Il colore, Sergio Bonelli e Tex

Il colore, Sergio Bonelli e Tex

La quadricromia cavalca nelle polverose strade battute dal ranger di casa Bonelli. Eppure la sensazione è che il colore non sia il benvenuto tra quelle pagine.

Una nuova serie a fumetti è sempre un piccolo evento; per la Sergio Bonelli Editore, sempre attenta in ogni sua pubblicazione, significa che molte discussioni, analisi e “conti” sono stati fatti, prima che l’albo raggiungesse le edicole.

Una nuova serie di storie inedite, a colori (nel tempio del fumetto bianco e nero), dedicata a Tex poi, è un evento vero e proprio. Non la prima serie di albi a colori per la casa editrice, certo, ma una delle pochissime con questa caratteristica1.

Eppure, nonostante queste caratteristiche positive da sommare a quelle elencate nella recensione2, ai più e a chi vi parla questo volume è parso essere sì un buon fumetto western, ma soprattutto una occasione persa. Non facendo parte della cerchia schizzinosa che declassa i fumetti made in Bonelli (Tex uber alles) come la rovina del fumetto in Italia e/o una montagna di carta sporca che non merita neanche di essere guardata (per essere disprezzata “a prescindere” come diceva Totó), riteniamo di poterne parlare senza rischiare accuse di apriorismo.

Anzi l’unico rischio di commento negativo è quello di avere fin troppo affetto verso Tex. Nel convulso mese di agosto teatro di panico da fallimento per la nazione intera, si è trovato il tempo (se sia un bene o un male questo ognuno se ne può fare una sua idea) di parlare del Tex Color in più blog/siti/forum con risultati spesso similari.

Alla casa editrice se non a Sergio Bonelli in persona si contesta una colorazione piatta, praticamente inutile, che non aggiunge praticamente nulla alla tavola in bianco e nero. Oltre ad una grafica di copertina decisamente poco azzeccata (anche se rispetto a ciò che si è letto online questo è un eufemismo, vedi alcuni commenti sul blog di Harry dice ma anche alla nostra recensione).

BAMBOLE, NON C’È UNA LIRA

Riassumendo, quindi, grandi critiche a una nuova iniziativa editoriale; non precisamente rischiosissima (il fumetto più venduto in Italia, due autori amati, una periodicità… annuale) ma comunque una nuova uscita. In tempi di crisi. Crisi a dir poco; infatti…
Zoomata indietro con la telecamera; siamo a marzo dello scorso anno. Sergio Bonelli dice3

“Beh, il fumetto non è morto, però è ferito. È vero che ero abbastanza menagramo, fa parte del mio carattere, però quindici anni fa la nostra casa editrice vendeva tre volte tanto quello che vende adesso. Nonostante spesso si continua ad accostare il fumetto ai bambini, il pubblico dei bambini da tempo non ci segue più. Ma abbiamo molto più rispetto da parte del mondo della cultura, e questo evento di Napoli ne è una prova davvero emozionante”.

Giorni nostri; nel numero 79 del settembre 2011 di Scuola di Fumetto, l’autore “Bonelli” Antonio Serra risponde ad alcune domande di Laura Scarpa su Nathan Never in occasione del ventennale del personaggio e dello speciale a colori che lo ha festeggiato. Nelle risposte inserisce alcune frasi che indicano la preoccupazione crescente per la drastica diminuzione di lettori… dalle sue parole si capisce che, per farsi una idea del lettore tipo di Nathan Never, bisogna affidarsi alle sensazioni degli

“autori e curatori (…) che leggono le ormai rarissime lettere, i ben poco frequentati forum su internet e parlano con lo scarso pubblico alle fiere”.

Ancor più esplicito quando alla domanda: “Fumetto in b/n o a colori, che cosa sta vincendo? Che differenze narrative?” risponde:

“Il colore vince sempre. Il successo della versione a colori di Tex lo dimostra senza ombra di dubbio. Ma, allo stesso tempo, tutti perdono. La crisi è davvero grave, il futuro incerto. Speriamo bene.”

E fin qui parliamo del fumetto popolare italiano.
Il 22 agosto, sul sito del Los Angeles Times, compare una intervista a Dan Di Dio, Co-Publisher della DC Comics di cui riportiamo qualche piccolo stralcio dell’articolo:

“In the 1990s, there were 7,000 to 9,000 retailers that sold comic books, including newsstands and drugstores. Today there are a little more than 2,000, most of which are specialty shops.” dice Di Dio. E il pezzo continua con: “DC Comics co-publisher Dan DiDio was at a comic-book store in New Jersey when he noticed something alarming. Over the course of an hour, only two customers came in. And, this was a Saturday — the busiest day of the week for most retailers”4

Il successo, non sappiamo quanto reale e quanto dettato dalla novità dell’evento con la E maiuscola, che sappiamo essere stato in realtà molto inviso ai fan più accaniti delle serie supereroistiche made in DC Comics, fa riflettere l’autore Roberto Recchioni che, senza giri di parole, esprime il suo sconcerto su come si perdano occasioni in Italia laddove personaggi di successo popolare (Tex, Dylan Dog ma anche Diabolik ad esempio) realizzino numeri che, se parliamo solo di fumetti venduti, in Usa sono in proporzione impossibili da raggiungere. Potete leggere la discussione qui (e anche in questo caso i commenti non sono certo lusinghieri per l’editore Bonelli).

