo nel rapporto aperto e vicendevole con un’altra donna, laddove l’uomo aveva saputo definirla solo come “puttana”. Da qui la Puttana si reca a una festa nella quale è convinta di dover incontrare un uomo, unico strumento di misura che sembra definirla, ma che abbandona dopo una infruttuosa ricerca, comprendendo di poter essere altro, di poter essere valutata in altro modo; si passa poi a una storia di maternità negata e sofferta, e poi a un’altra in cui la protagonista è mossa dal desiderio di matrimonio, vissuto però solo come una convenzione sociale e non come frutto di reale volontà; poi la Puttana attraversa una landa desolata, in cui gli uomini dominavano prima di estinguersi, e dopo ancora ci spostiamo in una città in cui uomini si accalcano per osservare una vera prostituta che offre la sua sessualità strabordante e materiale, un luogo in cui non c’è posto per la protagonista; avviandosi verso ultimi capitoli, la Puttana P. si ritrova prima ad avere un rapporto con un uomo potente pensando di poter essere da questo innalzata, per poi capire che il suo corpo stesso contiene in sé la forza necessaria per autodeterminarsi e che è l’uomo può essere solo un mezzo per il suo fine, non viceversa; infine, la protagonista diventa madre che alleva un figlio in solitudine, confrontandosi a viso aperto, anche violentemente, con un uomo che la riempi di false promesse e che abbandona, prima di avviarsi, alla fine, verso un ballo arcano e oscuro di cui è la sola artefice e protagonista.
Come si capisce da questa complicata sinossi, ogni episodio è criptico, convoluto, a tratti inaccessibile, scollegato dal precedente e dal successivo in termini temporali, ma tutti sono strettamente connessi a livello concettuale, un viaggio spirituale e metaforico nella storia della donna come essere sociale e organico. Ogni passo è definito da simboli, da non detti, da enigmi che restano irrisolti, che suggestionano e portano a interrogarsi su ognuno dei temi sopra elencati; ma è soprattutto il corpo della Puttana P. a cambiare, così come cambia lo stile di Feuchtenberger negli anni intercorsi tra inizio e conclusione dell’opera: la protagonista è unica e diversa in ogni capitolo del libro, passando da una caratterizzazione scarna e essenziale a una più armonica, più delicata e al tempo stesso forte e presente, una figura di donna che ricorda sempre più l’immagine della sua autrice, ma che soprattutto porta in sé i segni della crescente presa di consapevolezza della propria centralità, dei propri diritti, dei propri bisogni e dei propri istinti, spogliandosi di volta in volta di un ruolo imposto, di un pregiudizio, rendendo quel nome inizialmente negativo una parte di sé, una delle molte di una femminilità che travalica l’idealizzazione e l’oggettificazione del sistema patriarcale e, così facendo, la contrasta.
Tra tutti gli elementi che vengono riletti e valorizzati con rinnovate prospettive, il senso e il significato della maternità ricoprono un ruolo centrale: sin dai primi lavori di Feuchtenberger è sempre stato un tema presente (le prime figure ricordano di fatto anche immagini di fertilità, quasi delle stilizzazioni di statuette votive preistoriche o rappresentazioni derivate dall’arte tradizionale africana), e in La Puttana P. trova una evoluzione e una elaborazione minuziose, arricchendosi di nuove sfumature, per poi raggiungere a una ideale conclusione ne La Fessura (Der Spalt, 2021, Canicola Edizioni), dove la figura di madre, analizzata attraverso il cane, subisce un’ulteriore metamorfosi per diventare quello di nonna, custode di tradizioni e di memorie.
Il termine memoria non è usato qui casualmente: come affermato nell’intervista a Nevis parlando di Das Haus (1999, Reprodukt): “Volevo esplorare il mio convincimento che le memorie siano depositate nel nostro corpo. Perciò, secondo questa mia teoria, se si tocca una parte del corpo si risvegliano certe memorie collegate a un luogo, a una situazione.” In Das Haus ogni capitolo è una parte del corpo che viene associata a una chiave e a una associazione di idee, il tutto legato da una forte carica simbolica, inaspettata e enigmatica, in cui la precisione della rappresentazione del dettaglio anatomico e di quello tecnico delle chiavi si unisce a immagini più evocative e didascalie criptiche che sembrano uscite da un oscuro libro di filastrocche: il corpo diventa per Feuchtenberger un veicolo attraverso cui creare un contatto tra la propria interiorità e il mondo esterno, per connettere la materia fisica con l’immaterialità del ricordo e del pensiero.
Questi elementi attraversano tutto il lavoro di Feuchtenberger, venendo ripresi e esplorati in opere successive, non ultima Compagna Cuculo, per creare nuove riflessioni in nuove direzioni: ad esempio, quella sul corpo e il rapporto con ciò che lo circonda.
Porta dello spazio: tra esterno e interno, tra campagna e città
“Sin dall’inizio, con scultura e teatro, lavoravo sullo spazio occupato dal corpo e quello che gli sta attorno. Lo spazio del corpo può essere la casa, che è un corpo in cui vivo. Nel libro Das Haus il corpo diventa casa in cui vivono delle memorie. Anche quando disegno gli animali, il concetto è lo stesso: esplorare corpi diversi e lo spazio che occupano, nel quale vivono.”11
In ogni sua opera Anke Feuchtenberger ha dato al paesaggio, antropico o naturale che sia, un ruolo di particolare rilievo, perché assolutamente necessario a definire sia il corpo dei personaggi che quello della storia, grazie alle sue misure, alle sue dimensioni, allo spazio che definisce sulla pagina. Nei primi lavori (in particolare La Puttana P., ma anche Somnambule o Der Palast), i paesaggi richiamano solo alla lontana quelli del mondo reale: spesso ci si muove in lande desolate, quasi desertiche, nelle quali si stagliano architetture bizzarre, tanto solide e massicce nel segno quanto contorte e assurde nella loro struttura. Feuchtenberger crea così una realtà parallela alla nostra in cui immagina oggetti e abitazioni dalle proporzioni ardite, che contribuiscono a quell’atmosfera aliena e distante, inquietante e indefinita tipica delle sue prime opere; ma soprattutto l’artista esplora i rapporti che il corpo ha con il suo intorno, in cui si riflette e che al contempo definisce e plasma grazie alla sua presenza nello spazio fisico, che lo mette inevitabilmente in contatto con materia organica e inorganica. Lo spazio, in questo primo periodo, risponde a quella necessità di misurabilità che Feuchtenberger ricerca con il disegno.
