Tra le giovani leve del fumetto italiano contemporaneo, Kalina Muhova è una delle autrici più prolifiche ed eclettiche: dopo aver illustrato romanzi classici (da Faulkner a Tolstoj) e aver fatto parte di un collettivo autoprodotto (quel gruppo di autori e autrici di grande talento conosciuto come Brace), ha iniziato a realizzare libri per ragazzi caratterizzati da uno stile delicato e da una linea chiara elegante e sinuosa, sia in bianco e nero (Sofia dell’oceano, su testi di Marco Nucci, Tunuè, 2018) che con colori brillanti (Diana sottosopra, Canicola, 2019). Nel 2021 ha iniziato a raccontare storie diverse, con i libricini Grazie, Prego e Scusa (Rulez) è passata a usare uno stile più immediato e sintetico, quasi da schizzo preparatorio, capace di trasmettere più velocemente i sentimenti legati a queste tre parole. Sempre per Rulez nel 2023 ha pubblicato Odio l’estate, un racconto nato come diario personale per raccogliere pensieri e sensazioni di una estate molto particolare, in cui l’autrice ha scoperto la malattia della madre. Seguendo una struttura della tavola molto semplice e chiara, con pochissime variazioni, in questo lavoro Kalina Muhova si racconta nelle sue fragilità, nei suoi errori e nei suoi difetti, senza però far mancare momenti di divertimento e di leggerezza, che creano un legame empatico con il lettore. Il segno diventa ancora più diretto e istintivo, con figurine a tratti sgraziate, molto espressive, che animano la tavola ed esprimono senza filtri le proprie emozioni, mettendo a nudo l’esperienza dell’autrice.
Abbiamo deciso di parlare con lei proprio per capire del processo di creazione e l’evoluzione stilistica dietro quest’opera.
Ciao Kalina, e grazie per questa intervista. Prima di parlare delle tue opere più recenti, vorrei partire dall’inizio, ovvero da quando hai iniziato a pensare di voler fare illustrazione e fumetto, e cosa ti ha portata a Bologna.
Devo ammettere che la mia scelta di studiare illustrazione e fumetto a Bologna è stata piuttosto casuale. Dopo essermi diplomata presso il liceo artistico di Sofia, avevo una gran voglia di viaggiare e non volevo continuare i miei studi in Bulgaria, per tanti motivi, ma uno dei principali era che l’Accademia di belle arti di Sofia aveva delle idee piuttosto arretrate sull’arte. L’unica cosa che sapevo è che volevo continuare a “creare” e che dovevo trovare un nuovo posto dove farlo. Come prima tappa ho deciso di andare ad abitare da mia zia a Milano, dove potevo lavorare per lei e imparare l’italiano. Dopo un po’ di mesi mi sentivo pronta ad affrontare degli studi in italiano e ho iniziato a guardarmi attorno per cercare un’accademia dove iscrivermi. Ho partecipato a diversi open day e quella che mi ha colpito di più è stata l’Accademia di Belle Arti a Bologna, dove ho fatto domanda per il corso più “esotico” della lista, cioè Fumetto e Illustrazione. Nonostante la mia ignoranza sull’argomento (visto che in Bulgaria di fumetti ce ne sono davvero pochi e prima di venire in Italia conoscevo solo Witch), mi hanno preso per fare il corso. Ancora mi chiedo perché l’abbiano fatto, ma gliene sono molto grata.
Proprio a Bologna sei stata tra i membri fondatori del collettivo Brace, un’esperienza di autoproduzione che ha portato delle opere davvero molto interessanti. Che cosa ti ha insegnato quell’esperienza e che ricordi hai di quel periodo?
Credo che per me sia stato un altro grande colpo di fortuna incontrare e, ancora di più, vivere con i ragazzi (e ragazza!) di Brace. Era la prima volta che vedevo persone così appassionate di qualcosa e quel sentimento era così forte da essere contagioso. Dovete sapere che facevamo tutti lo stesso corso, andavamo tutti agli stessi incontri e mostre di fumetti e tutti parlavamo solo ed esclusivamente di questo argomento. Dopo due anni passati in questa full immersion, era quasi inevitabile che ci provassimo a metterci in gioco anche noi. Per me è stata un’esperienza fondamentale e non so se adesso farei quello che sto facendo senza l’influenza che loro hanno avuto su di me in quegli anni.
