Craig Thompson è un autore che si prende i suoi tempi. La distanza di uscita tra i suoi lavori si misura in anni e si converte in un numero importante di tavole, com’è successo con il volume di grande successo Blankets, o il successivo Habibi.
La foliazione sarà probabilmente corposa anche questa volta: il nuovo fumetto, Ginseng Roots, opera che arriva dopo cinque anni da Polpette Spaziali, è infatti già annunciata come trilogia. Con questo lavoro Thompson torna all’autobiografia, parlando ancora una volta della sua infanzia, una parte della quale aveva già avuto modo di narrare in Blankets.
E lo fa con un racconto che rivela ai lettori di quell’opera una certa parzialità dell’autore: ci sono infatti numerosi dettagli della sua biografia , non sempre trascurabili, che risultano mancanti dalla sua precedente versione. In questo nuovo racconto infatti scopriamo ad esempio l’esistenza di una sorella dell’autore, che era stata completamente estromessa dal precedente lavoro.
A cambiare rispetto a Blankets e ad altre opere dell’autore non è soltanto il focus narrativo, ma anche alcune caratteristiche della narrazione a cui Thompson ci ha abituato finora. La componente emotiva, trattata spesso con tocchi e toni poetici che ne sono spesso marchio di fabbrica, sembra farsi da parte in questo primo capitolo della nuova opera, o quantomeno ridursi a pochi contenuti momenti, a fronte di un approccio che prende un sapore quasi documentaristico.
Gli episodi biografici vengono spesso presentati in maniera quasi totalmente neutra, come una mera esposizione di fatti e di avvenimenti, con qualche elucubrazione dell’autore che li sta rivivendo attraverso il ricordo. Thompson ci racconta di quel periodo della sua infanzia trascorso a lavorare nei campi di ginseng, di cui il Wisconsin, stato dove viveva, è il maggior esportatore del mondo. Una particolare struttura del suo terreno lo rende infatti ideale per coltivare l’antica radice cinese, esportata soprattutto proprio in oriente. E se la coltivazione della radice permette ai produttori di arricchirsi notevolmente, per Craig e suo fratello il lavoro è soprattutto lo strumento con cui guadagnarsi il necessario per portare avanti la loro passione e personale evasione: i fumetti.
In parallelo agli eventi biografici, in cui l’autore quarantenne rivive e ripensa a quel periodo della sua vita, Thompson traccia anche un racconto della stessa radice di ginseng, esplorandone caratteristiche biologiche, terapeutiche ma anche mitologiche.
È proprio in questa parte del racconto, diversamente dalle aspettative, in cui il fumetto si fa meno “documentaristico”. Le radici del ginseng si umanizzano e arrivano a interagire con l’altra parte della storia, mettono in scena metafore, veri e propri fumetti nel fumetto, ed espongono e esplorano aspetti che hanno a che fare con etimologia e grafia di altre lingue: in questo caso il cinese, così come in Habibi l’autore si era appropriato dell’arabo. Gli ideogrammi diventano segni grafici che arrivano ad assumere lo stesso valore del disegno in senso più canonico, confermando ancora una volta una certa passione dell’autore per la calligrafia e la scrittura in tutte le sue forme.
Le diverse identità del racconto però non sono compartimenti stagni. E non solo, come si è detto, per gli elementi più di fiction che vertono sulla radice e che a volte, soprattutto graficamente, strabordano nel racconto più di “graphic journalism”. Ognuno degli elementi ha un suo ruolo e una sua ricaduta, tracciando una connessione, un vero e proprio, letteralmente, filo rosso che unisce tutto quanto, così come uno degli strumenti del cercatore di ginseng di cui Thompson stesso racconta.
Il tratto dell’autore mantiene invece la sua natura. La differenza maggiore rispetto ai precedenti lavori sono proprio i toni di rosso (colore della radice del ginseng e che richiama ancora l’idea di quel famoso filo rosso) che unisce al suo canonico bianco e nero e, ovviamente, una certa evoluzione del tratto. Per il resto come sempre Thompson combina diversi approcci tra loro, adattando il proprio stile alle necessità di ogni passaggio e costruendo le tavole come composizioni dove struttura e gabbia si deformano, si fondono e si trasformano mescolando illustrazione, infografica e metafora vivida e costellandole di dettagli e ulteriori rimandi.
Per Thompson il fumetto è fusione: di stile, di segno, di costruzione di meccanismi espositivi, in una lezione che mescola, alterna e piega le esigenze della singola tavola a quello che contiene, che sia narrazione, informazione o fiaba, che, ancora una volta, spesso si intrecciano tra loro anche in una singola pagina.
Questo primo capitolo del nuovo lavoro di Craig Thompson è un fumetto che finisce per risultare più interessante che coinvolgente: entriamo di nuovo in contatto con alcuni dei lati più privati e intimi dell’autore, come anche le conseguenze e il rapporto con le sue pubblicazioni, ma con molta più freddezza dei lavori precedenti, in virtù di un’analisi molto più intellettuale che spinge meno sull’emotività.
Abbiamo parlato di:
Ginseng Roots volume 1: Tornare a casa.
Craig Thompson
Traduzione di Vincenzo Filosa
Rizzoli Lizard
144 pagine, brossurato, colori – 17,00 €
ISBN: 9788817146616