Craig Thompson: “Sono un artista europeo”

Craig Thompson: “Sono un artista europeo”

Con Craig Thompson a Lucca Comics and Games 2024 abbiamo parlato della sua carriera tra USA ed Europa.
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Assente dalla precedente edizione a causa di un contrattempo, Craig Thompson ha presentato a Lucca Comics and Games 2024 la nuova edizione di Ginseng Roots, un volume cartonato rivisto dall’autore e arricchito da pagine inedite realizzate appositamente per la ristampa. Abbiamo incontrato Thompson per parlare del suo lavoro e delle sue influenze, ne è scaturita una conversazione in cui abbiamo toccato diversi argomenti.

Lo scorso anno qui a Lucca Blankets è stato protagonista dell’iniziativa Graphic Novel Theatre, con un adattamento andato in scena al Teatro del Giglio. Un imprevisto non ti ha consentito di essere presente alla scorsa edizione e quindi di assistere allo spettacolo: hai avuto modo di vedere l’adattamento teatrale e ti piacerebbe essere coinvolto in un adattamento di questa tua opera, visto che sono anni che si parla di una sua trasposizione cinematografica?
Avrei voluto essere presente in tempo reale alla rappresentazione teatrale, ma sono riuscito a recuperarlo in video ed è stato fantastico. Ho trovato molto suggestiva l’idea di proiettare le pagine del graphic novel e ricavarne delle animazioni. È stato un grande onore, mi è dispiaciuto non esserci.
Per quanto riguarda altri adattamenti dell’opera, venti anni fa c’era molto interesse attorno a Blankets ma devo dire che non mi piaceva affatto l’ambiente di Hollywood, e non mi sentivo a mio agio nel dare a uno studio l’accesso non solo alla mia storia, ma anche a quella della mia famiglia e di Reina.
Nel 2016 ho partecipato a diversi incontri a Hollywood per Space Dumplings (Polpette Spaziali in Italia n.d.r.) e alla fine ho deciso di cedere alle richieste del mio agente che mi ha implorato di fare un altro tentativo per Blankets. L’incontro è stato fantastico, le persone con cui ho parlato erano molto più in sintonia con l’opera e quindi sì, dal 2016 Blankets è stato opzionato. Al momento è passato di mano molte volte tra diversi registi e credo che ci siano state cinque sceneggiature ma per ora nulla è stato messo in produzione. Quando tornerò negli Stati Uniti a dicembre parlerò con un nuovo regista.

Sei sempre tu a possedere i diritti? Quindi puoi dire di no se qualcosa non ti convince?
Sì. Il problema era che venti anni fa i diritti cinematografici erano in mano al mio editore dell’epoca. Se avessi firmato quei contratti, non avrei ottenuto nulla. Non avrei avuto soldi e nessun potere creativo. Anche per questo motivo ho pensato: “No, non lo farò”.

Partendo da Addio, Chunky Rice fino al recente Ginseng Roots il viaggio è uno dei temi ricorrenti dei tuoi lavori, e viene da dire anche della tua vita attuale, visto che nello showcase di ieri hai detto che sono ormai diversi mesi che ti sposti senza avere una residenza fissa. Vorremmo quindi chiederti cosa significa per te viaggiare?
Sono cresciuto in un luogo molto protetto e isolato, una comunità agricola rurale nel mezzo del nulla. Abitavamo in una città molto piccola, circa 1.200 persone, nel mezzo del Wisconsin. Ogni giorno dovevo fare un’ora di autobus per andare a scuola. A parte i missionari della chiesa non avevo mai incontrato un adulto che avesse viaggiato in un altro paese, i miei genitori non lo facevano, né lo facevano gli adulti intorno a me. Quando ho frequentato il college ho ottenuto una borsa di studio per andare a Parigi. A diciotto anni ho trascorso due settimane a Parigi con altri tre studenti d’arte ed è stato sconvolgente. Ma lo è stato ancora di più al ritorno, quando sono tornato nel Wisconsin rurale: ho avuto uno shock culturale inverso, in cui ho finalmente visto il luogo da cui provenivo con occhi nuovi. Ma devo dire che ho sempre odiato il luogo in cui sono cresciuto e quando ho compiuto 21 anni mi sono trasferito sulla costa occidentale. Sono ormai 30 anni che vivo sulla West Coast, sia a Portland, in Oregon, che a Los Angeles. Credo che la mia carriera nel mondo dei fumetti sia nata in Europa. Il mio primo viaggio ad Angoulême risale al 2001 e il lavoro che ho visto in Europa mi ha sconvolto, ha influenzato il mio stile. Devo anche dire che mi sento molto fortunato, come americano, ad avere una carriera in Europa.

