La fuga di Brad Barron

La fuga di Brad Barron

Dopo otto mesi di pubblicazione, Lo Spazio Bianco prova ad analizzare con un approfondito articolo i meccanismi narrativi alla base della nuova serie, o meglio miniserie, di Tito Faraci e della Sergio Bonelli Editore. Cosa funziona, cosa non funziona, e perche' si attende con curiosita' l'arrivo della parola "fine".

N.B. Al momento della pubblicazione dell’articolo è già uscito in edicola il nono numero di Brad Barron, ma la stesura è avvenuta dopo la pubblicazione dell’ottavo numero.

 

PREMESSA

1. La lotta di Brad

Brad BarronBrad Barron è in lotta.
Da quando è nato (editorialmente nel maggio del 2005), Brad Barron ha dovuto opporsi ai “soprusi e alle maldicenze” del popolo delle webzine, dei forum e di molti appassionati di fumetti che fanno di internet il loro mezzo di comunicazione privilegiato. Una lotta impari, dalla quale il nuovo eroe della Sergio Bonelli Editore, concepito e sceneggiato da Tito Faraci, sembra essere uscito con le ossa piuttosto malconce.
Al contrario, e forse non si tratta d’una sorpresa, le vendite di Brad Barron sembrano andare piuttosto bene, senz’altro al di sopra delle aspettative dell’autore. Un piazzamento che merita attenzione, così come lo merita il progetto complessivo di Brad Barron.

Il mondo di internet che parla di fumetto, di cui Lo Spazio Bianco fa parte e del quale non può non occuparsi, è un mondo piccolo, nel quale tutti conoscono tutti; un mondo attentissimo alle novità, in continuo fermento, ricchissimo di passione ma anche di idiosincrasie, manie e fissazioni. Il popolo di internet – fingiamo ne esista uno unico e compatto per semplificazione dialettica – è generoso di commenti, sberleffi, amori e disperazioni. L’osservazione della rete è talmente soggetta all’effetto Eisemberg da essere fortemente distorta e per molti versi inattendibile. Rappresenta, insomma, un punto di vista parziale e vivissimo che parla un proprio linguaggio e vive di vita propria rispetto a quello del cosiddetto lettore comune di fumetti. Quest’ultimo, al contrario, raramente e in modo meno incisivo fa sentire la propria voce, pur rappresentando la fetta più importante degli acquirenti del cosiddetto fumetto popolare. Quello che parla, in questo caso, sono le vendite.
é possibile conciliare due punti di vista apparentemente così distanti?
Ma soprattutto, un tale percorso critico potrebbe essere utile per analizzare un prodotto editoriale solo in parte innovativo e nuovo (concetti che nel caso di Brad Barron non sono sinonimi) come quello fortemente voluto da Faraci e felicemente accolto da Bonelli?
Chi scrive è convinto di sì. Tanto è vero che l’articolo che segue vuole rappresentare un punto di vista terzo rispetto ai due sinteticamente esposti; un punto di vista che si propone di chiarire, attraverso alcune analisi e riflessioni meno emotive, meno immediate, punti di forza e di debolezza della serie in oggetto. Un proposito ambizioso, per qualcuno forse persino sovradimensionato rispetto a quello che rappresenterebbe Brad Barron (solo l’ennesimo eroe bonelliano), un esercizio critico che si è rilevato piuttosto appassionante per chi scrive.

2. Dialogo a più voci

Approfittando della sua grande disponibilità, ho avuto occasione di discutere del suo eroe direttamente con Tito Faraci, in due occasioni con lunghe chiacchierate (al telefono e vis à vis), in altre con brevi scambi epistolari; un dialogo che si è protratto per tutti gli otto mesi scorsi, dalla pubblicazione del numero uno all’ultimo uscito (l’ottavo appunto), in edicola nel mese di dicembre 2005.
Conosco buona parte delle scelte, delle ragioni, dei ragionamenti, delle aspettative e delle speranze dietro a questo progetto, direttamente dalla voce del suo creatore. L’ennesimo, importante punto di vista assolutamente parziale che arricchisce un dialogo a più voci vivo e in continua evoluzione: le ansie e le speranze qualche giorno dopo l’uscita del primo numero, la gioia per i primi dati di vendita, le rabbie per i primi commenti in internet (alcuni, impietosi, decisamente autorevoli), la soddisfazione e la sensazione di aver vinto una scommessa dopo l’assestamento delle vendite.