Ma più che le “chiacchiere” dei lettori, chiarito il contesto “drammatico” nel quale si muovono tutti gli editori di fumetti, torniamo alla questione colore….

COLLEZIONE E LEZIONE DEL COLORE

La colorazione del Tex Color n.15 segue una linea editoriale dettata dai 239 numeri settimanali della ristampa Collezione Storica a colori. Quest’ultima è stata un successo editoriale senza precedenti se si considera il numero di ristampe che già avevano avuto queste storie6 e la quantità di storie stampate.

Non una linea innovativa né in grado di utilizzare le enormi possibilità grafiche che la colorazione oggi consente. Eppure qui si partiva da zero; non vi erano precedenti e l’applicazione del colore poteva essere gestita diversamente senza dover fare i conti con un passato da rispettare.

Per intenderci meglio, nell’aprile del 2007 Raffaele De Falco, in sede di commento in questo articolo per Lospaziobianco al primo volume di questa serie faceva notare che:

“La realizzazione di questa opera a colori, già difficile per i motivi tecnici detti sopra, pecca anche per una infelice quanto precisa scelta fatta dai responsabili che vede risaltare (in gergo “sparare”) il giallo della camicia di Tex in contrasto con il “grigio” del resto delle vignette. Un tocco “malinconico” dato da colori virati allo scuro: la bella Tesah e il resto degli indiani, per fare un solo esempio, non sono troppo gradevoli con una carnagione “cerulea””

Ma, addirittura nel Febbraio 1996, sulle pagine della rivista Flex n.12, in occasione della partenza della nuova ristampa intitolata (ehm…) Tex Nuova ristampa, Angelo Santarelli così scriveva:

[…] gli americani che sono maestri nello sfruttare tutte le possibilità (anche se qualche volta esagerano), hanno dimostrato più di una volta che rivedere è meglio di ristampare; un esempio, non a caso, è rappresentato dalle due testate più vendute Gli X-Men e Spiderman in cui si riparte sì dal n.1, ma ridisegnando le storie (X-Men Classic) o rileggendole sotto punti di vista diversi (Amazing Fantasy starring Spiderman). La proposta: e allora ecco il suggerimento, un Tex mensile (o bimestrale) Tex Classic (all’anima dell’originalità ma il titolo è l’ultima cosa!) di 48 o 64 pagine a colori con copertine inedite […]

Alla fine la serie a colori di Tex, con storie inedite, che parlano anche del passato di Tex, con copertine inedite, è arrivata. Con qualche pagina in più rispetto a quanto auspicato da Santarelli ma con una frequenza decisamente superiore.

Non sappiamo dove può portare il successo di pubblico di questo albo, magari alla semestralità come il cugino Dylan Dog Color Fest, e visto che apparentemente il ranger gode di migliore salute editoriale e di un rinnovatissimo e di elevatissima qualità parco autori e disegnatori.

Eppure si parla di occasione persa; la questione riguarda la direzione data alla colorazione dell’albo. Punto. Niente altro. Si intende quindi che il colorista, del quale dal tamburino non evinciamo il nome, abbia avuto infatti precise istruzioni su come procedere. E le abbia seguite alla lettera, evitando di fare alcune cose abbastanza normali per un colorista. Tutti gli abiti sono in tinta piatta, senza velature o sfumature; stesso discorso per i volti. Solo nei panorami, talvolta, c’è una velatura per dare profondità, che so, ad una roccia. Niente altro.

Ci si chiede perché siano state date queste indicazioni invece di sfumare, sporcare (siamo nell’Old West, baby!) e approfittare delle lineari chine di Brindisi per applicare una colorazione realistica quale quella di un attuale fumetto di supereroi made in Usa7. Niente di eccezionale serviva, insomma, ma lascia perplessi il fermarsi ad un passo da un risultato quando si hanno tutte le carte per raggiungerlo.

L’esperienza ultradecennale spinge l’editore a realizzare fumetti in modo che si vendano; non essendo la Sergio Bonelli Editore una associazione no-profit ha (oltre al dovere di fare profitto e di veicolare un prodotto editoriale in linea… con la propria linea editoriale) anche la responsabilità “morale” di continuare a dare lavoro a tanti autori come fa ora. Ma se questo discorso potrebbe essere utilizzato per difendersi dalle critiche di staticità nella gestione di alcuni personaggi e testate qui ci troviamo di fronte a qualcosa di diverso.

Il successo della ristampa della serie regolare per Repubblica ha sancito che al pubblico è piaciuto (…) leggere le storie di Tex dalla prima all’ultima8 colorate con colori piatti, senza sfumature né velature, senza luci né ombre. Amen.

Eppure, anche volendo parlare del solo discorso economico, il rischio di impresa che noi non ci accolliamo e che l’editore invece sì, ci sembra davvero difficile che il successo della ristampa precedente sia il motivo per il quale la storia del Tex Color sia colorata allo stesso modo.  Qui si parla di un albo, singolo, disegnato da un autore che ben si presta, viste le sue caratteristiche, ad una colorazione moderna e perfino iperrealista; parliamo di un ambientazione, il vecchio west, che farebbe la gioia dei coloristi vista l’enorme varietà di tinte, toni, luci da rendere.