Parallelamente, riprendendo alcuni elementi che nascono negli studi fatti in gioventù e si sviluppano più ancora nel procedere della sua carriera di pari passo con l’evoluzione stilistica, Feuchtenberger si dedica sempre di più alla rappresentazione, più o meno realistica, del mondo che la circonda, prendendo spunto dalla sua esperienza personale. È qui che diventa focale il confronto tra campagna e città, e come questi ambienti si riflettano sull’essere umano, inteso sia nella sua forma più spirituale che in quella più carnale. Parlo di confronto e non di scontro non a caso, perché in Feuchtenberger questi due luoghi si trovano uno vicino all’altro, dialogando tra loro per definire l’esperienza personale dell’autrice che è l’esperienza comune e universale di ogni uomo.
“ La città, gli edifici, mi sembrano una bella metafora per questi resti che sono lasciati nel nostro corpo dal passato. Lo spirito di una città appare, per me, quando lo sento con tutto il corpo, passeggiando.”12): la città e quindi custode di memorie che si fanno materia, come si vede può in storie come Das Haus, in cui alcuni angoli di Berlino evocano ricordi e associazioni di idee, oppure in Die Spaziergängerin, una raccolta di storie che vede varie protagoniste (spesso l’autrice stessa) muoversi all’interno di città come osservatrici più o meno attive, spesso alla ricerca di scorci che contengano in sé una traccia viva e vitale del passato che incontra il presente. La campagna, ovvero la parte antropizzata della natura, che trova altrettanto spazio nelle sue storie (ancora Die Spaziergängerin, ma soprattutto Grano Blu e il successivo Compagna Cuculo) è invece vista come spazio liminale, e un luogo fatto di piccoli gesti lenti, di crudeltà e di delicatezza, che diventa un ponte tra l’uomo e la natura incontrastata, terribile e bellissima al tempo stesso, e in cui il corpo e lo spirito dell’essere umano trovano una dimensione diversa, immersa in ricordi più evocativi e un sistema di regole diverse, che nel caso di Feuchtenberger spesso nascono dalle esperienze dell’infanzia, ma che non vengono mai idealizzate attraverso la nostalgia, bensì osservate quasi con scientifico interesse.
A questi elementi spaziali va aggiunto un altro tema ricorrente, che è quello del confronto tra il corpo e gli ambienti aperti e chiusi. Nell’arte di Feuchtenberger è costantemente presente un movimento tra esterno e interno, con continui mutamenti di prospettive e dimensionalità: a volte gli interni sono claustrofobici, sembrano schiacciare i personaggi e intrappolarli (si vedano per esempio gli episodi di Die Spaziergängerin Berliner Zimmer o Ausgerottete Augn), altre volte invece si dilatano quasi all’infinito, e allora i corpi sembrano atomi solitari in mezzo a un vuoto immenso (il volume Somnambule è ricco di queste immagini, ma anche l’episodio Vermessenheit und Raumerziehung sempre da Die Spaziergängerin); allo stesso modo, alcuni esterni sono rappresentati come senza confini e liberi di essere esplorati, ma altre volte diventano angusti e soffocanti, magari perché invasi da molte persone (sempre Ausgerottete Augn, ma anche alcuni passaggi di La Puttana P.), oppure perché semplicemente oscuri (nel senso in questo caso di disegnati con abbondanza di neri) e indecifrabili, come in alcuni passaggi de La Fessura.
Questa breve analisi delle molteplici sfaccettature che lo spazio assume nel lavoro di Feuchtenberger fa capire come nulla nei suoi disegni e nelle sue storie sia lasciato al caso, e che ogni cosa contribuisce non solo alla narrazione e alla costruzione di una atmosfera, ma soprattutto a una ricerca personale e spirituale che passa dal processo artistico.
Porta della natura: specchi d’acqua, vegetazioni fungine e antropomorfismi
“Da bambina ero molto attratta da tutto il mondo organico, c’era qualcosa di molto confortante e riuscivo a riconoscermi in esso. I bambini accettano tutto, non c’è sporcizia, non c’è nessun senso di disgusto, solo interesse. Credo di aver conservato questo aspetto. Da adulta, ho avuto il desiderio di confrontarmi di nuovo con queste cose, perché ho la sensazione che tutti noi siamo, nel profondo, un po’ lumaca o melma o plasma. Questa è una sorta di guida per la vita, perché così impari chi sei, che devi essere umile. Tutto il resto è inutile.” 13
Se nel lavoro di Anke Feuchtenberger l’ambiente più o meno antropizzato ha un ruolo centrale, come detto nel precedente capitolo, la natura nella sua forma incontaminata è ancor più importante per comprendere le opere dell’artista, soprattutto quelle più recenti. L’immersione nella natura procura all’autrice un profondo senso di meraviglia che nasce dal piacere della pura e attenta osservazione (si veda a questo proposito l’interessante conversazione con Stefano Ricci a Bilbolbul 201414): da questa, l’occhio dell’artista, attraverso la sua particolare sensibilità, distilla nelle immagini una sensazione che mescola indissolubilmente la bellezza e l’orrore insiti nel mondo naturale. Come abbiamo già avuto modo di vedere, Feuchtenberger ha la capacità di creare storie che attraggono e repellono al tempo stesso, una condizione che è ricorrente nel mondo naturale. Ecco quindi che, ad esempio, la rappresentazione degli specchi d’acqua rientra perfettamente in questo modo di osservare e interpretare il mondo naturale. L’acqua è elemento vitale, la sua fluidità è sinonimo stesso di evoluzione e rinnovamento costanti, ma nei suoi bianchi e neri Feuchtenberger la riveste anche di un tono minaccioso, una sensazione di ignoto e di indefinitezza che causa timore ma che invita anche all’immersione, per uscirne creatura nuova: esemplificativo è già il capitolo due di Compagna Cuculo, in cui la protagonista si confronta con un essere terribile e materno che emerge dalle acque del laghetto di paese, un figura femminile che sembra promettere grandi cambiamenti e profondo turbamento.