 

LUCIDITA’

1. La fantascienza

Negli Stati Uniti, gli anni ’50 sono gli anni della ripresa economica, della nascita della musica e della cultura pop e di massa, della letteratura pulp, della diffusione della televisione e degli elettrodomestici, dell’inizio della Guerra Fredda e delle angosce atomiche (Hiroshima e Nagasaki diventano archetipi culturali di forte valenza emotiva), del modernismo, delle esplorazioni spaziali.
La Fantascienza si conferma genere letterario a tutto tondo, vivo e capace di appassionare migliaia e migliaia di lettori. Le nuove scoperte tecnologiche mutano la percezione e i punti di riferimento dell’Uomo con una velocità senza precedenti. Nuove domande danno vita a nuovi conflitti etici e culturali che avrebbero ramificato solo qualche decennio più avanti, aprendo la strada verso un nuovo pessimismo storico ed esistenziale che, in quegli anni, era difficilmente prevedibile. Erano anni di apparente armonia, che nascondeva conflitti che sarebbero esplosi fortissimi a partire dalla seconda metà del decennio successivo, riaprendo le ferite ancora fresche del secondo conflitto mondiale.
Già Mister No, in Bonelli, ha esplorato quegli anni, con taglio realistico, poco universalista, filtrato attraverso le passioni e i ricordi del suo creatore, Guido Nolitta, alias Sergio Bonelli, all’insegna di un tipo di avventura spiccatamente anarcoide, di opposizione, pur attraverso una narrazione di forma tradizionale, già consolidata e felicemente italiana.
Tito Faraci decide di tornarvi con Brad Barron circa trent’anni dopo (Mister No nasce negli anni ’70) con un approccio decisamente diverso, sfruttando un pre-testo definito da pagine e pagine di cultura pop e di fantascienza (letteraria e cinematografica), creando un eroe classico, tutto d’un pezzo, figlio di certa letteratura pulp, ma “sporcato” da una sensibilità che non può che essere post-moderna, all’insegna della contaminazione, della decostruzione, della re-interpretazione.

2. Alcuni principi

Tito Faraci mi ha spiegato più volte su quali principi narrativi è costruita la serie, offrendo un punto di partenza chiaro e lucido. Per dovere di sintesi, cerchero’ di riassumerli in cinque punti che reputo i più importanti:
Il ritorno ad alcune tematiche della fantascienza classica, quali l’invasione extra-terrestre (i nemici si chiamano Morb e provengono da una galassia lontana e sconosciuta. Sono esseri antropomorfi deformi, spaventosi e intrinsecamente guerrafondai); la catastrofe; la fuga; l’inevitabile opposizione tra tecnologia e tradizione.
La ribellione dell’eroe “invincibile”, l’eroe solitario che combatte tutto e tutti, che si confronta e vince ogni tipo di sfida, che perde ogni fonte di speranza senza perdere la speranza stessa.
La ricomposizione dei generi letterari all’interno di uno scenario aperto, in continua evoluzione, che costringe l’eroe a confrontarsi con la guerra, con il western, con i sentimenti del melodramma ottocentesco, col la fuga e la ricerca, con la durezza dei vecchi hard boiled.
L’utilizzo di uno stile narrativo moderno che racconta di un eroe, di tematiche e di scenari collaudati, per certi versi addirittura antiquati, in ogni caso decisamente consolidati nell’esperienza della casa editrice.
La parola fine. Per la prima volta, alla Bonelli, nasce un eroe che vivrà per un ciclo preciso e predefinito di episodi, 18 in tutto, al termine del quale la vicenda si concluderà senza possibilità di appello. Una scelta che di per sé ne implica altre che sono inedite per questo editore, prima fra tutte la necessità di una progressiva evoluzione, di un cambiamento all’interno di una ferrea continuità narrativa che dà coerenza a tutto il percorso e che pone le basi per una logica conclusione. Una scelta che ha ripercussioni importanti non solo sul piano narrativo, ma anche sul piano produttivo, definendo un parco autori limitato a un numero preciso di episodi, strutturando lo sforzo realizzativo in un arco di tempo definito e concluso, sancendo a priori un impegno economico e un patto con il lettore che, salvo ripensamenti non facili dovuti a vendite catastrofiche, si configura come una vera e propria scommessa.
é a partire da questi elementi costitutivi che deve essere analizzata la serie di Tito Faraci, questi principi e non altri.