Senza dimenticare che la doppia ambientazione cronologica passato/presente avrebbe potuto consentire altri giochi di colore, con variazioni di stili, utilizzo del “seppia”…. insomma, mille possibilità, eppure nessuna è stata utilizzata.
E parliamo di un albo primo di una serie, che non deve dar conto a nessun centinaio di storie “analoghe”. Stesso discorso vale anche per la ristampa (seconda, visto che ci sono già i Tex “Stella d’Oro”, semestrali, a ristamparli). Francamente, ci sarà permesso, una scelta inspiegabile.

Non sto qui a dire che con un Tex Color colorato diversamente si sarebbe venduto di più, figuriamoci. Ma sarebbe interessante capire se c’è davvero qualcuno che pensa che si sarebbe venduto di meno…


TEX IL GRANDE!

I Texoni, la storia la conoscono anche i sassi, nascono come serie regolare annuale di enorme successo di pubblico dalla necessità di dirottare altrove storie che graficamente non sarebbero state “consone” per le norme non scritte del mensile9. Visto che vengono ora ristampati a colori come allegati di Repubblica, ci tocca allungare il discorso anche a loro.

Già partendo con il numero uno disegnato da Guido Buzzelli, il colore, paradossalmente, fa veri e propri danni al fumetto. Chi non conosce l’autore citato farebbe bene ad andare a curiosare online e cercare qualche suo disegno, per scoprire che artista immenso era. Le sue tavole sono piccoli capolavori di tecnica, inchiostratura e inventiva. Con i colori, poi, un pittore sopraffino (per esempio in questo post di due anni fa sul blog di Luca Boschi).

Come per la copertina del Color Tex, dipinta e chiaramente non colorata a tinte piatte, anche in questo caso il paragone fra l’interno a colori piatti e l’opera d’arte (senza esagerazione) realizzata da Buzzelli per la cover dello speciale “Tex il grande!” è veramente ingeneroso. Marco D’Angelo meglio di me sa spiegare e spiega qui l’effetto che fa vedere il Texone di Buzzelli così colorato:

Un fuoco che non ha bisogno del colore rosso per essere rappresentato. Anzi, la ricolorazione delle tavole sottrae molto del loro fascino alle profondità create da Buzzelli con il suo tratteggio. […]Mi limito a constatare che nel Tex di Buzzelli, il colore non mancava di certo, solo che l’autore, con il suo bianco e nero, ci dava il
privilegio di immaginarlo come volevamo.

Ma se Sergio Bonelli nella presentazione indica come necessario (male?) cedere alla quadricomia, come potete leggere qui, viene il dubbio che non si indichi, con questo termine, la stessa cosa. Il rispetto e (eh sì) l’affetto per Sergio Bonelli c’è ed è tantissimo; ma se quadricomia vuol dire quattro colori quattro (verde giallo rosso blu rosa marrone… sei direi) allora anche qui abbiamo perso una occasione colossale. Capiamo il suo gusto fumettistico, ma una volta ceduto al colore… che colore e colorazione, soprattutto, sia. E non un timido riempire gli spazi bianchi con stese di colore uniforme. Dice l’editore:

Beh, sì, devo ammettere che – un po’ alla volta, sia chiaro – sto venendo meno a quella che, per tanti anni, è stata la colonna portante del mio personale gusto fumettistico. Il colore, infatti, è ormai parte irrinunciabile delle aspettative di tantissimi lettori, che lo interpretano come un “segno” dei tempi moderni. Di conseguenza – accade sempre più spesso – non mi resta che arrendermi: se io riesco tuttora a rinunciare serenamente all’uso del telefonino”, del computer, di Internet e di tante altre meraviglie tecnologiche, questo non significa che tutti siano costretti a fare altrettanto… Insomma, ritengo comunque che sarebbe sbagliato ostacolare il progressivo (e forse “naturale”?) avanzare dei comics “in quadricromia”.

Vista la rapidità con cui escono settimanalmente i Texoni a breve ci troveremo con quello dipinto da Magnus, che è ora ristampato dalla Rizzoli Lizard ed in vendita in libreria. In bianco e nero, chiaramente. Rileggere l’opera di Magnus su carta patinata con neri così efficaci è stato e sarà una gioia per gli occhi; il merito di Sergio Bonelli per aver dapprima convinto e poi supportato l’autore nella maniacale realizzazione pluriennale dell’opera (peraltro ultima) della sua vita è e sarà enorme. Ma come sarà il Texone di Magnus colorato in questo modo… non osiamo chiedercelo.

E ancora c’è da chiedersi come sarà il lirico Texone di Pasquale Frisenda, per il quale un anno fa, qui, auspicavo una ristampa da libreria con colori ad acquerello…

Vista l’assoluta completezza dell’albo e la sua ottima realizzazione anche da un punto di vista grafico qualcuno potrà magari (se non l’hanno già pensato da soli) suggerire ai nuovi abili gestori del “licensing” dei personaggi Bonelli all’estero una edizione da libreria in cartonato, magari nei paesi del Sudamerica e perché no, magari acquerellato da Frisenda stesso.