Attrazione e repulsione sono anche i sentimenti con cui l’autrice si approccia ad alcuni animali, su tutte le lumache15 che hanno un ruolo fondamentale in Grano Blu e soprattutto in Compagna Cuculo. “Ho iniziato a pensare alle lumache e ai funghi. Entrambi sono invasori che mi infastidiscono spesso nella vecchia casa di campagna in cui vivo. (…) Col tempo ho iniziato a interessarmi di più ai miei “nemici” (le lumache entravano in casa a centinaia e mangiavano tutto il giardino). Ho scoperto la loro bellezza e il loro comportamento, il loro modo di vivere. Dato che entrambe vivono nascoste per molto tempo, sono legate alle stagioni e hanno anche collegamenti sotterranei, mi sembrava che avrei potuto imparare qualcosa sulla mia vita se avessi prestato loro più attenzione. Ed era vero. È stato come tirare un filo rosso. Tra noi si è sviluppata una relazione profonda e ambivalente.” così sulla sua ultima opera in una intervista a Anna Weissmann per Reprodukt16, in cui le lumache hanno un ruolo simbolico importantissimo. Questi animali non sono solo interessanti da un punto di vista visivo, come si vede nelle meravigliose illustrazioni di grande formato in Grano Blu, ma anche per la loro vita sociale, che Feuchtenberger fa coincidere, in maniera criptica e evocativa, quasi religiosa, con l’esperienza di crescita, anche sentimentale e sessuale, della protagonista femminile del racconto (quella che in Compagna Cuculo sarà Effi). Al tempo stesso, questa fascinazione si unisce alla strenua lotta condotta da E.R. (lo Jochen di Compagna Cuculo) contro questi invasori di campi coltivati, una battaglia combattuta con tecniche crudeli, compreso l’uso del pesticida grano blu (lotta condotta dall’autrice stessa e che è stata l’ispirazione per queste storie): l’ambivalenza dei personaggi nei confronti di queste creature diventa simbolo dell’ambivalenza dell’essere umano nei confronti della natura stessa.
Ma in questo rapporto complicato si crea comunque una connessione, che ricongiunge l’autrice (e quindi anche il lettore) con la propria natura animale, ridefinendo le coordinate stesse dell’essere umano, non più al centro della creazione, ma solo una parte di essa. In quest’ottica di ricongiungimento spirituale, quasi animista, con la natura, si può leggere il frequente ricorso all’antropomorfizzazione degli animali, o forse sarebbe meglio dire l’animalizzazione degli esseri umani: attraverso il disegno che mescola specie diverse, l’autrice abbatte il confine tra esse, operando una democratizzazione tra le varie creature naturali. Questa mescolanza crea prima di tutto momenti di stratificazione narrativa che moltiplicano i significati e aumentano il senso di profonda inquietudine e turbamento delle storie: ancora una volta, le lumache in Compagna Cuculo si sovrappongono ai protagonisti, diventando figure eleganti e tragiche, regali (come la Reginadiunbelniente, la Königin Vontjanze che entra in contatto con la piccola Kerstin nel capitolo cinque) e disgustose, che attraversano nel loro peregrinare fantastico e (forse) immaginario un un mondo duro, quasi post apocalittico, vivendo esperienze che riflettono quello interiore degli umani. Gli animali umanizzati permettono quindi di riflettere sulla società umana in maniera più distaccata e critica: esemplare è un capitolo di Compagna Cuculo in cui un concilio di animali discute sul fatto che una madre possa abbandonare o meno il proprio figlio, con la contrapposizione ideale tra una madre Corvo e una Cuculo, esempi di maternità completamente diversi (il primo accettabile, il secondo no) per le regole sociali definite dagli uomini, ma entrambe presenti e permesse dalla natura.
In questo contesto, un ruolo di grande rilevanza è dato al cane, animale che più di tutti affascina l’autrice e con il quale ha un rapporto particolare (anche nella vita reale, Feuchtenberger è grande amante dei cani). Questo animale viene riletto e reinterpretato in opere diverse, diventando una sorta di guida spirituale per Feuchtenberger: se ne La Scatola Olandese l’autrice dà voce a una cagna (quella posseduta proprio dall’artista e dal suo compagno) in una favola dai toni divertenti (l’animale scherza sul suo accento strano, essendo una razza olandese) e drammatici (la perdita di un cucciolo in seguito a un aborto) al tempo stesso, in Memorie della menta piperita è la protagonista umana ad assumere le fattezze di un cane, in una storia di crescita e formazione dalle atmosfere da fiaba mitteleuropea. Ma è soprattutto ne La Fessura che il cane assume molteplici ruoli e interpreta molteplici simboli. Quest’opera nasce come una lettera per il nipotino che l’autrice non può vedere a causa della pandemia da Covid e in cui cerca di rispondere alla domanda che le ha posto tempo prima, ovvero cosa sia una fessura. Questa semplice domanda diventa un modo per riflettere su tutti gli spazi intermedi delle nostre vite, quelli indefinibili perché aprono prospettive inesplorate. Nasce così un racconto non consequenziale che gioca sull’accostamento di immagini apparentemente non connesse per creare nuovi significati, in cui l’autrice riflette su tanti temi, sul proprio passato e sul presente (è infatti una lettera poetica che parla tanto al nipote quanto è un omaggio alla propria nonna, legando momenti lontani della vita di Feuchtenberger), sulla distanza tra sogni e realtà, tra essere adulti ed essere bambini, ma anche sulla separazione tra animale e uomo. Come analizzato infatti da Lena Winkel nel saggio Hunde höflich ziechnen – Reflexiver Anthropomorphismus im Werk von Anke Feuchtenberger17, La Fessura è anche la una riflessione sulla distanza che c’è tra l’essere umano e il cane, come esemplificato dalla prima e dalla quarta di copertina che rappresentano due ritratti, quello di un cane e quello di una donna: nella rappresentazione realistica e dettagliata dell’animale Winkel vede una rappresentazione höflich, ovvero gentile, educata, che in questa accezione significa “vedere gli animali come sé stessi, senza dimenticare che la prospettiva umana è per forza di cose una parte necessaria del processo di riconoscimento e identificazione”, un concetto che si riconnette a quello di democratizzazione di cui parlavo poco sopra. In quest’opera il cane è un personaggio dai mille volti: è collegamento tra uomo e natura, tra passato e presente dell’autrice stessa e del paese in cui è nata (non a caso la cagnolina che appare nel fumetto porta il nome di Laika, la cagnetta lanciata nello spazio nella capsula spaziale spaziale sovietica Sputnik 2, le cui sembianze verranno poi assunte dalla nonna dell’autrice proprio in quarta di copertina), ma è anche un raccordo tra le varie fasi della vita di una donna, diventando madre e poi nonna, unendo in sé dolcezza e rigore, spirito di protezione e istinti basilari. Animale più vicino all’uomo, sinonimo di fedeltà, oltre che fonte di ispirazione per l’autrice è guida per il lettore attraverso i momenti più significativi della vita, artistica e personale, di Feuchtenberger.
