Paranoia: psicosi caratterizzata dallo sviluppo di un delirio cronico (di grandezza, di persecuzione, di gelosia, ecc.), lucido, sistematizzato, dotato di una propria logica interna, che non è associato a allucinazioni, e non comporta deterioramento delle funzioni psichiche al di fuori dell’attività delirante.
(Vocabolario online Treccani)
Rorschach è una serie limitata di 12 albi, pubblicati da DC Comics nella collana Black Label fra ottobre 2020 e settembre 2021 e firmati da Tom King (testi), Jorge Fornés (disegni), Dave Stewart (colori), Clayton Clowes (lettering) e curata da James Rich. In Italia è stata proposta da Panini Comics, curata da Antonio Solinas (qui l’intervista di Salvatore Vivenzio: www.lospaziobianco.it/deadmanwalking/due-domande-sul-rorschach-di-tom-king-ad-antonio-solinas).
Il racconto è ambientato nel mondo di Watchmen, 40 anni dopo gli eventi della serie di Alan Moore, e segue l’indagine su un fallito tentativo di uccidere Turley, candidato di estrema destra alla presidenza USA, che sta raccogliendo grandi consensi in patria e sembra possa sconfiggere il presidente in carica Robert Redford. Questi aspira al suo quinto mandato consecutivo e ha la sua forza elettorale nei territori del Vietnam, che in questo mondo fanno parte degli Stati Uniti. Ad organizzare l’attentato, una ragazza di diciannove anni, Laura “The Kid” Cummings, proveniente da Hanna, cittadina mineraria da tempo in decadenza, e Wil Myerson, autore di fumetti (“Le Avventure di Pontius Pirate“, storia di ambientazione piratesca simile a quelle che cadenzavano Watchmen).
Al momento dell’attentato, la prima indossava una maschera a mezza faccia e il secondo una maschera da Rorschach. L’indagine è commissionata a un investigatore privato dal responsabile della campagna di Turley, Alan: il punto cruciale è capire se Laura e Mayerson fossero effettivamente due schegge impazzite o fossero stati in qualche modo aiutati da Redford. Lo sviluppo del racconto è basato sull’utilizzo di due elementi, l’uno organizzativo, che guida la messa in scena e l’intreccio, l’altro tematico, che funge da motore per la vicenda; l’opera che ne emerge è al contempo legata e autonoma da Watchmen.
Investigare e spiegare
Un problema strutturale che i racconti investigativi devono affrontare è come condividere con il lettore l’accumulo di informazioni e scoperte progressive che portano allo scioglimento dell’intreccio. Poiché la profondità di questo è generalmente proporzionale alla quantità di relazioni da spiegare, una vicenda che catturi l’attenzione richiede una grande quantità di chiarimenti e spiegazioni. La sfida diventa allora quella di inserire organicamente le informazioni nel tessuto narrativo. L’appesantimento dell’esperienza di lettura causato dai blocchi di spiegazioni che ripercorrono gli eventi (i cosiddetti “spiegoni”) indica che questi sono percepiti come inserzioni funzionali ma intrusive nel flusso narrativo. Nei casi peggiori, possono perfino apparire come delle sorte di appendici, dove si tirano i fili in maniera analitica, staccata da qualsiasi azione narrativa (limitandosi alle opere di King, un esempio di lettura che soffriva di un simile appesantimento è Heroes in Crisis (qui la recensione: www.lospaziobianco.it/heroes-in-crisis-quale-crisi). In Rorschach, lo sviluppo dell’indagine è mostrato facendo dialogare il protagonista con i due attentatori, in un vero e proprio teatro della mente. Quello che è un luogo ricorrente della narrativa d’investigazione (“mettersi nella mente dell’assassino”) diventa una sorta di proiezione maieutica nella quale l’analisi razionale degli elementi, delle loro relazioni e delle fonti, funzionale a capire la meccanica del complotto, si arricchisce passo dopo passo con l’empatia verso i due emarginati, necessaria ad afferrarne le motivazioni e i processi mentali. Le domande dell’investigatore focalizzano luoghi d’ombra, dai quali emergono personalità distorte, intrecci e una serie di manipolazioni innestate l’una nell’altra, nutrite di paranoia, arroganza e perfino consapevolezza dell’essere strumenti di trame altrui.