Non amo fare domande negli articoli, chi legge di solito vuole pareri, non domande; non chiederò il “perché” della scelta; non suggerirò all’editore di cambiare rotta. Userò questo spazio solo per sottolineare che ci sono spazi (leggasi ancora qualche lettore) per fare ancora passi avanti, in direzione, in questo caso, del colore e di una colorazione al passo con i tempi.

E, in definitiva, che è peccato mortale non farli, questi passi.

Color Tex #1: esempio di colorazione alternativa

TU VUO FA L’AMERICANO… MA ANCHE IL FRANCESE

Visto che, ad esempio, nel Dylan Dog 300 in edicola si vedono sfumature e non semplici velature per dare un colore di contrasto; visto che in lavorazione per la stessa Sergio Bonelli Editore c’è una miniserie fantascientifica che, dal punto di vista del colore, nulla avrà da invidiare ai volumi cartonati francesi che trattano le stesse ambientazioni.

Vi suggeriamo di dare un occhio alle anticipazioni sul blog degli autori Emiliano Mammuccari –qui– e su quello di Roberto Recchioni –qui10 ma soprattutto nell’immagine che riproduciamo in questo articolo.

Chiudiamo, infine, con un disclaimer grande come una casa e qualche immagine.
Abbiamo scelto alcune tavole del Tex Color e le abbiamo inviate ad un colorista professionista al quale abbiamo dato alcuni riferimenti grafici (fumetti supereroistici ma anche storyboard cinematografici). Il risultato non è in competizione con la tavola pubblicata né è nostra intenzione mettere in discussione le capacità professionali del colorista dell’albo, tra l’altro non citato nel tamburino.

Non è un referendum, non è una richiesta di consenso.
E’ una semplice indicazione, dettata dal rispetto per l’editore e dall’affetto per i personaggi che pubblica: avremmo preferito avere un Tex Color così e sentire discorsi magari su una colorazione troppo calda o troppo fredda, ad esempio, piuttosto che leggere in giro paragoni con le immagini colorate delle comiche di Stanlio ed Ollio.
A voi le due immagini “comparate”; due tavole ed una vignetta. E’ una alternativa che, ci chiediamo, quanto male avrebbe potuto fare ad un personaggio così amato (domanda retorica).

Infine, concludendo davvero, mi sentirei di sposare la tesi di Sergio Brancato che, in barba al “dire” comune, sostiene che l’editore Sergio Bonelli così come l’uomo Sergio Bonelli (così come i suoi genitori all’alba della loro lunghissima avventura editoriale) sia “audace” (come il nome della prima incarnazione editoriale) e non banalmente solo conservatore.

Lungi da me l’idea di avventurarmi nella spiegazione di questa tesi11 per motivi di spazio, eppure è proprio la mancanza di audacia (che poi tanto audacia neanche sarebbe…) che è mancata nell’offrire al lettore del Tex Color un prodotto colorato come un “contemporaneo” fumetto a colori.

Il lettore medio di Tex ha comprato 239 albi settimanali colorati così, questo è un fatto. Ma non v’è controprova che colorati diversamente sarebbero rimasti invenduti né che i lettori si sarebbero lamentati. Così come hanno apprezzato il colore (sorpresa?), l’idea di chi scrive è che avrebbero ancora di più apprezzato un colore utilizzato al meglio delle possibilità del mezzo; vista anche la competizione che il fumetto, come mezzo di intrattenimento, ha (con cinema, tv, videogiochi…).

Potranno essere anche (ma penso proprio che non lo siano) solo settantenni in pieno amarcord che rievocano la loro gioventù e i fasti di una volta ricomprando sempre lo stesso fumetto e magari storcendo il naso di fronte al colore… ma dubito che il primo febbraio 1977 abbiano tolto il colore alla televisione mentre la Rai abbandonava il bianco e nero…

Color Tex #1: esempio di colorazione alternativa

  1. Tra queste, seppur ferma al numero tre da tempo, ci piace segnalare la serie Leo Pulp, ancora più particolare in quanto disegnata in stile grottesco e umoristica e “anticipare” la prossima miniserie di fantascienza di Roberto Recchioni ed Emiliano Mammucari

  2. da noi pubblicata qui 

  3. fonte: La Repubblica  

  4. “Negi anni novanta c’eranto tra i settemila e i novemila rivenditori di fumetti, incluso edicole ed empori . Oggi siamo a poco più di duemila e la maggior parte sono fumetterie.” dice Di Dio. E il pezzo continua con: “DC Comics co-publisher Dan DiDio si trovava in una fumetteria nel New Jersey quando ha notato qualcosa si allarmante. Nel giro di un’ora solo due clienti sono entrati. Ed era sabato, il giorno più trafficato della settimana per i rivenditori” 

  5. mettiamo il numero con la tenue speranza che quanto diciamo sia valido solo per questo 

  6. a ben vendere, la stessa serie regolare di Tex oggi in edicola inizia come ristampa delle strisce 

  7. basterebbe semplicemente qualcosa come questo o questo, per non scomodare Richard Isanove anche qui 