Porta del sogno: storie di incubi e di quotidianità
“A settembre (del 2015) ero a Roma insieme a Emmanuele Guibert per un confronto e una discussione sui nostri fumetti. In quel contesto, la nostra arte veniva chiaramente divisa: Emmanuele faceva fumetti realistici, io invece facevo fumetti che potevano essere definiti onirici, “sogni ad occhi aperti”. E allora mi sono chiesta: chi può decidere, cosa è reale?” 18
Un essere femminile dalle orecchie di coniglio corre verso una finestra, si lancia e nella caduta si trasforma pian piano in uno scheletro, mentre la luna osserva da lontano; un altro corre dietro una specie di bruco umanoide che vola con un’elica sulla testa, la quale una volta staccatasi diventa una luna che guarda la ragazza dormire; e infine, lo stesso essere femminile implora il satellite, lo guarda da lontano, piange e poi salta in volo, come un razzo, per raggiungerlo e staccarlo letteralmente dal cielo. Questi sono solo alcuni degli episodi che si possono ritrovare in Somnambule, un volume incentrato su un altro elemento fondamentale delle storie di Anke Feuchtenberger, ovvero la dimensione onirica che pervade ogni suo racconto. Ma se in Somnambule il soggetto è chiaro fin dal titolo, con sogni e incubi rappresentati in maniera grottesca, giocosa e inquietante al tempo stesso, l’onirismo delle storie dell’autrice emerge spesso in maniera inattesa, facendo sfumare i confini con il reale: sotto questo aspetto, e leggendo la frase dell’intervista con cui si apre questo capitolo, si può dire che Anke Feuchtenberger usi il fumetto per riflettere anche sul concetto stesso di realtà, e su come questa possa essere plasmata dall’artista e dal suo lavoro. Anche in questo contesto, l’arte di Feuchtenberger evolve col tempo e declina questa ricerca in molteplici modi: i primi lavori (i poster, Der Palast, Somnambule, il primo volume di Die Hure H e altre storie brevi) presentano elementi che, seppur realizzati con uno stile molto materico, attingono a piene mani dalle fantasie del sogno, allontanandosi di molto da qualsiasi tipo di rappresentazione realistica sia nelle figure che negli ambienti per portarci in un luogo della mente, un costrutto che nasce da una materia prettamente immaginaria.
In altri lavori, soprattutto in quelli più recenti fino ad arrivare a Compagna Cuculo, la rappresentazione si complica e le sfumature tra ciò che è percepito come reale e ciò che non lo è si fa sempre più labile: il contrasto tra rappresentazione più vicina al reale (mai realistica) e contenuti rappresentati, insieme a testi enigmatici e non consequenziali, crea un’atmosfera dalle forte tinte surrealiste. Un esempio su tutti è l’episodio Ausgerottn Aug’n (titolo tratto da una poesia di Thomas Kling ) in cui la quotidianità di una donna si trasforma pian piano in un incubo lucido, in cui per esempio i buchi di una fessura diventano il grugno gigante di un maiale (la Schweinemadonna, come dice il testo), mentre nell’aria risuonano le parole della poesia, che sembrano quasi eco di una realtà lontana, assumendo così una dimensione metatestuale che dà loro un nuovo significato. Elementi del sogno e della visione possono essere identificati anche nelle illustrazioni di Superlacrimella, in cui le figure sembrano emergere da incubi infantili di fiabe travisate, oppure in alcuni passaggi di Grano Blu, in cui si assiste alla trasformazione di giovani donne in lumache antropomorfe e poi ancora in figure dal sesso indefinito. “Grano blu contiene visioni che ricordano Roland Topor e allucinazioni dell’artista statunitense Henry Darger[…] È come se il lettore si trovasse in un Cinema Panopticon, dove il confine tra ciò che attrae e ciò che causa paure è molto labile”: così spiega bene Liliana Cupido nel suo saggio Ein Feuchtenbergerowa-Kompass (in Die Königin Vontjanze, pag.229-236). E questa separazione labile tra attrazione e repulsione, tra realtà e immaginazione, scompare completamente in La Fessura: l’autrice crea associazioni mentali tra passato e presente, tra uomo e animale, tra natura e società, tra salute e malattia (con il Covid che irrompe in maniera delicata ma anche spaventosa), con una una narrazione che sembra nascere da un sogno (talvolta da un incubo) lucido, in cui si passa da immagini dolci, quasi rassicuranti e materne, ad altre inquietanti, che mettono a disagio, in cui l’autrice “ricerca la distanza fisica ed emozionale, e tesse una storia che sembra mossa dal caso e da una costruzione che alterna concreto e astratto, lontano e vicino”19.
Ogni opera di Anke Feuchtenberger può essere quindi letta attraverso la lente dell’illusione onirica. Ma bisogna stare attenti a non travisare questa componente, che altrimenti andrebbe a banalizzare e ridurre la portata di questi fumetti: come detto nei capitoli precedenti, pur ricorrendo a forme metaforiche, i contenuti e il senso delle storie, ma anche molti dei loro protagonisti, sono ben radicati nella realtà fisica, in una sorta di materialismo simbolista e surrealista che usa la suggestione del sogno per creare un ulteriore livello di lettura, che non è però in nessun momento il fine ultimo del racconto.