Dopo l’autoproduzione sei entrata nel mondo dell’editoria classica con alcuni volumi per bambini e ragazzi (Sofia dell’oceano con Marco Nucci per Tunué nel 2018 e Diana sottosopra per Canicola nel 2019). Trovo che il fumetto per ragazzi ponga delle sfide interessanti e che richieda una grande consapevolezza nell’uso del medium. Come ricordi quelle esperienze, prima da disegnatrice e poi da autrice unica?
Durante la lavorazione di Sofia dell’oceano mi ricordo che ero molto felice perché avevo un sacco voglia di disegnare e una lunga storia era perfetta per quello scopo. Avevo totale fiducia nella scrittura di Marco e questo mi ha permesso di lavorare spensierata per tutta la durata del progetto. In fondo dovevo solo divertirmi a fare immagini, e in quel momento non c’era nient’altro che volessi di più.
Dopo Sofia dell’oceano è arrivato Il balcone e da lì ho iniziato a lavorare come illustratrice freelance. A quell’epoca mi ricordo che avevo voglia di una nuova sfida – scrivere. Fino ad allora mi ero considerata solo una disegnatrice, ma col tempo mi sono resa conto che non mi bastava più creare immagini – avevo bisogno di dire qualcosa. Un bel giorno mi è arrivata la proposta di Canicola di fare un libro per loro e ne sono stata subito entusiasta.
Della mia prima esperienza come autrice unica mi ricordo la sensazione di “responsabilità” – pensavo che se avessi fatto qualche cavolata sulla storia, la colpa a quel punto sarebbe stata solo mia e non dello scrittore. Questo mi preoccupava un bel po’, volevo che la storia funzionasse liscia senza problemi e che fosse tutto perfetto. Per fortuna c’era la redazione di Canicola che era molto attenta e che mi ha guidato attraverso il loro prezioso (e a volte duro) editing.
In quelle due storie, oltre a sperimentare nella narrazione, hai anche usato due approcci diversi, essendo uno in bianco e nero e l’altro a colori. Come cambia il tuo modo di lavorare in questi due casi?
Non molto dal mio punto di vista. Semplicemente mi annoio a fare sempre la stessa cosa e così ogni tanto cambio tecnica. Alla fine, per me disegnare è un lavoro, ma è anche gioco, e se voglio tenere viva questa sensazione di leggerezza devo fare anche esperimenti, sbagli, scoperte. Purtroppo questo non è sempre possibile quando hai dei clienti che si aspettano da te sempre la stessa cosa, ma va bene così. Uso il mio tempo libero per giocare con le nuove tecniche. Credo che l’unica cosa che è rimasta sempre vicina nella mia pratica creativa sia la matita – mi sembra di ragionare meglio quando ce l’ho in mano e, di conseguenza, lavoro meglio.
Nel 2021 hai iniziato a pubblicare con Rulez, prima con la trilogia di mini-volumetti Scusa (inizialmente autoproduzione), Grazie e Prego, e poi con Odio l’estate. Prima di tutto in queste opere si nota un cambio di stile: pur rimanendo riconoscibile, il tratto diventa più sintetico e dà l’impressione di essere più di getto, di pancia. Quale è stata la scelta dietro questo cambio di stile?
Questo segno sintetico non è altro che il mio modo di fare gli schizzi con la matita – un disegno senza pretese che ha come scopo solo il comunicare delle idee. Gli schizzi sono costanti nella pratica di un disegnatore, ma sono anche i più nascosti al pubblico. Quando ancora mi consideravo una “disegnatrice e basta” non li avrei mai fatti vedere perché non erano abbastanza “belli”.
Dopo un po’ di esperienza come freelance mi sono accorta che stavo cadendo in questa trappola del disegno tecnicamente “bello”, cioè di dover sempre dimostrare di saper disegnare bene. Questo era l’unico modo che conoscevo di essere artista – così mi avevano insegnato per anni in Bulgaria, e quindi fare di meno nella mia testa era vergogna.