  8. o, come qualche maligno ha suggerito, è piaciuto ricomprarle in una veste tale da poterle esporre in libreria 

  9. qui il nostro articolo 

  10. prontoallaresa.blogspot.com/2010/05…uella-cosa.html; prontoallaresa.blogspot.com/2010/09…a-del-capo.html; prontoallaresa.blogspot.com/2011/02/in-meantime.html; prontoallaresa.blogspot.com/2011/06…modellista.html 

  11. vi rimandiamo alla prossima pubblicazione su Lospaziobianco degli estratti dal volume “Audace Bonelli” e “Fumetti. Guida ai comics nel sistema dei media” in modo da poter leggere le parole dello stesso Brancato 

14 Commenti

14 Comments

  1. Claudia Chec

    23 Settembre 2011 a 18:04

    Per primo volevo mettere l’accento ad problema tecnico di questo articolo le immagini si caricano a fatica e anche dopo una prima visione non si ricaricano prontamente rendendo difficile un paragone.
    Il lavoro di colorazione delle tavole di Tex è affidato sia per la collana precedente che questa è affidato a GFB che è una agenzia di colorazione e impaginazione. Questo vuol dire che le pagine sono effettuate non da un colorista ma da un team di persone, le paghe sono molto basse e perciò è un lavoro che accettano spesso giovani ed inesperti e devono operare pure in tempi stretti insomma è un lavoro fatto al chilo. La casa editrici immagino abbia il vantaggio di non dover attendere i tempi di un lavoro svolto da un singolo professionista, né il dovere di controllare tempi e qualità di un collaboratore, questa è una ditta che garantisce il lavoro e i tempi e offre il prodotto finito per la stampa, un grosso vantaggio per l’editore.
    Scrivo questo perché trovo giustissimo criticare i propri acquisti ma quando si vogliono fare paragoni è giusto avere più informazioni possibili sull’argomento.

  2. Davide Occhicone

    23 Settembre 2011 a 18:19

    Ciao Claudia e grazie per il commento.

    Mi spiace che le immagini non ti si ricaricano rapidamente, sei la prima a dircelo e a chi ti scrive non accade. Vediamo se possiamo migliorarle…

     

    Da quel che dici evinco che:

    sai che Bonelli non vuol controllare la qualità dei colori (francamente mi sembra una tua certezza e non una certezza assoluta)

    sai che Bonelli paga molto poco (o Bonelli paga abbastanza il service e il service paga poco i “coloristi”?) il colore…

    Mi dici che è il caso di avere più informazioni possibili… ok!

    Ma non credo sarei riuscito ad avere da Bonelli l’importo che ha pagato per farsi colorale l’albo…

    Non so da dove tu abbia evinto queste informazioni ma posso anche darle per vere. Il punto è che non “c’azzeccano” con quello che dicevo io.

     

    Per esempio, il Tex Color è un annuale… mi sa che la questione della velocità non è proprio una scusante accettabile. Quella del “costo” neanche, visto che dubito che sia un fumetto a rischio…

     

    Inoltre non mi pare (anzi!) di aver voluto o aver offeso chi ha colorato l’albo. Parlo del colore che è stato usato come scelta editoriale e non come scelta del colorista e tutte le critiche vanno all’editore e non al colorista. Ho scritto che non vogliamo far gare o paragoni; non abbiamo postato una tavola “più bella” di quella stampata, abbiamo postato una tavola colorata con altri criteri editoriali. Sicuramente il colorista che l’ha realizzata (quella stampata) a parità di tempo e retribuzione sarebbe stato in grado di fare quanto da noi messo come “alternativa”.

     

    Mi fa piacere tu difenda il lavoro di chi ha colorato i Tex di Repubblica, ma non ce n’era bisogno, nessuno aveva sparato sul pianista…

     

    Detto ciò, il tuo blog è interessantissimo e suggerisco a tutti di darci un occhio; serve a capire tante cose e le tante scelte e decisioni che un colorista deve effettuare (e alle quali spesso nessuno pensa).

     

  3. Claudia Chec

    24 Settembre 2011 a 19:29

    (Ho apportato qualche modifica al mio messaggio precedente, se volete potete anche rimuoverlo ma avevo scritto di fretta e ci sono errori vergognosi :D e in questo ho aggiunto qualche punto)
    Preciso, io non ho la più pallida idea dei costi previsti nei contratti che Bonelli editore stipula con GFB, posso immaginare che non siano miseri anzi, ma questa è solo una mia supposizione, io ho conoscenza solo della realtà di GFB che è quella di un’agenzia di colorazione e impaginazione per conto terzi.
    Mi premeva precisare che ritenevo ingiusto e soprattutto un paragone troppo ardito confrontare quello che può fare un colorista francese o americano con tempi e paghe buone con il lavoro fatto da una ditta che come premura ha più che altro l’appiattimento dei singoli collaboratori ad uno stile unico, il rispetto dei tempi il raggiungimento del massimo profitti. Questo non per cattiveria ma perché è normale che sia così, se lavori come azienda il lavoro deve soddisfare il cliente ma non hai velleità artistiche o di distinguerti devi andare al chilo.
    Per fare un esempio gastronomico è come confrontare una torta di pasticceria con una confezionata al supermercato: la qualità sarà diversa così come prezzi e tempi di realizzazione.
    Questo non vuol dire che un prodotto con queste promesse non possa soddisfare il gusto del lettore…
    Ultima precisazione, io non voglio difendere nessuno, se devo esprimere un giudizio personale non amo per niente le palette usate nelle tavole stampate e non trovo così eccelse neanche quelle realizzate dal vostro colorista. Ognuno, quando fa un prodotto per il pubblico, a mio parere, si deve prende le sue responsabilità e il giudizio dei lettori, chi paga il tuo lavoro ha il diritto di criticare però, come scritto nel mio precedente messaggio, mi pareva giusto lasciare qualche informazione aggiuntiva che magari le persone non addentro a questo mestiere possono ignorare e invece mi pareva chiarissero come taluni passaggi di questo articolo sono “arditi”.