Ti senti più un artista europeo che statunitense?
Credo di sì, non credo di essere un artista americano. Sono un artista europeo.

In una tua intervista di qualche tempo fa ho letto che eri impegnato in un progetto assieme ad Edmond Baudoin, la collaborazione è proseguita?
Sì. Io e Edmond abbiamo collaborato per circa sei mesi. Abbiamo viaggiato insieme per un mese nel 2014 in Francia, poi un mese insieme negli Stati Uniti nel 2015. E poi abbiamo lavorato per altri quattro mesi circa a questo libro. In questi 10 anni il progetto è stato accantonato ma dopo il mio tour lo riprenderemo e verrà completato. Sarà diverso da come lo avevamo immaginato, sarà un diario di viaggi.

Quindi possiamo dire che il viaggio è qualcosa che stimola la tua creatività?
Può darsi, credo che i viaggi mi ispirino. C’è un libro di Italo Calvino che adoro: Lezioni americane: Sei proposte per il prossimo millennio. È stato uno degli ultimi libri della sua carriera.1 Sono tutte riflessioni sul processo di scrittura. E in una di esse dice di essere un Saturno che desidera essere un Mercurio. Saturno è il fabbro che lavora alla sua fucina nella sua caverna in isolamento, mentre Mercurio è il messaggero alato che va nel mondo e fa esperienze. Calvino sostiene che come scrittore hai bisogno di entrambe le energie. Se stai sempre nella tua caverna, non avrai nulla di cui scrivere. Ma se ti limiti a vivere delle avventure, non riuscirai mai a costruire te stesso e a creare davvero qualcosa. Essere un artista significa quindi essere un Saturno animato dal costante desiderio di essere Mercurio. Mi sono sempre relazionato con questa descrizione della scrittura. E attualmente sono nella mia fase Mercurio: viaggiare, esplorare, raccogliere l’ispirazione.

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In Ginseng Roots tra i tanti argomenti affronti anche questioni di natura politica e lo fai in un modo estremamente diretto: a cosa si deve questa scelta?
Ho letteralmente iniziato Ginseng Roots nel dicembre 2016, un mese dopo l’elezione di Trump negli Stati Uniti, nel bel mezzo di un trauma collettivo seguito a quelle elezioni. All’epoca vivevo a Los Angeles dove nessuno si aspettava questo risultato. La mattina dopo, tutti erano intontiti, svuotati e in stato di shock. Si avvertiva un forte legame tra le persone, come se tutti si sostenessero a vicenda. È stata un’esperienza collettiva. Non penso che Ginseng Roots sia apertamente politico, piuttosto che ci sia una specie di corrente sotterranea perché cerco di non esprimere con forza le mie opinioni. Ricordo di aver avuto un editore che mi consigliò di prendere le distanze dalle parole dei contadini e degli operai che riporto nel libro perché a suo avviso potevano essere considerate offensive, ma mi sono rifiutato.

A un certo punto c’è una frase piuttosto forte sul capitalismo.
Ogni successo nel capitalismo inizia con un furto. Ci credo pienamente. Voglio dire, penso che il capitalismo sia tossico, e ne stiamo vedendo gli effetti a livello globale, ora che il capitalismo è all’ultimo stadio. Il libro parla di globalizzazione, capitalizzazione, capitalismo e agricoltura. E sì, ci sono molti temi politici. Ma piuttosto che imporre la mia visione cerco di fare in modo che il lettore arrivi alle proprie conclusioni.  