Attraverso questa costruzione, i mondi di Laura e Wil si definiscono dettaglio dopo dettaglio e prendono consistenza; il racconto delle loro relazioni (di Laura con il padre e con il passato della sua città natale; di Wil con il proprio successo, con i propri vicini, con il gruppo di “ascoltatori delle voci dallo spazio”) danno loro vita, perché ognuno di quei momenti che riviviamo ha marcato il loro animo. Soprattutto, le loro biografie giustificano la loro affinità elettiva, la specifica, tragica e al tempo stesso bizzarra, attrazione che li porta a incontrarsi e infine a lavorare insieme. Laura e Wil cercano qualcosa che dia completezza alle loro vite: per l’autore di fumetti si tratta di far vivere nella realtà gli ideali che ha da sempre cercato di trasmettere attraverso le sue opere; per la ragazza di Hanna si tratta di trovare un senso a tutti quegli anni in cui è stata cresciuta da un padre paranoico e omicida, anni passati fra addestramenti di tiro e previsioni di invasioni aliene. Uccidere Turley darebbe finalmente senso a tutta la loro esistenza, poiché sarebbe la realizzazione di un atto di giustizia, capace di salvare il mondo dalla minaccia aliena.
Alla luce del finale, il senso di questa drammatizzazione, nella quale l’investigatore interroga ogni indizio, cambia le prospettive dell’indagine, entra nella vita di Laura e Wil, individua ogni tassello e lo combina con gli altri, è quello di mostrare lo scivolamento progressivo, lento ma continuo, del protagonista in quella disperazione paranoica che ha nutrito il disegno omicida dei due attentatori. Al climax di questo processo è dedicato il capitolo 11, nel quale il confronto con le immagini mentali di Laura e Wil sfugge al controllo del protagonista e, da strumento di investigazione, diventa ondata di pensieri ed emozioni che lo travolge (e travolge, a tratti, il lettore stesso), facendo sì che lo spirito che aveva posseduto i due attentatori entri in lui o, meglio, secondo le parole dei collaboratori di Laura e Wil che aveva interrogato in precedenza (“Oh. Sei tu. Ti stavo aspettando.“, cap. 8), ciò che finalmente avviene è che lui accetta la presenza di quello spirito nel proprio animo, lo ascolta e se ne lascia guidare.
L’illuminazione che colpisce l’investigatore è che i due fossero in qualche modo consapevoli di essere manipolati e quindi avessero agito in modo da lasciare tracce tali da consentire di risalire al mandante, come in una sorta di fallback del loro piano di eliminare Turley. Questo piano di secondo livello è d’altra parte coerente con la loro visione della trasmigrazione di un sedicente spirito di Rorschach, che cerca sempre un ospite per potersi manifestare e agire. In questa ottica, il loro piano crea un canale di trasmigrazione e trova un ospite per la successiva incarnazione.Da una parte, la risultante di questa organizzazione è che, poiché l’acme del racconto e il discioglimento dell’indagine è nel capitolo 11, il finale è del tutto anticlimatico: necessario, sì, perché, se è vero che quanto accade non è scontato – dato che lo spirito e i pensieri profondi dell’investigatore ci rimangono inaccessibili per tutta la serie -, si limita a dar corpo a una possibilità fatta emergere con chiarezza. Ne offre un’esposizione chiara e distaccata, senza ulteriori problematizzazioni: è la resa del funzionamento di un ingranaggio, pura meccanica, senza alcuna dinamica. Dall’altra, il finale non rimuove il senso di disorientamento, generato dalle tante schegge di follia (apparente o manifesta) e amplificato dall’inserzione di eventi del nostro mondo “reale”. Tutta la vicenda resta avviluppata in una profonda incongruità e fonte di disagio: i personaggi di Rorschach si muovono secondo logiche sghembe, squilibrate. Disagi personali, traumi, ambizione reagiscono per generare una letterale e profonda paranoia e questa paranoia non viene risolta, ma anzi conferma la propria forza e capacità di muovere le azioni dei personaggi e, quindi, i destini del mondo.
Un focus su Watchmen, attraverso le lenti di Philip K. Dick e degli USA contemporanei
Rorschach mette in scena personaggi che vivono entro una visione complottista, a loro volta manovrati secondo un disegno, che intende costruire la falsa evidenza di un complotto. Siamo di fronte a una successione di scatole cinesi – o, meglio, di livelli di complotto – e la costruzione narrativa, che oscilla costantemente da un livello all’altro (indagine, riflessioni dell’investigatore, dialoghi con i due attentatori, dialoghi fra Turley e il suo responsabile), è tale da suscitare disorientamento, perché, partendo da una contrapposizione fra razionalità e paranoia, sfuma poco a poco questa distinzione, fino a farli collassare tutti in un unico stato ibrido, in cui le due cose coincidono.