3. Le aspettative

Uno dei problemi che ha dovuto affrontare Brad Barron è legato a doppio filo con lo stato attuale dell’industria del fumetto e con le aspettative degli appassionati.
Il mercato del fumetto sta vivendo un periodo di transizione che sembra infinito (se ne parla già da almeno quindici anni!) ma che sostanzialmente è caratterizzato da una progressiva erosione delle vendite e dall’innalzamento continuo dell’età media dei lettori (che implica l’assenza di un salutare ricambio generazionale), in particolare per quanto riguarda il cosiddetto fumetto popolare o da edicola, di cui i prodotti della Sergio Bonelli Editore rappresentano, insieme a quelli della Walt Disney Italia, il cuore e, per certi versi, l’essenza.
In generale, c’é la convinzione che la causa di questa crisi sia dovuta anche (soprattutto?) a una presunta incapacità dell’editore milanese di innovare, di creare nuovi prodotti di intrattenimento in grado di avvicinare nuovi lettori, ancor meglio se giovani adolescenti.
Erano in molti ad aspettarsi che il primo lavoro che avrebbe aperto questa nuova tendenza verso la “rivoluzione” sarebbe stato proprio Brad Barron, per una serie di ragioni legate anche alle caratteristiche dell’autore Faraci, riconosciuto oggi dalla critica come uno dei più abili sceneggiatori italiani e dotato di quella freschezza e quella forza narrativa che sarebbero necessarie per avviare un’impresa di questo tipo (basta rileggersi Topolino Noir edito da Einaudi per una conferma).
Tuttavia, né Faraci né tantomeno Sergio Bonelli hanno mai cercato di alimentare tali aspettative, anzi! In diverse interviste antecedenti all’uscita del primo numero, Faraci ha voluto precisare con forza e in modo chiaro che, dal punto di vista editoriale, Brad Barron si sarebbe posto come principale obiettivo quello di raggiungere i lettori dei classici Tex e Zagor, il bacino dei fedelissimi e degli storici lettori che costituiscono il cuore pulsante e antico della Bonelli. Altro che rivoluzione!
Le novità, semmai, avrebbero coinvolto alcuni aspetti più legati alla tecnica narrativa, a quell’area grigia e poco tangibile che riguarda la sintassi del fumetto.
La prima richiesta di Faraci, che credo legittima, è quella di non interpretare Brad Barron a partire da quello che si vorrebbe fosse stata la serie (l’inizio della fantomatica e auspicata rivoluzione di cui sopra), ma di valutarla a partire da ciò che è e da quelli che sono i principi e gli obiettivi della serie stessa (i 5 principi elencati nel paragrafo precedente).
é tuttavia importante sottolineare che reputo fondamentale che la critica si interroghi sulla cosiddetta crisi del fumetto, sul ruolo di un editore importante come Bonelli e sulle scelte editoriali dei prossimi anni. Sono temi che meritano senz’altro approfondimenti e argomentazioni che al momento sono piuttosto rari e abbozzati, ma che non vogliono essere oggetto di questa analisi e che solo parzialmente riguardano la serie di Brad Barron, se confrontata e analizzata all’interno di una costellazione ben più ampia di pubblicazioni (per alcuni importanti spunti vale la pena leggere l’intervista che abbiamo realizzato con Alfredo Castelli).

 

EROE SENZA MACCHIA O EROE SMACCHIATO?

1. La vicenda

Brad Barron prende l’avvio con la catastrofe dell’invasione aliena, ricordata dal protagonista in un monologo interiore, condotto attraverso le didascalie, che si pone come elemento tecnico permanente nella serie, tornando in ogni numero. Con esso, Faraci vuole da subito evidenziare due aspetti: la soggettività del punto di vista del protagonista e la matrice hard boiled come punto di riferimento “estetico” che caratterizza la narrazione.
L’eroe pulp di Faraci sarà isolato dalla sua famiglia e da una New York devastata, scapperà dalla prigionia dei Morb, gli extra-terrestri invasori, trasformandosi nel classico “one man standing”, in lotta contro tutto e tutti guidato da una fiducia e una chiarezza che, sottolinea Faraci, è molto vicina alla follia.
Dal secondo numero inizia un ciclo “on the road” che continua tuttora (ricordo che l’ultimo numero uscito al momento della stesura dell’articolo è l’8) con Brad alla ricerca della sua famiglia (moglie e figlia) e in fuga dalla spietata quanto malamente inefficace caccia dei Morb. Il confronto con l’umanità varia che Brad incontra nei suoi viaggi ci svela sin dal secondo numero un tema portante della serie: l’eroe non si sottometterà mai al nemico, e non accetterà mai di sopravvivere nel nuovo mondo post-invasione nascondendosi e adattandosi, ma lotterà finché avrà forza per sconfiggere i Morb e la loro tecnologia. Un’impresa che sembra folle e di cui, finora, non sembra possibile scorgere alcuna strategia né alcun risultato. Narrativamente, quel che finora ha mosso Brad Barron è stata la sua ricerca della famiglia, in un percorso che, dopo otto numeri, inizia a mostrare la corda.