    • Davide Occhicone

      24 Settembre 2011 a 22:13

      Questo vuol dire che le pagine sono effettuate non da un colorista ma da un team di persone, le paghe sono molto basse e perciò è un lavoro che accettano spesso giovani ed inesperti e devono operare pure in tempi stretti insomma è un lavoro fatto al chilo. La casa editrici immagino abbia il vantaggio di non dover attendere i tempi di un lavoro svolto da un singolo professionista, né il dovere di controllare tempi e qualità di un collaboratore, questa è una ditta che garantisce il lavoro e i tempi e offre il prodotto finito per la stampa, un grosso vantaggio per l’editore.
      In primis dici che il lavoro è pagato poco. E che l’editore non ha il dovere di controllare la qualità del collaboratore

      Scrivo questo perché trovo giustissimo criticare i propri acquisti ma quando si vogliono fare paragoni è giusto avere più informazioni possibili sull’argomento.
      poi dici che per fare paragoni serve avere informazioni (che sarebbero quelle che avevi dato te)

      Preciso, io non ho la più pallida idea dei costi previsti nei contratti che  Bonelli editore stipula con GFB, posso immaginare che non siano miseri anzi, ma questa è solo una mia supposizione, io ho conoscenza solo della realtà di GFB che è quella di un’agenzia di colorazione e impaginazione per conto terzi.
      Poi dici che sicuramente, INVECE, Bonelli pagherà bene questo lavoro. ma che conosci molto bene chi lo fa.

      Mi premeva  precisare che ritenevo ingiusto e soprattutto un paragone troppo ardito confrontare quello che può fare un colorista francese o americano con tempi e paghe buone
      Poi dici che é ingiusto confrontare con un colorista americano con tempi e paghe buone. Ma il tex color é annuale e la paga hai appena detto che non pensi sia malaccio…

      con il lavoro fatto da una ditta che come premura ha più che altro l’appiattimento dei singoli collaboratori ad uno stile unico, il rispetto dei tempi il raggiungimento del massimo profitti.
      Ma piú che altro é ingiusto paragonare con una società (che colora gli albi) il cui fine é l’appiattimento dei collaboratori (che indichi pagati una miseria) e il profitto. Poi fai un esempio.Ma se hai detto che sicuramente Bonelli avrà pagato molto la colorazione, non ti stai contraddicendo? In sostanza, se non hai o vuoi dire dati certi per fare questo tipo di paragoni che senso ha? Se dici che anche la torta di supermercato costa molto (“non siano miseri anzi”) di che stiamo parlando?

      Ultima precisazione, io non voglio difendere nessuno, se devo esprimere un giudizio personale non amo per niente le palette usate nelle tavole stampate e non trovo così eccelse neanche quelle realizzate dal vostro colorista.
      Mi ripeto, non volevamo dire “il nostro colorista é migliore del vostro”; volevamo far notare che la colorazione stampata é lontana anni luce da una colorazione “verosimile” moderna. Il giallo della camicia di Tex, sempre lo stesso tono, sempre immacolata, sempre luminosissimo anche di notte, é una scelta che non é del colorista. Il colorista non é l’oggetto del nostro discorso. É scelta editoriale, che preferisce esaltare, confermare, ribadire il “brand” del colore della camicia di Tex SOPRA la verosimiglianza del colore.