Questa costruzione rimanda direttamente ad alcune opere di Philip K. Dick (per dare alcuni titoli; I simulacri, Radio Libera Albemuth) e il parallelo è ulteriormente supportato da alcuni dettagli, quali la presenza di personaggi reali riferiti con le loro identità (Robert Redford, Frank Miller, Otto Binder), la registrazione delle voci dallo spazio tramite un registratore a nastro – elemento esemplare in questo senso, poiché è tratto dalle biografie degli autori in scena – e l’idea che questa possa in qualche modo essere la voce dei morti, il cui spirito è tenuto in vita da una civiltà aliena, o, addirittura, di Dio. Il parallelo con l’approccio di Dick è utile non tanto come ipotesi di ispirazione quanto perché mette in evidenza quella che per noi è la strategia narrativa fondamentale di Rorschach: indurre uno sfasamento cognitivo. Il racconto ci propone una combinazione di elementi di realtà e di finzione, che tuttavia in esso godono dello stesso status e questa miscela ricrea esattamente l’esperienza della percezione paranoica, che tenta di connettere causalmente elementi reali e non, in una costruzione dall’apparenza razionale. In questo senso, Rorschach è quindi una focalizzazione di Watchmen dal punto di vista sia strutturale sia tematico. Ricordiamo, infatti, che nel racconto di Moore Rorschach si rifiuta di stare al gioco di Ozymandias e alimentare il complotto, ma diventa di fatto attore principale di una narrativa complottista allorché il suo diario finisce in mano a The New Frontiersmen, un quotidiano di estrema destra che vive di complottismo. E quindi, in questa sorta di mise en abyme dell’idea di complotto, alla fine Rorschach diventa il “volto” di chi sa la vera verità, secondo lo stereotipo del discorso complottista. L’attualizzazione dell’opera di Moore è realizzata muovendo dal suo finale e sostituendo alle ansie dell’era atomica le nevrosi del complottismo che pervade il nostro presente.
Il folle paranoico Rorschach incarna lo spirito del tempo presente e per questo diventa un plausibile riferimento per le anime smarrite, in cerca di qualcosa che dia senso alla loro percezione del mondo. La sua figura si ricollega anche alla miniserie televisiva del 2019 creata per HBO da Damon Lindelof, in cui Rorschach diventa simbolo del suprematismo bianco, concretizzazione in chiave razziale di quel sentimento paranoico strisciante che agita una parte del paese. In tutti questi racconti, il motore ultimo è il tentativo di razionalizzare una situazione che appare indecifrabile e fuori controllo; a cambiare è il livello del tentativo di razionalizzazione/controllo: geopolitico nell’opera matrice, politica interna statunitense in quelle derivate, mutazione di prospettiva anch’essa facilmente catalogabile come manifestazione dello spirito dei tempi, a conferma del fatto che ogni epoca ha il suo Rorschach. In questo senso, passando dalle mani di Moore a quelle di King, l’universo narrativo di Watchmen mantiene intatta la sua potenza analitica della società statunitense contemporanea.
I fumetti ti spezzeranno il cuore, o forse diventerai solo pazzo
Uno degli elementi ricorrenti nei fumetti di Tom King è il riferimento al passato dei comics statunitensi, e in particolare dei suoi creatori. Un’attenzione (quasi ossessiva) che emerge già in Mister Miracle e che diventa palese in Strange Adventures. In particolare, merita sottolineare che in quest’ultimo l’epopea dei fumetti d’avventura sci-fi viene riletta attraverso una duplice chiave critica: non solo quella della cultura bellica sottesa a queste storie che l’autore sviluppa per analizzare la figura problematica dell’eroe di guerra, ma anche quella della sofferenza degli autori che hanno creato quelle storie, spesso sfruttati e sottopagati mentre creavano una mitologia senza tempo. In Rorschach questi riferimenti sono più criptici e, oltre a concorrere al senso di straniamento di cui sopra, ondeggiano tra omaggio e riflessione critica, senza trovare una sintesi efficace.