2. Esplorazione di generi

Dal punto di vista della trama, la serie si è sviluppata finora con poche sorprese, ancorata com’é all’humus della fantascienza classica e a molta letteratura popolare: i temi dell’invasione aliena catastrofica (numero 1), della fuga (numero 2), dell’opposizione a un’umanità isolata e ignorante in stile spiccatamente western (numero 3), dei ricordi di guerra (numero 4), e così via sono una ripresa di cliché narrativi stra-collaudati anche dal fumetto popolare. La novità, semmai, sta nella facilità con la quale Faraci intende muoversi tra i generi da un numero all’altro, mantenendo una coerenza stilistica e una fluidità senz’altro efficace.
Faraci è un autore anomalo, che ama profondamente i generi e il fumetto popolare di tutto il mondo (in particolare quello italiano e statunitense), e che riflette con attenzione sugli strumenti tecnici a sua disposizione. Le sue sceneggiature sono dettagliatissime e non lasciano quasi mai nulla al caso. Ama esplorare le possibilità che il medium fumetto può offrire, con un amore esplicito per la fiction e l’intrattenimento intesi in senso lato. Da questo punto di vista Brad Barron rappresenta il mezzo perfetto per ampliare questa sua ricerca personale, e per accompagnare i lettori sulla strada (on the road) con lui e il protagonista.
In un impianto che vorrebbe essere hard boiled, Faraci esercita il suo stile con la manifesta intenzione di de-costruire e ri-costruire modelli espliciti (e da lui esplicitati nelle introduzioni di ogni numero). L’obiettivo, come accennato, è sia editoriale che creativo. Dal punto di vista editoriale, l’intenzione manifesta è quella di avvicinare il lettore Bonelli classico, offrendo un terreno narrativo comprensibile e immediatamente riconoscibile, nel quale il lettore possa ritrovare quello che lo ha appassionato da anni. Dal punto di vista creativo, l’esercizio di stile di Faraci diventa un velato ma continuo lavoro di attualizzazione del linguaggio e della sintassi del fumetto bonelliano, senza imporre pero’ drastiche soluzioni di continuità. Un lavoro che riprende archetipi narrativi che prima ancora che dalla letteratura popolare moderna trae spunto dalla letteratura popolare tout court, epica e orale: il tema del diverso, della paura dell’ignoto, dell’amore come consolazione, di un percorso che mette sempre più in discussione le convinzioni dell’Eroe, della corsa dell’Uomo verso la modernità e la tecnologia fantastica; si tratta di archetipi presenti da sempre nelle invenzioni narrative dell’uomo, che Faraci decide di rielaborare col filtro dei generi della letteratura avventurosa degli anni ’50.
Il primo numero della serie, Non Umani, è l’esempio più evidente di questa ricerca: la fabula molto familiare è raccontata attraverso una composizione dell’intreccio affascinante, complesso, innovativo, grazie anche ai disegni spettacolari di Bruno Brindisi. Il monologo interiore condotto attraverso le didascalie (mai più così in evidenza come nel primo numero) decostruiscono la narrazione in un percorso che sembra guidato dalle emozioni del protagonista, mettendo in risalto la soggettività del punto di vista. è l’evoluzione della vicenda, giocata su tre piani temporali distinti, a guidare il lettore (il presente con Brad Barron prigioniero dei Morb; il passato immediatamente precedente all’invasione aliena; il passato che ripercorre la distruzione di New York durante l’invasione), senza premesse né spiegazioni. Tutto viene spiegato attraverso lo sviluppo degli avvenimenti. Il possibile disorientamento viene evitato da un lato grazie alla “prevedibilità” degli eventi, familiari al lettore perché “ripercorsi” in anni di letture di fantascienza, e dall’altro grazie all’abilità di Faraci nel costruire la storia. Spicca in particolare la parte precedente all’invasione aliena, nella quale Brad Barron ha un incontro anticipatore con l’esercito degli Stati Uniti: il primo disco volante è stato avvistato, ma sarà troppo tardi.