Porta della materia: il mondo modellato dal bianco e dal nero
“Il disegno è il corpo della storia, e spesso dove mi porta, la risposta a quella domanda iniziale, mi sorprende. È per questo che disegno: non per raccontare qualcosa che so, ma per rispondere a una domanda che mi faccio, e spesso questa risposta è fratturata.”20
Pur avendo parlato finora di tematiche e fili rossi che legano il lavoro di Anke Feuchtenberger, alla base di ogni sua opera c’è l’atto pratico e spirituale del disegno, un approccio che affonda le radici nella formazione dell’autrice, lontana dal fumetto e fondata invece a pittura e scultura: “Ho iniziato non sapendo come si costruisce una storia e per molto tempo non l’ho studiato, quindi ho sempre sviluppato la storia seguendo il disegno.”21 Analizzando i primi lavori, dai poster fino al primo volume di La Puttana P., si individua chiaramente l’influenza dell’espressionismo tedesco, in particolare di Karl Schmidtt-Rottluff e Ernst Ludwig Kirchner, ma anche il gusto per la caricatura di George Grosz e Otto Dix, nonché la grande influenza del neo-espressionismo che ebbe grande spazio e sviluppo nella DDR e quella di uno dei suoi più importanti insegnanti, l’artista, scenografo, grafico e illustratore Volker Pfüller, maestro di disegno, di caricature espressive e illustrazioni di grande impatto22. A questo si possono aggiungere anche i giochi di luci e ombre e le geometrie angolari che richiamano il cinema espressionista, come Das Kabinett des Doktor Caligari, famosissimo film muto del 1920 di Robert Wiene, oltre che una certa fascinazione per l’arte africana (basti guardare alle prime donne di Feuchtenberger, i loro tratti che richiamano a dipinti e statue tipici di quest’arte).
Ci troviamo di fronte a uno stile che si riduce fondamentalmente al tratto, linee scure non troppo sottili che lasciano molto spazio al bianco, realizzate spesso con matita o con carboncino, ma si arricchiscono occasionalmente con ombreggiature e tratteggi. Fin da queste prime storie, i canoni del fumetto vengono sovvertiti e reinterpretati: spesso la pagina è divisa in due sole vignette orizzontali in cui i baloon sono assenti, mentre pensieri e narrazione sono delegate a didascalie che stanno sopra o sotto le immagini. Si vede l’influenza dei fumetti di Mark Beyer, che soprattutto nel periodo dei primi anni 2000 hanno una grande influenza sull’artista in termini di stile e composizione della tavola. Il centro del lavoro di Feuchtenberger è il disegno, il testo è un controcanto, e spesso dal cortocircuito tra questi due elementi non perfettamente allineati nasce il senso di mistero, di inquietudine, di grande fascino e distanza, quasi come se si creasse un gioco in cui il lettore più che seguire una storia deve decifrarne i segni. Come detto nel capitolo dedicato al corpo e alle sue forme, Feuchtenberger sceglie in questa prima produzione delle inquadrature molto particolari, dal basso o dall’alto, che schiacciano o allungano le figure mentre si trovano immerse in paesaggi spogli, aridi: tutto questo, unito al tratto pesante, quasi un’incisione in una pietra, concorre a creare un’atmosfera inquietante, quasi non umana. In Der Palast e Somnambule, come già osservato, questo stile diventa ancora più essenziale mentre i soggetti si fanno sempre più onirici: compare in alcuni casi il colore, che viene usato sia come esperimento per modulare pesi e volumi delle figure, ma anche in maniera narrativa per sottolineare alcuni elementi, spesso quelli più disturbanti.
A partire già da Das Haus Feuchtenberger inizia a mescolare gli stili, passando dal disegno anatomico a quello più minimale e a tratti caricaturale o grottesco, a seconda dell’episodio narrato, oltre a modulare il tratteggio per ottenere effetti diversi; ma è con Wenn meine Hund stirbt mach ich mir eine Jacke (Quando muore il mio cane, mi faccio una giacca, Kikipost e Coconino press 2005, raccolta di illustrazioni senza testo) da Die Hure H wirft den Handtusch (secondo volume della trilogia della Puttana P., Reprodukt, 2007), e soprattutto dalla raccolta di illustrazioni wehwehweh.superträne.de (MamiVerlag, 2008, in Italia tradotto come Superlacrimella, Logos, 2011) e dal criptico, fascinoso e centrale per la sua arte Grano Blu che Anke Feuchtenberger inizia a variare molto di più il suo stile, con linee che si addolciscono, figure che rispettano le anatomie e proporzioni, ma che sanno essere inquietanti in modi ben più subdoli e striscianti (le piccole donne di Grano Blu, le figure sospese di Quando muore il mio cane). Feuchtenberger inizia anche a usare in maniera diversa la matita, che diventa più affilata e definita, venendo però sporcata da accenni di chiaroscuro e toni di grigio a definire volumetrie, ma in alcuni casi anche a creare un volontario appiattimento del disegno, quasi come in un racconto per bambini; ma è soprattutto l’uso del carboncino (secondo l’artista uno strumento “ molto sensuale” perché “ “Produce subito uno spazio, una luce.”23 che definisce questa fase, con un diretto richiamo all’arte di Käthe Kollwitz (anche se qui la durezza delle linee di Kollwitz viene addolcita e profondamente reinterpretata): l’autrice gioca sul contrasto tra bianchi e neri in maniere molto diverse, spesso lasciando che sia il nero a dominare quasi tutta la pagina, quasi come se ci trovassimo di fronte ad acqueforti, e che la luce debba lottare per emergere, per squarciare una oscurità che in alcuni casi domina completamente i disegni. Anche la composizione recupera alcuni elementi dell’esperienza teatrale di inizio carriera, grazie alle pose dei personaggi, alle definizioni volumetriche ma soprattutto la loro disposizione sulla pagina, specie nelle storie di grande formato. Quest’ultime poi rappresentano un’ulteriore elemento caratteristico dell’arte di Feuchtenberger, che vive il suo rapporto con il disegno in maniera fisica e coinvolgente. “Disegno anche in grandi formati, questo significa che non disegno con la mano, ma con tutto il braccio. E sono una parte del disegno con il mio corpo, non solo con la mente.”24
Grande formato che, dopo Grano Blu (opera breve in cui osserviamo l’alternarsi di stili molto diversi tra loro), torna in La Fessura, ennesima tappa dell’evoluzione stilistica dell’autrice, in cui confluiscono molti esperimenti precedenti, tra cui i disegni molto realistici ma altrettanto ridotti ai dettagli essenziali usati nei libri per bambini (uno su tutti, Die hollandische Schachtel/La Scatola Olandese, MamiVerlag, 2011, ma anche in un certo senso Le Memorie della menta piperita, Else Edizioni, 2016, in entrambi i casi storie con protagonisti cani o loro antropomorfizzazioni), i carboncini dei grandi formati, lo stile più classico e accademico della formazione giovanile (soprattutto nel realismo della rappresentazione animale) e nuovi spunti simbolici.