Ginseng Roots è uscito in formato comic book, un formato che consente di ricevere dei feedback dai lettori durante la stesura del lavoro, a differenza di quanto avviene con un graphic novel.  Volevamo quindi chiederti se questo ha in qualche modo influito sul tuo modo di lavorare o sull’approccio che hai avuto nei confronti dell’opera.
No, non proprio. All’epoca della loro uscita negli Stati Uniti Habibi e Space Dumplings ricevettero molte critiche negative e stavolta volevo che questo non accadesse, il mio desiderio era avere dei feedback in una fase in cui questi potessero essere ancora costruttivi, evitando di passare anni di lavoro su un progetto che al momento dell’uscita viene stroncato. Purtroppo non è andata così, è bastato annunciare l’uscita di Ginseng Root per ricevere una violenta serie di attacchi che ha finito per scoraggiarmi e alla fine rallentarmi.

Ti riferisci agli Stati Uniti, giusto?
Sì, questo non succede in Europa, mentre la situazione negli Stati Uniti è di una violenza intollerabile. Ai miei amici dicevo che non sapevo se, una volta finito il libro, avrei avuto la forza di sopportare il peso delle critiche. Da questo punto di vista essere in Europa mi ha aiutato a farmi forza, perché qui la situazione è molto positiva. E poi è un’esperienza emotivamente molto diversa essere un artista in Europa rispetto agli Stati Uniti, dove c’è violenza in qualsiasi fazione. Per me è stato necessario allontanarmi dal violento campo di battaglia che in questo momento sono gli Stati Uniti.

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In Habibi e in Ginseng Roots c’è un enorme attenzione ai numeri e alla loro simbologia, anche nella loro accezione grafica. Lo stesso avviene per gli ideogrammi cinesi o i caratteri dell’alfabeto arabo: numeri, parole e segni si mischiano e si trasformano gli uni negli altri. Un aspetto che sembra derivare da un’infanzia cresciuta in un contesto molto religioso ma anche come dalle tue esperienze lavorative di grafico. Ti andrebbe di parlare di questa tua particolarità?
Sì, beh, credo che tu abbia fatto centro. In parte è colpa del mio background religioso. Sono cresciuto in una famiglia in cui l’unico libro che leggevamo era la Bibbia, una lettura vastissima e molto complessa anche per l’enorme uso di metafore, allegorie. Non a caso è piena di note. Ci sono interi libri, come l’Apocalisse, che credo siano interamente simbolici e quindi necessitano di interpretazione, Gesù stesso parlava in parabole e non ha mai voluto spiegare alla gente il significato dei suoi sermoni, lasciando a chi lo ascoltava il compito di trovarne il significato. Credo che col fumetto avvenga la stessa cosa e la calligrafia araba mi ha entusiasmato perché è la pura fusione di parole e immagini. Lo stesso vale per i testi cinesi, come i pittogrammi, parole che sono immagini e che raccontano ciascuna una storia. Mi piace pensare alle parole come arte visiva. E poi come artista sequenziale, nel senso in cui Scott McCloud parla di arte sequenziale, è come giustapporre due immagini e cercare l’azione o la connessione tra di esse.
È quello che il mio cervello fa di continuo: pensare per immagini e cercare sempre di collegare le cose. Credo che questa sia la mia vera forma d’arte.

La lettura di Ginseng Roots colpisce anche per la severità con cui ti rivolgi a te stesso, criticandoti e mettendoti in discussione in modo piuttosto severo e, viene da pensare, onesto. Questa onestà è rivolta principalmente al lettore oppure senti l’esigenza di essere onesto con te stesso?
Probabilmente entrambe le cose ed è per questo che sono attratto dall’autobiografia nei fumetti, o in qualsiasi altro medium, credo. Voglio storie vulnerabili. Voglio la vulnerabilità nelle storie. Nello showcase di ieri (30 ottobre 2024 n.d.r.) mi è stato chiesto del mio rapporto con i supereroi e ho detto che non mi interessano le storie sul potere, che si tratti di supereroi o di politica o di qualsiasi dinamica che riguardi il potere. Sono molto più affascinato dalla vulnerabilità che cerco sempre di mettere al centro della mia narrazione e l’onestà è lo strumento migliore che ho modo per farlo.