Esposto con chiarezza il teorema della serie, i numeri successivi si mostrano meno complessi nella struttura narrativa, definendo uno “standard” fluido e coerente, salvo poi sorprendere il lettore con un guizzo che al momento rappresenta, a parere di chi scrive, il numero più interessante della serie, il quarto, I Conquistatori, storia onirica e violenta che, grazie anche alla forza evocativa di Giovanni Bruzzo, catapulta il lettore in uno scenario di guerra credibile e vivido. Ne ‘I Conquistatorì, mi ha rivelato Faraci, per la prima volta il personaggio ha preso il sopravvento sull’autore, e la narrazione ha preso direzioni non previste durante la stesura del soggetto. L’elemento onirico, che inizialmente avrebbe dovuto rappresentare solo una breve parte della storia, un espediente narrativo limitato per sbirciare nel passato del protagonista durante la Seconda Guerra Mondiale, diviene parte costitutiva, intrecciando il passato ed il mondo di Brad con quello del superstite di un altro mondo invaso dai Morb. Faraci sembra avvisarci che non esistono prede o cacciatori, che le cose non sono proprio come si potrebbe pensare, che nel mondo di Brad Barron la prevedibilità della vicenda può incresparsi e complicarsi in qualunque momento.
Non tutto pero’ funziona secondo le intenzioni dell’autore. Innanzitutto la matrice hard boiled appare piuttosto debole. Monologo interiore a parte, l’eroe Brad Barron appare sostanzialmente troppo puro, troppo pulito e sensibile rispetto a quell’immaginario. Riflessivo, democratico, Brad Barron si inserisce in quella pedagogia dell’eroe bonelliano che da anni si è consolidata, riconoscibile e a tratti eccessivamente corretta. Faraci sembra non sfuggire alla regola che vuole l’eroe bonelliano come un personaggio dal cuore puro (e con un’esclamazione ricorrente, quel “la malora!” che ha fatto storcere il naso a molti). Non perfetto, si badi bene, ma incorruttibile, e con una visione chiara ed eticamente ineccepibile della vita.
Inoltre, l’essenza spiccatamente avventurosa della serie appare indebolita e annacquata da troppa verbosità e dall’eccessiva disponibilità al dialogo di tutti i personaggi; predisposizione piuttosto atipica in un contesto di continua emergenza come quello rappresentato. Le scene di azione, che occupano poche pagine di ogni numero, assumono spesso un ruolo puramente ornamentale, senza tra l’altro avere la forza di imporre quel cambiamento di ritmo e quel coinvolgimento cinetico e dinamico che sarebbero necessari. Gli esempi più evidenti di questa caratteristica sono purtroppo anche i più ricorrenti, ovvero gli scontri del protagonista contro i Morb, regolarmente sconfitti in poche pagine senza alcuna tensione narrativa.
Probabilmente, anche la scelta dei disegnatori che finora si sono cimentati sulle pagine di Brad Barron (sette in otto numeri) non ha aiutato a imprimere i cambiamenti di ritmo necessari. A eccezione di Bruno Brindisi nel primo numero – che si è confrontato tuttavia con un’avventura di dimensione planetaria – di Giovanni Bruzzo nel numero 4 e in parte di Giancarlo Caracuzzo (della scuola di Bruno Ramella, autore del terzo numero), gli altri disegnatori sono sembrati a volte in difficoltà con le scene più dinamiche e d’azione (si vedano ad esempio, nel numero 2 disegnato da Anna Lazzarini, le pagine 93-94; nel numero 5 di Luca Raimondo, le pagine 86-93; nel numero 7 di Alessandro Bignamini, le pagine 38-42; nel numero 8, ancora di Raimondo, le pagine 30-37). Certamente i disegnatori non sono stati facilitati dalla necessità di utilizzare per lo più la classica griglia bonelliana, regola infranta in parte nel numero uno di Bruno Brindisi, elemento tecnico che tuttavia ha permesso, negli anni, ad altri autori di esprimersi in modo molto efficace da questo punto di vista.
Per queste ragioni, l’esplorazione di alcuni generi appare indebolita, a favore di un’omogeneità stilistica certamente utile e importante per uno sviluppo coerente della serie, ma al contempo troppo prevedibile. Rileggendo gli otto numeri di fila, ci si trova immersi presto in una piacevole atmosfera vagamente retro’, in una lettura coinvolgente e intelligente, ma senza particolari guizzi o sorprese.
Perché, è bene sottolinearlo, Faraci si conferma comunque abile narratore, con la capacità di far recitare personaggi credibili, alcuni non facili da dimenticare (il giornalista Daniel Millard, la sensibile Ellen McCloud e suo figlio); l’autore offre l’ennesima prova della disinvoltura con la quale riesce a intrecciare i dialoghi con il monologo interiore, con i momenti di silenzio, dosando con equilibrio gli scambi dialogici di cortesia con quelli necessari all’evoluzione della trama e quelli utilizzati per aiutare eventuali nuovi lettori a orientarsi nella lettura.