Allo stesso tempo mi piacevano solo disegni “naïf”, cioè più spontanei, più sinceri. Non mi riconoscevo più in quello che facevo, però la pressione di essere perfetta non mi lasciava stare. Odiavo quello che facevo, perché mi costringevo di a fare disegni “belli” invece che disegni “che mi piacciono”.
Col passare del tempo ho capito che per me il disegno “bello” non è tutto, anzi spesso non mi dice niente e non lo voglio nella mia vita. Ho fatto diverse battaglie dentro di me per allontanarmi da questa voglia di dimostrare (in primis, a me stessa) che so fare le cose e adesso mi sembra che vada meglio. Le cose che faccio e le cose che mi piacciono sono più vicine, e mi riconosco di più nei miei disegni. Probabilmente ci sono ancora cose su cui devo lavorare, ma penso di essere sulla buona strada.
E invece quale è l’idea dietro la scelta di un formato così poco usuale? Sfogliandoli velocemente, ci sono alcuni momenti in cui l’effetto è simile a quello dei libri animati o dei giochi che facevamo da bambini, in cui si scorrevano velocemente le pagine di un quaderno per far muovere una figura ripetuta nell’angolo del foglio.
Ho deciso di farli così perché amo la sensazione di finire un libro e con i libri piccoli questo viene facile. Poi, bisogna anche dire che Scusa e Grazie erano pensati come delle cartoline da compleanno per il mio compagno, quindi mi sembrava giusto usare quel formato.Odio l’estate è un fumetto molto particolare, che nasce come tipico fumetto autobiografico e poi racconta una storia più drammatica, quella della scoperta della malattia di tua madre. È un’opera nata da una necessità personale, prima che narrativa o produttiva?
È decisamente nata dalla necessità mia personale di capire cosa stesse succedendo – era un periodo davvero difficile che non sapevo come affrontare e nessuno dei miei meccanismi di sopravvivenza mi stava aiutando minimamente. Fare questo fumetto, ovvero mettere su carta quello che pensavo, quello che è successo e quello che stava succedendo era per me un modo di mettere in ordine la mia vita e di conseguenza, capire la situazione in cui mi trovavo.
Hai lavorato a questo fumetto mentre la vicenda andava dipanandosi in una maniera continuativa oppure ci sono stati avanzamenti e interruzioni, che poi hai raccolto e trasformato in fase di editing?
Il fumetto che è leggibile in Odio l’estate è un diario quotidiano dell’estate in cui è successo tutto quello che c’è nel libro. Rileggendo adesso so che ci sono degli “errori” (per esempio, nella diagnosi completa di mia madre), ma all’epoca sapevamo quello che sapevamo e non mi sembrava giusto cambiare a posteriori il testo. Questo è per dire che il fumetto non è stato toccato dal momento che l’ho creato, a parte ovviamente gli errori di italiano (e di quelli ce n’erano…).
Ci sono molti momenti divertenti e altrettanti molto dolorosi: come hai dosato questi due elementi?
Come ho già detto, Odio l’estate è un diario e come ogni diario che si rispetti, è un flusso di coscienza. Non c’è stata una programmazione della scrittura, è uscito da solo come può uscire un monologo quando si cerca di spiegare una cosa complicata. Il dosaggio tra dolore e divertimento è casuale e credo che ci sia solo per colpa del mio carattere. Scherzare sulle situazioni difficili mi aiuta a vederle da fuori e vivermele meglio.
Ci sono un paio di idee grafiche che mi sono molto piaciute, in particolare quando la protagonista (ovvero tu) si raggomitola nei momenti più difficili, diventa un cerchio nero e poi da lì risale. Come hai ideato questa specifica immagine, davvero molto efficace?