Se queste sono alcune delle linee che si possono seguire nell’evoluzione, o meglio nella moltiplicazione, dello stile di Feuchtenberger, è bene sottolineare due aspetti importanti. Il primo è il carattere profondamente materico e artigianale del lavoro dell’artista, che accomuna ogni sua fase e ogni sfumatura artistica: laddove le storie sono spesso ellittiche e sfuggenti, oniriche e sospese, il disegno è sempre presente con un peso specifico ben definito, che si imprime sulla carta, che penetra il materiale e si incarna in oggetto fisico, e ogni tratto e ogni linea sono solchi nella realtà che l’autrice non solo interpreta, ma ricrea in nuove forme. Il secondo aspetto da esplicitare è che la ricerca volta all’arricchimento artistico e esperienziale è una costante presente in ogni singola opera dell’autrice con sfumature diverse, con piccole o grandi variazioni, a volte con esperimenti estemporanei sorprendenti: nella raccolta Die Spaziergängerin, solo per fare un esempio, in particolare nelle cartoline fatte per Internazionale, l’autrice realizza disegni con colori fauvisti senza alcun tratto di matita (Cartoline da Amburgo), oppure si confronta con (e reinterpreta secondo la sua sensibilità) l’arte tradizionale giapponese, l’ukyo-e e l’iconografia yokai (Cartolina da Kyoto), come ben spiegato nel capitolo Geister im Gitter di Jaqueline Berndt in Die Königing Vontjanze25. La sperimentazione artistica porta anche alla sperimentazione di formati: non solo grandi formati come Grano Blu e La Fessura, ma anche formati quadrati, piccoli libri orizzontali, altri rettangolari e sviluppati in orizzontale per essere letti dall’alto al basso: anche in questo senso si vede la completa libertà con cui l’artista interpreta il fumetto, liberandolo completamente da qualsiasi costrizione e dimostrandone la potenza assoluta e sconfinato.
L’arte di Anke Feuchtenberger è quindi un movimento continuo, e per dirla con le sue parole “Non è una scelta teoretica, le storie nascono da una ricerca fisica del disegno, della rappresentazione nello spazio che possa sorprendermi con una bellezza nuova che ancora non conoscevo.” Ed è anche una sfida costante a se stessa: “ Il materiale per me serve sempre per evitare di ripetermi[…] Cerco di usare un materiale con il quale non sto bene, così cerco un disegno nuovo…Non essendo all’inizio una cosa che so fare bene, ci sono sempre nuovi incidenti”26. Un’arte che è un fuoco inestinguibile, alla ricerca di nuovi errori che portino a nuove, inaspettate creazioni.
Porta del tempo: crollano i modelli, la narrazione si frammenta
“I primi fumetti moderni che ho letto sono arrivati molto più tardi, dopo la caduta del Muro e quando avevo circa vent’anni. Si trattava soprattutto di fumetti come quelli di Mark Beyer e Jacques de Loustal e di altri fumetti interessanti prodotti negli anni Ottanta. A quel tempo lavoravo principalmente per il teatro: in tedesco chiamo quello che faccio “Bilderzählung und erzählende Bilder” [“narrazioni pittoriche e immagini narrative”], un’espressione che richiama la vecchia parola tedesca per “fumetti”, ovvero Bildergeschichte, e che mi sembra abbastanza antiquata e adatta.”27
Come già accennato in più parti di questa analisi a partire proprio dalla formazione dell’autrice, il lavoro di Anke Feuchtenberger si allontana in prima battuta sostanzialmente non solo dai canoni codificati del fumetto, ma anche da quelli narrativi. Il modo di raccontare dell’autrice spesso non segue una consequenzialità di eventi, procedendo invece per ellissi che frantumano il senso stesso di storia e che si avvicinano quindi più una forma poetica: per l’opera di Feuchtenberger non si può quindi parlare di graphic novel, quanto più di poesia disegnata, in cui non conta tanto il procedere di una “trama” (spesso assente o comunque molto labile), né lo sviluppo dei personaggi (che, pur evolvendosi nei racconti più lunghi, fungono sostanzialmente da totem, da impersonificazione di concetti e metafore), quanto l’evocazione di una atmosfera, di sentimenti spesso contrastanti, di domande che non trovano risposta ma che lasciano scossi, confusi. La rottura della convenzione narrativa colpisce direttamente il concetto stesso del medium fumetto, in cui la rappresentazione della dimensione temporale attraverso un mezzo statico è resa possibile dall’utilizzo di elementi cardine quali lo spazio bianco, quello che Scott McCloud chiama closure.
In uno dei passaggi del ricco e sfaccettato intervento dal titolo Alles was ich sehe wird ich – Reisenotizen zu Anke Feuchtengergers graphischen Essays contenuto in Die Königin Vontjanze28, Ole Frahm parla proprio di come Feuchtenberger elimini la closure, riducendo o ampliando gli spazi tra le vignette come una fessura che si apre o si chiude, ma in cui il prima e il dopo appartengono a momenti completamente diversi, in cui “le figure si susseguono, ma sono discontinue”: e questo non è solo vero nel contesto di un libro come Das Haus, in cui le figure si susseguono per associazione di idee metaforico-istintiva, ma anche in storie più strutturate come La Fessura, in cui la consequenzialità spazio-temporale viene superata con giochi di prospettive e di dimensioni dei personaggi nelle tavole, tanto da farle sembrare scene scollegate. Eppure, sia ne La Fessure stessa che in lavori più lunghi, l’assenza di questa temporalità non distrugge l’impianto narrativo delle storie, che sembrano emergere da una nebbia in cui scorgiamo solo immagini improvvise, ma che unite insieme creano un racconto che ha un suo senso, molto particolare, allucinato e criptico, ma anche ricco di significati evocati più che esplicitati: quasi come se in quel carboncino si nascondesse una magia rivelatrice impossibile da comprendere e da spiegare del tutto.