3. Quei favolosi anni ’50

Come accennato precedentemente, Brad Barron è la seconda serie Bonelli ad essere ambientata negli anni ’50. Dopo Mister No, che ha esordito negli anni ’70 e che sta per concludersi per volere dell’editore (che ne è anche il creatore), la serie di Tito Faraci torna alla favolosa Età dell’Oro statunitense, con le sue contraddizioni e i suoi semi tecnologici, culturali e socio-politici i cui frutti sono presenti ancora oggi. Si diceva anche del punto di vista post-moderno dell’autore che, per quanto non accentuato nell’estetica narrativa, rappresenta il cuore della rielaborazione dei generi e degli archetipi della letteratura popolare che fanno da meta-testo alla serie. Se per Mister No il confronto con la realtà in rapida evoluzione di quegli anni si trasformava spesso in uno scontro, in una visione populista e sessantottina, figlia delle lotte di fine anni ’60 inizio anni ’70, in Brad Barron gli anni ’50 sono il mondo dell’illusione e della fantasia, dove tutto può e deve succedere.
Come espressomi da Faraci stesso, il viaggio “on the road” nell’immaginario popolare di Brad e dell’autore non potrebbe avere senso che in quegli anni. Le tematiche affrontate con taglio da fantascienza classica hanno ragion d’essere solo in relazione a quelle che erano le paure, le speranze, le convinzioni delle persone che hanno vissuto gli anni dopo la Seconda Guerra Mondiale. In un percorso della memoria che si muove a cavallo dei due continenti – Europeo e Americano – Faraci cerca di sollecitare un sentimento nostalgico che per molti vuol dire innocenza, speranza, rinascita. Il boom economico che sarebbe partito da lì a poco anche in Italia, negli anni della ricostruzione, tocca emozioni che hanno a che fare con l’ingenuità e la leggerezza dell’infanzia, pur tra mille sofferenze e sacrifici. I ricordi delle tragedie della guerra sono vivi, sono ferite aperte che vengono a fatica mascherate dal bisogno di rivalsa e dalla speranza di un cambiamento delle coscienze reale e duraturo. Sono illusioni che verranno presto spazzate vie, soprattutto negli Stati Uniti, dalla guerra nel Vietnam e dall’inasprirsi della Guerra Fredda, ma che si ritrovano in centinaia di opere letterarie, cinematografiche e a fumetti di quegli anni. Sono anche gli anni della seconda, vera rivoluzione della cultura popolare dopo la rivoluzione Gutemberg, grazie alla diffusione della televisione e alla nascita della cosiddetta musica pop; sempre più si afferma il paradigma che prevede un legame inscindibile tra la cosiddetta cultura di massa e la tecnologia.
Quello che quindi è possibile ritrovare in Brad Barron non è tanto una ricostruzione storica e accurata di ambienti, vestiti, tecnologia. Da questo punto di vista, anzi, la serie non sempre risulta efficace, pur non cadendo in evidenti incongruenze. In effetti alcuni episodi sembrano fuori dal tempo, come il numero 2, Fuga da Manhattan, il 3, Terra Perduta, o l’8, La Promessa. In altri casi i riferimenti ci sono ma non emergono come particolarmente significativi. Non vi è, per esempio, la volontà di guidare l’attenzione del lettore verso quegli stessi elementi, che non si pongono mai come centrali nella narrazione.
Faraci vuole piuttosto ritornare all’immaginario di quegli anni, ma con una narrazione e una sensibilità più attuale. Questo obiettivo, che dal punto di vista editoriale ha avuto successo, non porta sempre a risultati necessariamente vincenti. Il successo, in termini di vendite, è dovuto sicuramente all’equilibrio che l’autore è riuscito a trovare tra vecchio e nuovo, equilibrio che per esempio è completamente mancato a un’altra serie velocemente dimenticata che condivideva alcuni degli elementi di Brad Barron. Mi riferisco al Gregory Hunter di Antonio Serra (sepolta dopo pochi numeri per vendite troppo basse) che del passato, più che l’immaginario, ha cercato di riproporre stile e meccanismi narrativi ormai superati. Senza approfondire ulteriormente un argomento che potrebbe occupare un articolo intero, è importante evidenziare che l’effetto “amarcord” di Brad Barron non passa attraverso una narrazione retro’ od obsoleta, quanto piuttosto attraverso uno stile attuale e moderno che si confronta con topos narrativi ancora potenzialmente ricchi e attuali.
Comunque, è importante evidenziarlo in modo chiaro, degli anni ’50 Brad Barron non vuole offrirci né una chiave di lettura, né una riflessione se non superficiale. Faraci vuole farci respirare un’atmosfera, un luogo della memoria mai riposto in grado di dare senso e coerenza all’avventura fantascientifica del protagonista. Tutto qui.