      Ognuno, quando fa un prodotto per il pubblico, a mio parere, si deve prende le sue responsabilità e il giudizio dei lettori, chi paga il tuo lavoro ha il diritto di criticare però, come scritto nel mio precedente messaggio, mi pareva giusto lasciare qualche informazione aggiuntiva che magari le persone non addentro a questo mestiere possono ignorare e invece mi pareva chiarissero come taluni passaggi di questo articolo sono “arditi”.
      A questo punto peró mi devi spiegare i tanti passaggi arditi, soprattutto visto che prima sostieni un punto e poi lo neghi…
      A me interessa parlare di scelte editoriali e mi pare che tu, non volendo, dicendo e negando, comunque mi stia dando ragione. Penso che la colorazione “normale” (non so come chiamarla, diciamo la colorazione alternativa da noi proposta che, per inciso, non porta via altro che lo stesso tempo di quella andata in stampa) sia una alternativa inspiegabilmente accantonata dall’editore che ha preferito (lui) tinte piatte e colori sempre uguali senza ombre e luci.
      Mi spiegherai quindi, spero, perché la mia richiesta di dare colorazione “normale” ad un albo annuale vada contro le condizioni di tempo (é annuale…) ed economiche.
      Questo volume si vendeva da solo e poteva essere l’occasione per fare qualcosa di diverso (meglio).
      Tu dici che é stata affidata a chi mira (cose che io non ho mai detto o pensato) a realizzare solo profitto sottopagando i propri collaboratori. Quindi come dire… vale meno perché costa meno? In tal caso avrei dovuto chiedere all’editore perché non avesse voluto spendere qualcosa in più. Ma questo non era il mio pensiero.
      Oppure, come hai detto, ribaltando in parte quanto avevi detto prima, questa colorazione é stata pagata comunque “non poco” e quindi si ritorna a quello che dicevo io, ovvero la scelta non é né di tempo né di risparmio ma solo “editoriale”, di “linea” editoriale…
      Insomma, per farla breve..
      1 mi sfugge il tuo contributo di chiarezza (dici che i coloristi son sottopagati come il “service” poi ritratti e dici che l’editore paga molto…. Decidiamoci. Se questa colorazione é economica e per questo “piatta” ed elemenare allora la soluzione é usare altri coloristi? Quindi per te non é scelta editoriale ma mera questione di vile pecunia? Sarebbe davvero svilente e offensivo per il piú grande editore italiano di fumetti e anche per le professionalità eccelse che realizzano i suoi fumetti. Ma ne sei sicura?)
      2 dove é che i miei ragionamenti (al momento, in privato, ho avuto solo “buoni” commenti, anche perché francamente mi pare di aver detto cose molto banali anche in maniera un po’ logorroica tra l’altro e quindi la prima critica ricevuta -la tua- mi interessava e mi interessa molto) risultano arditi?

  4. Claudia Chec

    25 Settembre 2011 a 01:18

    Scusami tanto volevo solo puntualizzare le alcune inesattezze o arricchire di qualche particolare tecnico il tuo articolo che mi pareva mancasse un poco di conoscenza dell’iter che porta alla realizzazione dei colori di un albo a fumetti e adesso trovo i miei messaggi da te esaminati per trovarci contraddizioni inesistenti se letti con serenità cercando di capire il significato(ad alcune parti mi pare tu abbia dato una interpretazione infinitamente distante da quello che ho realmente detto) o addirittura rileggi i miei pezzi per trovarci offese ad editori. Sembra che tu ti stia difendendo da me.
    Ecco questo è una svolta della discussione che non mi aspettavo e di cui facevo volentieri a meno.
    Buon continuo e semmai ti ricapitasse che un qualche professionista ti offra un suo punto di vista su questioni del suo lavoro ti consiglio di evitare di dargli addosso perché semplicemente questo non aprirà mai più i tuoi post come farò io. Ciao a tutti :)

    • Davide Occhicone

      25 Settembre 2011 a 09:59

      Ciao,
      Rileggo quello che scrivi per risponderti. Non vedo come altro fare…
      In ogni caso qui hai tutto lo spazio e nessuna censura per parlare.
      E anche il tempo per scrivere senza fretta.
      Se ho male interpretato potevi spiegarmi meglio…
      Quello che hai scritto é qui, ognuno se ne puó fare una sua idea su chi ha male interpretato chi.
      Resto con le due domande che ti ho fatto in “mano” senza avere tue risposte… Vivró anche senza.

      Per il resto, questo non é un post di blog. É un articolo di una rivista online che si occupa di fumetto. Non sai che enorme differenza c’é…

      Ah, ultima cosa. Mi spiace se ti ho dato addosso, davvero. Peró anche te questi passaggi arditi mi hai mica spiegato dove sono…

  5. Colorista

    25 Settembre 2011 a 19:04

    Trovo sia giusto fare paragoni (tecnici), come pretesto per ricercare di migliorare un prodotto, che ha una “responsabilità” editoriale, sia nei confronti della “storia del fumetto”, sia nei confronti del pubblico, vecchio e nuovo che lo legge, sia nei confronti, in questo specifico caso, del mercato di cui è “trascinatore”.
    Il punto in questione non è tanto camicia gialla o no, l’interessante questione è: “come ci si può evolvere?”, “come sopravvive il fumetto al rinnovarsi delle epoche e degli strumenti?”. Un’ “agenzia di colorazione e impaginazione”, a mio avviso, non ha molto senso in questo contesto, con questi presupposti e con un certo tipo di aspettative. Qui la “responsabilità” va ben oltre il “mero” concetto di “catena di montaggio”, c’è una cultura da difendere e rinnovare, a parità di tempi e soldi, ci sono nuovi risultati da DOVER raggiungere, in nome dell’amore per questo medium e di quello che può ancora offrire ai suoi lettori. I cambiamenti spaventano ma DEVONO essere considerati come INEVITABILI e metabolizzarli nella loro accezione più “creativa” e “migliorativa”. Il discorso di Claudia, a mio avviso, è un discorso sbagliato, perchè “al ribasso”.
    Quoto in pieno l’opinione, le idee, e le “proposte” di Davide.
    Mio modesto parere.