Porta della mente: la scrittura come disegno, il linguaggio come poesia e filastrocca
“Il disegno è un modo di raccontare storie molto diretto. Lavora con la mano invece che con le parole.”
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Come analizzato nei precedenti capitoli, le storie di Anke Feuchtenberger iniziano sempre da un’immagine e trovano il loro sviluppo, il loro compimento e il loro stesso senso nel disegno, nella sua attuazione fisica. Non stupisce quindi che anche la parola scritta, in quanto prima di tutto segno sulla carta, vada incontro alla stessa costante ricerca stilistica del disegno, diventandone parte integrante. Se questo concetto è vero per il fumetto in generale (e come sempre, nessuno mai parla abbastanza dell’importanza del lettering), in Anke Feuchtenberger diventa un tratto stilistico caratterizzante, ancor di più dello stile di disegno stesso. Sin dalle prime opere (addirittura nei primi poster) Feuchtenberger definisce il lettering che utilizzerà poi anche per firmare le sue opere, e i cui tratti più riconoscibili di questa scrittura in stampatello sono la spiralizzazione della G, la corsivizzazione della l, simile a un piccolo cappio, e soprattutto la doppia stanghetta centrale della E. Nel corso del tempo questo lettering ha subito delle leggere variazioni, non tutte egualmente leggibili soprattutto quando inserite in piccole didascalie, ma sempre affascinanti nel loro mantenere al tempo stesso una caratteristica giocosa e infantile ma anche una energia primigenia, quasi da scrittura rupestre, di una civiltà antica e dimenticata, e quindi a tutti gli effetti parte stessa del disegno, come oggetti e figure. Ma il lavoro sul segno della scrittura non si ferma a questa nota stilistica, dato che le parole vengono unite ai disegni in maniere molto diverse a seconda del contesto: molti titoli delle opere, ad esempio, subiscono un raddoppio di linea e, pur mantenendo un legame con questo lettering, diventano più massicci, quasi fossero delle mura che abbracciano e proteggono il loro contenuto; in altri casi, come per esempio in Die hollandische Schachtel/La Scatola Olandese, oppure nell’episodio “Neuigkeiten aus der alten Schule” (Novità dalla vecchia scuola) contenuto in Die Spaziergängerin o ancora nella storia online Wie der tote französische Soldat in mein Bett kam (Come il soldato francese morto arrivò nel mio letto), Feuchtenberger sperimenta con vari stili di scrittura, con caratteri di diversa dimensione e di diverso segno (dallo stampatello minuscolo al corsivo) che invadono la pagina e si affiancano ai disegni, a volte li sovrastano o si sovrappongono ad essi. Ci sono infine due stili abbastanza ricorrenti, un corsivo fitto e uno stampatello minuscolo molto chiaro, meno artisticamente ricercati e più comunicativi, verosimilmente vicini alla scrittura dell’autrice stessa, che compaiono soprattutto nei momenti in cui la componente autobiografica diventa chiara e manifesta, uscendo dalle metafore: anche in questo caso, la scelta del lettering definisce la narrazione sia nella forma e nel ritmo che nei contenuti, diventando elemento fondamentale del racconto.
Oltre alla forma del testo, che come abbiamo visto diventa opera d’arte a sé stante, anche la “forma” dei contenuti è molto interessante da analizzare. Come già detto in precedenza, sin dalle prime opere, sia da sola che insieme a Katrin de Vries, Feuchtenberger scardina i modelli classici del fumetto, delegando la maggior parte dei testi alle didascalie che si trovano sotto le vignette, ma senza mai rinunciare del tutto all’uso dei balloon, che anzi servono a creare dialoghi spesso enigmatici che portano avanti un discorso sul linguaggio e soprattutto sulla comunicazione, quella spesso rotta e incompleta tra uomo e donna, o tra la donna e la società in generale. In questi testi, infatti, la sintassi è rotta, le frasi si fanno brevi e secche, ermetiche e spesso criptiche, con un linguaggio che ricorda quello dei bambini, quasi come se fossimo di fronte a fiabe oscure e misteriose. Le didascalie invece giocano sui contrasti con i disegni, spesso moltiplicandone i significati, altre volte creando distanze e spazi che vengono colmati dal dubbio, dalle molteplici interpretazioni del lettore, spesso da un senso di inquietudine e strisciante terrore: in particolare Das Haus, in cui partendo da una parte del corpo l’autrice accosta tra loro immagini corredate da frasi che non sembrano avere consequenzialità tra loro, non solo ricreando il processo di memoria fisica, ma anche quello di una composizione poetica che cattura spunti estemporanei. Non manca poi un certo conturbante e straniante lirismo in questi testi, a volte grottesco, a volte enigmatico, ma capace di creare ulteriori immagini che si vanno a sovrapporre a quelle disegnate: una storia raccontata attraverso metafore allegoriche in cui testi e disegni risuonano tra loro in maniera inaspettata.