 

I NEMICI DELL’UMANITA’

1. Morb-osi extraterrestri

Come il genere della fantascienza classica impone, il pianeta Terra e l’umanità sono minacciati da esseri extraterrestri antropomorfi dalle sembianze mostruose, i Morb.
I lettori sanno ben poco degli invasori: possiedono una sorta di comunicazione telepatica oltre a quella tradizionale, sono spietati, possiedono una tecnologia molto più avanzata della nostra, hanno invaso altri pianeti prima della Terra, sono comandati da una sorta di mente superiore chiamata Unico.
Brad Barron, il Numero Nove durante la prigionia, è l’unico umano che è riuscito a fuggire dalle prigioni dei Morb, dopo aver subito per mesi umilianti prove al limite della sopravvivenza, utilizzate dagli invasori per meglio conoscere le risorse e le caratteristiche dell’umanità. Dopo la fuga, Brad è diventato il ricercato numero uno, innestando uno dei temi portanti della serie, probabilmente il meno efficace.
Dopo otto numeri, il protagonista si è confrontato almeno una volta a numero con i Morb, li ha regolarmente sconfitti, spesso con una facilità disarmante. Il problema, ovviamente, non è la superiorità di Brad Barron nello scontro frontale corpo a corpo – Faraci ci ha più volte spiegato che gli invasori sono più forti ma molto più lenti di Brad e che hanno una malaugurata tendenza a parlare prima di sparare – quanto le risorse complessivamente messe in atto dalle truppe extra-terrestri, sempre sottodimensionate per quello che i Morb sembrano ritenere un pericolo curioso e inarrestabile. In effetti, non si spiega come una forza di invasione tale da sottomettere in brevissimo tempo tutto il pianeta Terra non sia in grado di catturare un semplice umano. Faraci, in alcuni passaggi, sembra volercelo suggerire, ma spesso senza troppa convinzione.
é vero, finora, dei mostri conosciamo ben poco. è vero, Brad è un uomo speciale, è l’Eroe. è vero, forse i Morb hanno sottovalutato la sua minaccia. Eppure, dal punto di vista narrativo, la caccia all’uomo è senz’altro l’anello debole della serie.
Rileggendo gli episodi risulta piuttosto evidente che la narrazione avrebbe potuto procedere fin qui anche senza l’elemento della fuga. Brad è in movimento, on the road, alla ricerca della sua famiglia. L’incontro con il nemico extraterrestre sarebbe potuto avvenire regolarmente come è avvenuto, semplicemente perché i Morb occupano ormai buona parte del pianeta Terra. La minaccia dell’eroe sarebbe stata più credibile perché giustificata dall’impreparazione dei Morb, dalla sorpresa. L’effetto domino che si sospetta verrà in qualche modo messo in atto da Brad per far crollare l’impero extraterrestre e vincere la guerra avrebbe potuto nascere proprio dall’incapacità dei Morb di comprendere la forza del protagonista.
La scelta di Faraci è stata un’altra. E se ne possono indovinare alcune ragioni, prima fra tutte la volontà di porre da subito in evidenza l’opposizione tra l’eroe e il nemico, un confronto diretto, personale, tipico della letteratura popolare degli anni ’50, in particolare dei comics di supereroi. Ma è una scelta finora perdente, perché vero e proprio anello debole della serie, che mette in moto una serie di meccanismi difficilmente spiegabili che devono essere accettati per quello che sono, ma che rischiano di infastidire i lettori più attenti.