  6. Davide Occhicone

    26 Settembre 2011 a 10:37

    Il commento del colorista “anonimo” e le ultime cose dette da Claudia spostano l’attenzione, oltre che sulla scelta editoriale, anche su un obbligo “morale” da parte dell’editore di sfruttare al meglio il colore, “nobilitando” l’arte sia del colorista che dei disegnatori…

    Una deviazione al discorso iniziale molto interessante e molto “alta”…

     

     

    • gloria

      26 Settembre 2011 a 11:36

      – Il lavoro era ad ore, con tanto di timbro del cartellino in entrata e in uscita, come in un ufficio qualsiasi. 
      – I colori erano dati a percentuale (camicia tex= 100 Y e pantaloni tex = 60 C+ 40 M), tutti, non sono quelli di tex. Chi li decide non era dato sapere e non ce ne doveva fregare nulla(nel senso che quello era, di nostro non c’era e non ci doveva essere niente).
      -le disposizioni erano: colori piatti sui personaggi e sfumato (pochissimo) lo sfondo con toni meno saturi. 
      – Le paghe andavano in base al numero di tavole mensili partendo da una rendita minima di 4 basi giornaliere (e vi assicuro che con quel programmino che spero abbiano buttato/bruciato/fatto implodere era una tortura) che corrispondeva a 700 euro mensili netti. 
      – Dalla sua, la GFB, aveva la chiarezza: spiegavano le condizioni in maniera molto dettagliata e se non volevi tanti cari saluti senza nessun problema e pure con i conti e i contratti erano a posto. 

      Ora… parlo al passato per due semplicissime ragioni: non so se nell’ufficio sia cambiato o meno qualcosa e perchè io mi riferisco al lavoro svolto sulla serie uscita con Repubblica. 
      Del Tex grande non ho notizie. (anche se mi sembra uguale come “stile”…)

      Queste sono info dettagliate di come lavorava l’azienda sui tex di repubblica.
      *g

  7. Davide Occhicone

    26 Settembre 2011 a 11:49

    Ciao “gloria”, grazie per il messaggio. Non era “fondamentale” sapere costi e ore di lavoro, ma nel mio discorso si puntava (giustamente, mi sembra di capire) sulla possibilità che le scelte di colore fossero decise dall’alto. Quindi con scelta editoriale.

    Ma oggi, come saprai, all’Editore con la “E” maiuscola non possiamo dire più nulla, visto che ci troviamo a raccogliere i cocci della nostra tristezza vista la bruttissima notizia della morte di Sergio Bonelli…

  8. Colorista

    26 Settembre 2011 a 13:09

    I dettagli chiariti da Gloria sono perfettamente consoni e “sensati”, legati al discorso del Tex di Repubblica, dove le pagine da realizzare erano veramente tantissime e quindi bisognava lavorare a catena di montaggio. Ma tutto cambia se analizziamo la cosa dal punto di vista della “nuova collana a colori”, come giustamente ha sottolineato e cercato di focalizzare Davide con il suo articolo, “occasione mancata” è sicuramente la parola chiave.

  9. gloria

    26 Settembre 2011 a 13:18

    la questione monetaria e quella temporale sono fondamentali invece. In un’azienda come nel lavoro del colorista, come in qualsiasi altro. Perchè se non ricordo male in 30 giorni almeno un paio di albi se non di più dovevano essere finiti, impaginati e stampati…

    continuo a non capire, come nella tua risposta precedente al colorista anonimo, l’uso che fai delle virgolette…e non mi pare sinceramente un offesa alla memoria di Sergio Bonelli ne tanto meno ritengo inutile argomentare delle scelte editoriali che, in quanto tali, tengono perfettamente conto di soldi e tempo. 

    per oggi quindi RIP all’Editore e speriamo di continuare a parlare delle “sue” opere.

  10. Davide Occhicone

    26 Settembre 2011 a 13:27

    Accidenti, di male in peggio. Pare che con i coloristi abbia problemi a farmi capire.
    Cara Gloria, di che virgolette parli?

    In ogni caso la questione economica è imoportante, ma io stavo parlando del Color Tex, Gloria. Albo unico. Singolo. Annuale. Dubito che pagare un tot a tavola in più potesse creare problemi economici. Del tempo non ne parlo neanche. Quindi la scelta per il Color Tex è editoriale e non del colorista.

    Ma mi sembra di ripetere sempre le stesse cose come un disco rotto.. :-D

    E poi guarda che non ho detto che è una offesa parlarne (delle scelte editoriali, visto che è un argomento che ho messo in mezzo io con questo articolo) ma che a questo punto, visto che invitavo l’editore a prendere nota di queste mie riflessioni, essendo una giornata terribile per la casa editrice e per i lettori tutti, questa richiesta mi sembra da mettere in sospeso…

     

  11. Davide Occhicone

    26 Settembre 2011 a 13:38

    PS mi dicono che forse Gloria si possa essere offesa per le virgolette al suo nome.
    In tal caso tengo a precisare che di solito a chi non si firma con nome e cognome tendo sempre a virgolettare il nome (in questo caso “gloria”) per mia abitudine. Sarà che odio i nickname…
    Non era mia intenzione offendere. Ciao!

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