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Sei un lettore di fumetti in questo momento?
Non sono un forte lettore di fumetti, no. Traggo la maggior parte della mia ispirazione al di fuori dei fumetti. Ma ho sempre operato un po’ così. Una volta avevo una specie di routine: al mattino, quando mi svegliavo guardavo libri d’arte, libri di arte visiva, dipinti o altro. E poi a pranzo, durante la pausa pranzo, leggevo prosa, un romanzo. Ed è ancora lì che sento di trarre ispirazione, dalle arti visive e dalla prosa, che trasformo in fumetti nella mia mente.

Per la nuova edizione di Ginseng Roots hai fatto un importante lavoro di editing, come la modifica di alcune tavole, qualche piccolo rimontaggio e l’aggiunta di materiale. Nel libro affronti le proprietà curative del Ginseng e racconti di alcuni tuoi problemi di salute, sfogliando la nuova edizione ho avuto la sensazione che il percorso, quasi terapeutico, che avevi iniziato con Ginseng Roots, non fosse ancora terminato, da qui le modifiche.
Sì, ci sono almeno 80 pagine nuove nel libro finale, ma sono pagine narrative molto importanti. Una volta terminata la serie, che negli Stati Uniti era di 12 numeri, mi sono seduto e li ho letti tutti, e ho sentito che mancava qualcosa, un arco narrativo che collegasse il tutto. Quindi la cosa più importante che ho aggiunto è stata la storia della salute delle mani, e in effetti era proprio quello che serviva per legare il tutto, perché mi ha accompagnato per tutta la stesura del libro, ma che inizialmente non ero riuscito a trovare il modo di inserire. Purtroppo il problema alle mani non è ancora risolto, anzi, dopo questo libro sono peggiorate. Quindi non è stato risolutivo né fisicamente né psicologicamente, ma credo che abbia guarito alcune cose in termini di rapporto con i miei genitori, con mia sorella e con la città in cui sono cresciuta. Perché quei luoghi sono stati traumatizzanti per me a quell’età, e ho trascorso la maggior parte della mia vita adulta fuggendo dal posto in cui sono cresciuto. Questo libro mi ha dato il tempo di tornare indietro e riconciliarmi.

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In effetti Ginseng Roots, fin dal titolo, parla anche di riconciliazione con i luoghi di origine e il proprio passato
Sì, all’epoca di Blankets avevo tra i 23 e i 27 anni, ero cronologicamente molto vicino a quello che raccontavo nel libro e vivevo ancora in quel trauma. Adesso sono un adulto in crisi di mezza età, i miei genitori stanno invecchiando, il contesto è molto diverso da quello.

Il colore che hai scelto per Ginseng Roots è il rosso, un colore che solitamente è legato all’ansia o alla rabbia. C’è un motivo per cui ha scelto questo colore?
Il motivo principale è il suo legame con la stampa cinese, la stampa su blocchi di legno. Di solito è questo il colore che viene usato. Inoltre tutte le pubblicità e le confezioni del ginseng sono rosse, forse perché la pianta stessa erompe con queste vibranti bacche cremisi alla fine dell’estate, prima dell’autunno, quando sta andando a seme, quando sta per trasformarsi in fiori.

Intervista svolta dal vivo durante Lucca Comics and Games, ottobre 2024.

Craig Thompson

Nato nel 1975 in Michigan, debutta nel 1999 con Addio, Chunky Rice con il quale vince un Harvey Award. Nel 2003 esce Blankets, premiato con due Eisner Awards e due Ignatz Awards, opera che lo consacra come uno dei principali autori internazionali. Nel 2004 pubblica Carnet di Viaggio, il 2011 è l’anno di Habibi che gli vale un altro Eisner Award, mentre nel 2015 pubblica Polpette Spaziali. Nel 2019 esce il primo albo di Ginseng Roots, inizialmente pubblicato in formato comic book e successivamente raccolto in volume. Tutti i lavori dell’autore sono attualmente pubblicati in Italia da Rizzoli Lizard. La sua pagina instagram è www.instagram.com/craigthompsonbooks.

Qui gli articoli che Lo Spazio Bianco ha dedicato all’autore.


  1. Il libro raccoglie gli interventi che lo scrittore avrebbe dovuto tenere all’Universita di Harvard nel 1985. A causa della morte improvvisa dello scrittore le conferenze non ebbero luogo i solo nel 1988 le lezioni che Calvino aveva ultimato, cinque delle sei previste, furono raccolte in volume e pubblicate. 

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