2. La minaccia viene dall’interno

Anche perché, è importante sottolinearlo, Faraci è stato ben attento a mettere da subito in evidenza (Fuga da Manhattan, numero 2) che la minaccia principale per l’umanità, per l’eroe e il suo sistema di valori, non proviene dagli extra-terrestri, quanto piuttosto dall’Uomo stesso. Numero dopo numero, l’autore ci mostra una varietà di uomini egoisti, vili, deboli, approfittatori, scegliendo un punto di vista che è certamente quello più efficace della serie. L’arma vincente dei Morb, prima ancora della loro forza, della loro tecnologia e della loro crudeltà, è la paura che divide l’umanità, che la immobilizza. Lo sappiamo bene, eventi eccezionali possono tirare fuori il meglio o il peggio di ogni uomo. L’invasione aliena ha devastato non solo un mondo, ma soprattutto la fiducia e la speranza degli uomini. Ecco che Brad Barron si pone quindi come solitario ma non isolato baluardo a difesa di quella stessa speranza, di quella stessa fiducia.
Finora, la portata rivoluzionaria del protagonista ha toccato soltanto singole vite, in scenari sociali di piccolissime dimensioni. Sarà interessante osservare come e quando Faraci deciderà di alzare il tiro e la posta in palio; se e quando Brad diventerà il volano della rivincita dell’umanità.

3. Quale finale?

Come detto, la serie di Brad Barron terminerà con il numero 18, senza possibili ripensamenti, senza possibili sorprese. Faraci ha da poco terminato di scrivere l’ultima sceneggiatura che sarà disegnata in buona parte da Bruzzo e in alcune sezioni da Fabio Celoni, autore delle copertine.
Dopo otto numeri è senza dubbio possibile trarre un primo bilancio ponderato. La scommessa delle vendite sembra essere vinta, grazie a un posizionamento al di sopra delle aspettative dell’autore e non facilmente prevedibile in relazione allo stato attuale del mercato del fumetto, che spinge sempre alla cautela.
La scommessa creativa resta invece ancora aperta. Nel complesso si tratta di un lavoro interessante e più coraggioso di quanto si potrebbe pensare, che sta mettendo alla prova l’abilità dell’autore di muoversi tra diversi generi, in un humus narrativo tanto ricco quanto per questo più sfuggente. La serie è solida, con una coerenza e una fluidità efficace. Dal punto di vista tecnico, l’attenzione ai dialoghi, il ritmo tutto sommato contenuto, da romanzo di appendice, con una continuity progressiva ampia che si muove per accumulazione, l’attenzione al “fattore umano”, a una sociologia minima, l’utilizzo del monologo interiore come elemento portante della narrazione, sono tutti elementi che fanno di Brad Barron una serie riuscita e fresca.
D’altra parte, una vicenda che nasce con l’intenzione di concludersi dopo un numero predefinito di episodi non può che essere valutata dopo la parola “fine”, quando cioé tutte le carte saranno sul tavolo e tutti gli elementi narrativi saranno portati a compimento.
Gli scenari sono tutti aperti, dalla sconfitta dei Morb (con modalità che non riesco al momento a immaginare), alla sconfitta definitiva dell’uomo (una scelta che sarebbe sicuramente spiazzante), alla fuga dell’umanità in un altro pianeta (la fantascienza ci ha raccontato anche questo).
Non ci resta che rimanere a bordo per osservare quello che succederà. La “fine” sarà una maledizione o una benedizione per Brad Barron e l’umanità, per i lettori e per Tito Faraci?!

Riferimenti:
Sergio Bonelli Editore: www.sergiobonellieditore.it
Il forum ufficiale di Brad Barron: www.forumfree.net/?c=49498
Recensione de L’ultima battaglia di Faraci/Brereton
Intervista a Tito Faraci da Ultrazine: www.ultrazine.org/pa_092a.html

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