Da quando so scrivere tengo un diario. All’inizio quando avevo otto anni lo facevo per la paura di dimenticare le cose che mi succedevano, ma poi crescendo è diventato più una cosa di auto-aiuto. Il buco nero è una immagine che uso spesso per spiegare a me stessa cosa provo in un momento difficile. La trovo utile perché la depressione per come la vivo io non è una cosa sola, ma è più un mucchio di tante cose brutte che, messe insieme, non si possono distinguere una dall’altra e diventano un blob fangoso e appiccicoso che sento nel petto, come uno “sto male ma non so perché”. Inventarmi delle metafore visive mi aiuta a capire sensazioni che non hanno un nome e forma precisa e così mi viene più facile superare la crisi che le ha provocate. Creare delle immagini partendo dai termini che uso da tantissimo tempo nei miei diari privati è stato del tutto naturale perché facevano già parte del mio vocabolario interno. Anche in questo caso ho visto una scansione temporale costruita in modo molto simile alla progressione che si può vedere in animazione: questo tipo di linguaggio ha una certa influenza su di te?
Non saprei! Da piccola guardavo tanti film di animazione, un po’ come tutti i bambini, ma non so se questo possa aver lasciato un segno profondo sulla me artista. Non lo escludo, ma allo stesso tempo non posso dirti più di questo.
Sia questo stile più minimalista che quello usato nel disegno per ragazzi hanno un’atmosfera che mi riporta alla mente alcuni fumetti nordeuropei. Quali sono state e quali sono le influenze sul tuo percorso? Magari ci sono stati anche fumetti bulgari che hai letto da piccola e che sono confluiti nel tuo stile?
Fumetti bulgari non ce ne sono stati nella mia vita – purtroppo ne sono usciti davvero pochi e quelli che ci sono li trovo deludenti. Tutto quello che so del fumetto è quello che ho scoperto nei dieci anni che ho passato in Italia. La prima cosa che mi ha colpito sono stati gli artisti che ho scoperto durante i miei primi anni all’Accademia di Bologna. I lavori di Shaun Tan e Isabelle Arsenault sono stati importantissimi per me perché è grazie a loro che ho capito che con il fumetto puoi fare un po’ di tutto a livello grafico. Un po’ di anni dopo ho scoperto I hate you – you just don’t know it yet di Nadine Redlich, e quello è stato un altro momento eureka per il mio lavoro. Quel libro mi ha fatto capire che si può fare un po’ di tutto anche a livello di contenuto e forma.
In questo momento posso dire di essere una super fan di Geneviève Castrée, Camille Jourdy e Tara Booth.
Vista la tua continua evoluzione e ricerca, vorrei chiederti quali nuove sfide e nuovi lavori ci sono all’orizzonte.
Ci sono diversi progetti su cui ho lavorato ultimamente e, se tutto va bene, presto ci sarà modo di mostrarli al mondo. Adesso invece mi piacerebbe buttarmi di nuovo su libri per l’infanzia, perché ho bisogno di un po’ di leggerezza nella mia vita e perché poi mi farebbe bene fare delle cose diverse. Spero di riuscirci! Nel frattempo cerco di sopravvivere disegnando. Vedremo come va.
Intervista realizzata via mail nel febbraio 2024
Kalina Muhova
Illustratrice e fumettista bulgara, vive in Italia dal 2013.
Nel corso della sua giovane ma già ricca carriera ha pubblicato il suo lavoro con diverse case editrici in Italia e all’estero.
Ha illustrato scrittori come Faulkner e Tolstòj e ha trovato una propria efficace via al fumetto per ragazzi con Diana sottosopra (Canicola, 2019), il suo primo libro da autrice unica che le ha valso una menzione speciale nella categoria BRAW Comics – Early Readers della Bologna Children’s Book Fair.
Nel 2019 ha realizzato le illustrazioni ricamate per Ivan lo scemo (List, 2020), racconto per ragazzi scritto da Lev Tolstòj nel 1885.
Ha vinto il premio Bartoli all’ARF! Festival come migliore promessa del fumetto italiano.
Tra le altre sue pubblicazioni, oltre a Sofia dell’oceano con Marco Nucci (Tunué, 2018) e Il balcone (Tunué, 2020), i tre libriccini intimisti Scusa, Grazie, Prego (Rulez, 2021) e la raccolta di storie brevi Fuori casa (Maledizioni, 2023).
Ha da poco presentato al pubblico il suo graphic novel autobiografico Odio l’estate (Rulez, 2023).