Porta della condivisione: l’insegnamento e un’eredità eterna
“Oltre alle tecniche di insegnamento, metto a disposizione degli studenti il mio occhio esperto. Dico quello che vedo e non giudico. Chiedo: lo volevi così o lo volevi diverso? Sii consapevole del tuo punto di vista, del luogo in cui ti trovi. Per me è anche politico dire: questo è il tuo punto di vista, nel vero senso della parola. Questo crea la tua prospettiva.”30
Oltre a essere attiva nel mondo del fumetto da più di trent’anni e di aver ispirato con la sua arte numerosi autori e autrici, un ruolo cruciale nella vita di Anke Feuchtenberger è quello di insegnante, incarico che ricopre dal 1997 presso Hochschule für Angewandte Wissenschaften, dove insegna disegno e racconto grafico. In questa veste è stata tra i primi artisti in Germania (insieme proprio ad altri innovatori del fumetto negli anni ‘90, come il compagno di collettivo Henning Wagenbreth che insegna presso la Berliner Universität der Künste oppure Hendrik Dorgathen che svolge lo stesso ruolo a Kassel) a rendere il fumetto una parte importante del percorso formativo di chi studia disegno e illustrazione: un processo che, come spiegavo in alcune delle mie precedenti cronache (qui e qui), è oggi abbastanza standardizzato, ma che negli anni ‘90 era ancora visto come qualcosa di alieno per l’accademia. In questa veste, Feuchtenberger ha influenzato varie generazioni di autori e autrici, ognuno dei quali ha trovato una propria strada, portando però con sé una piccola parte dello stile narrativo o artistico della propria insegnante: che sia il focus sul sogno e le storie di che mescolano fantastico e reale, come in alcuni racconti di Sasha Hommer o Jul Gordon, oppure l’uso di una stile ben definito da bianco e nero, come i primi lavori di Birgit Weyhe, o l’attenzione sul corpo e la metafora fantastica di alcune opere di Alice Socal, la presenza dell’idea narrativa di Feuchtenberger è sempre presente, anche se mai prevaricante, piuttosto materna e delicata nell’accompagnare la carriera dei propri allievi. Tutti questi nomi, e molti altri ancora (da Arne Jysh a Barbara Yelin), rappresentano alcuni dei più importanti fumettisti tedeschi contemporanei, e tutti nascono dalla dignità, la forza, la potenza e la fantasia che Feuchtenberger ha saputo donare al medium fumetto non solo come forma artistica, ma anche come materia da insegnare. L’importanza di questo ruolo, che ha raggiunto nel 2024 i 27 anni di attività, è stato celebrato non solo dagli omaggi presenti nel volume Die Königin Vontjanze, ma anche in Tandem, un volume pubblicato da MamiVerlag nel 2022 che contiene lavori, omaggi e ricordi di studenti ed ex-studenti di Feuchtenberger: una significativa materializzazione di un’eredità artistica e umana che travalica i limiti del tempo.
Porta di uscita: una conclusione, almeno per ora
Arrivati alla fine di questa analisi ho l’impressione, se non la certezza, che riaprendo uno qualsiasi dei fumetti qui citati troverei una nuova chiave di lettura, una nuova sfumatura, un aspetto non approfondito e dovrei aggiungere un nuovo capitolo, un nuovo approfondimento. L’arte di Anke Feuchtenberger funziona così: pone quesiti sempre nuovi, illumina la realtà di una luce diversa, confonde e sfida a lasciarsi alle spalle convinzioni e convenzioni. Dopo quasi quarant’anni di carriera, e dopo la pubblicazione di un’opera come Compagna Cuculo, il percorso di Feuchtenberger non sembra arrivare a una conclusione, ma anzi mettere le basi per una nuova ripartenza, per una nuova ricerca, per una porsi un nuovo quesito su cosa sia la vita, cosa siamo noi e il resto della materia, organica e inorganica, che ci circonda. E quindi questa fine non può essere che un nuovo inizio, una nuova rilettura di un’arte che si rinnova costantemente, quella di un’artista inesauribile. L’arte di Anke Feuchtenberger, fumettista.
Die Königin Vontjanze: Kleiner Atlas zum Werk von Anke Feuchtenberger, a cura di Andreas Stuhlmann & Ole Frahm, Textem Verlag, 2023 ↩
Nuove Forme di Bellezza – Conversazione con Anke Feuchtenberger di Giordana Piccinini (con supporto di Emilio Varrà e Alessio Trabacchini) contenuta in Prendere posizione. Il corpo sulla pagina, Hamelin, 2020 ↩
‘From the Land Where the Word Balloons Throw Shadows’: An Interview with Anke Feuchtenberger di Nevins, Mark David, European Comic Art, 2(1), 2009–. doi:10.3828/eca.2.1.5 ↩
Studien zur Geschichte des Comic a cura di Bernd Dolle-Weinkauff und Dietrich Grünewald, Christian A. Bachmann Verlag, 2022 ↩
Il volume unico con tutte le storie è pubblicato in tedesco da Reprodukt e in inglese da New York Press nel 2023; in italiano è disponibile solo il volume La Puttana P. traccia le sue orbite pubblicato da Sigaretten nel 2021 ↩
Nuove Forme di Bellezza – Conversazione con Anke Feuchtenberger ↩
‘From the Land Where the Word Balloons Throw Shadows’: An Interview with Anke Feuchtenberger ↩
Die Königin Vontjanze, pag. 205-213 ↩
Nuove Forme di Bellezza – Conversazione con Anke Feuchtenberger ↩
“Zeichnen ist immer auch Staunen”, Intervista di Kathrin Gottschalck per il quotidiano TAZ, 2024 ↩
Nuove forme di bellezza – conversazione con Anke Feuchtenberger e Alice Socal, BilBolBul 2020 ↩
Nuove Forme di Bellezza – Conversazione con Anke Feuchtenberger ↩
“Siamo tutti melma”, intervista di Sonja Eismann per Der Freitag ↩
Conversazione tra Stefano Ricci e Anke Feuchtenberger al Bilbolbul 2014 contenuto in Hamelin 40 – Dove andranno le figure?, Hamelin, 2015 ↩
Qui ci si riferisce in particolare delle Nacktschnecken, un tipo particolare di lumaca molto grande e dai colori caratteristici molto frequente nel nord della Germania ↩
Zwischen-den-Jahren-Interviews VI: Anke Feuchtenberger – “Genossin Kuckuck” ↩
in Die Königin Vontjanze, pag. 173-183 ↩
Cupido in Die Königin Vontjanze, pag.229-236 ↩
Nuove forme di bellezza – conversazione con Anke Feuchtenberger e Alice Socal ↩
Nuove forme di bellezza – conversazione con Anke Feuchtenberger e Alice Socal ↩
Si veda per questo l’interessante articolo di Elizabeth Biz Ninjam, che analizza interessanti paralleli tra Feuchtenberger e altri artisti, tra i quali proprio Pfüller ↩
Nuove Forme di Bellezza – Conversazione con Anke Feuchtenberger ↩
Nuove Forme di Bellezza – Conversazione con Anke Feuchtenberger ↩
Die Königing Vontjanze, pag. 269-272 ↩
Conversazione tra Stefano Ricci e Anke Feuchtenberger al Bilbolbul 2014, Hamelin 40 – Dove andranno le figure?, Hamelin, 20215 ↩
‘From the Land Where the Word Balloons Throw Shadows’: An Interview with Anke Feuchtenberger ↩
Die Königin Vontjanze, pagine 237 – 253 ↩
“Zeichnen ist immer auch Staunen, Intervista per il quotidiano TAZ ↩
„Zeichnen ist immer auch Staunen“, Intervista per il quotidiano TAZ ↩