In questo senso, la figura di Meyerson che si inserisce in maniera complessa e tutto sommato organica nel discorso di King sul mondo del fumetto. Il riferimento usato dall’autore è chiaro ed esplicito, dato che Wil è ispirato alla vita artistica e personale di Steve Ditko, creatore di Doctor Strange e soprattutto di Spider-Man (a cui abbondano i riferimenti, tra cui una riproduzione della copertina di Amazing Fantasy 15 che vede in questo caso protagonista Pontius Pirate), ma anche dell’enigmatico e controverso Mr. A, creato nel 1967 e a cui Ditko è rimasto legato per tutta la vita, poiché vero e proprio suo alter-ego e incarnazione della sua aderenza totale all’oggettivismo di Ayn Rand, alla base dell’etica manichea dell’autore. Nel secondo capitolo, l’investigatore si trova di fronte ad alcune tavole di The Citizen (il “Mr.A.” di Wil Myerson) che riassumono il mondo chiuso, isolato, in bianco e nero, del suo creatore e che aiutano il protagonista a ricostruire alcuni tratti del presunto omicida: in questo caso, la rappresentazione di Myerson appare al contempo come un omaggio sui generis all’importanza, spesso dimenticata, di Ditko per l’industria di cui King fa parte, e anche una riflessione critica su quello stesso sistema che dimentica da dove viene, che abbandona chi per primo ha ideato e creato gli eroi di cui si continua a nutrire oggi. Inoltre, la figura stessa di Ditko si presta bene a fare da modello per un personaggio che, nelle condizioni giuste, rischia di scivolare in un vortice di complottismo strisciante e confuso, ma in linea con una propria idea forte di giustizia. Se tutto sommato questo capitolo riesce a tenere insieme l’avanzamento dell’indagine e il discorso metanarrativo di King (sebbene resti poco chiare la considerazione della figura stessa di Ditko), molto meno comprensibili e organiche a questo discorso sono le comparsate di Frank Miller e di Otto Binder, che non sembrano avere altro ruolo se non quello di creare la sorpresa e lo straniamento di cui abbiamo parlato sopra, mentre il riferimento alla storia dei comics americani appare in questo caso più come un vezzo autoriale che non come un effettivo elemento di ulteriore stratificazione della storia.
Il teatro dell’indagine e della follia
L’indagine raccontata da King è la ricostruzione di un rompicapo: in ogni sequenza abbiamo la definizione di un elemento e il suo inserimento nello schema generale, che viene eventualmente modificato in seguito a nuove scoperte e riflessioni. È un’operazione cerebrale, in cui ogni tappa è associata a un luogo preciso: la prigione, il ranch, il bar, e così via. Questa staticità spaziale definisce delle unità di spazio nel flusso racconto, che costituiscono l’ambientazione di scene di stampo fortemente teatrale, costruite su monologhi e dialoghi; da una parte, aumenta la focalizzazione sull’oggetto dell’indagine, dall’altra costruisce il profilo del protagonista, associandolo a tratti quali solidità e metodo.
Per capire questo effetto, può essere utile il confronto con la costruzione di The Human Target: qui l’indagine si nutre di spostamenti, che non solo determinano il ritmo del racconto ma, soprattutto, definiscono una temperie emotiva continuamente mutevole e caratterizzata da forte intensità dei sentimenti. In Rorschach, la temperatura emotiva è bassissima: anche dell’esperienza vissuta dai due attentatori viene messo in evidenza il processo che dalle ferite e dalle privazioni affettive porta alla deformazione del processo di riflessione razionale – questa peraltro è l’etimologia di “paranoia”. Nel rappresentare questa temperatura emotiva il ruolo di Jorge Fornés e Dave Stewart è fondamentale, prima di tutto da un punto di vista stilistico ma anche, e soprattutto, dal punto di vista narrativo. Lo stile di Fornés attinge a piene mani dalla scuola spagnola, con un tratto preciso e pulito, essenziale nel cercare di ottenere il massimo risultato con il minimo utilizzo di linee: uno stile che quindi ben si adatta a un fumetto in cui si procede per piccoli passi, e in cui anche i cambiamenti impercettibili delle espressioni raccontano un avanzamento, una lenta e inesorabile discesa in un abisso di follia che avviene senza che quasi ce ne accorgiamo.
Soprattutto nel capitolo 8 questo lavoro sull’espressività dei personaggi è decisivo e segna una svolta nel racconto: mentre il detective perde per la prima volta la calma e si lascia andare a eccessi di violenza, gli interrogati, potenziali complici di Molly e Myerson, inizialmente scossi e impauriti, rivelano pian piano la loro adesione totale alla missione di Rorschach. Allo stesso modo dell’essenzialità dei disegni, anche i colori di Dave Stewart concorrono a creare un’atmosfera tetra e opprimente, con toni cupi e sempre tendenti all’oscurità anche quando vengono scelti colori caldi: il capitolo 9 è in questo senso esemplare, con il passaggio tra un presente assolato dai colori ocra e un passato dai toni violacei, in cui il distacco è però minore di quello che ci si aspetterebbe, con i colori caldi che si tingono di un velo di cupezza mentre la narrazione procede a svelare un altro passaggio chiave (forse il più brutale) dell’intera vicenda.
Ma, come dicevamo sopra, il vero punto forte di Fornés e Stewart è nella costruzione narrativa, che segue sia logiche teatrali che altre prettamente fumettistiche, definendo l’unità spaziale e muovendosi poi sul piano temporale (una tecnica base del fumetto, magistralmente usata da Richard McGuire in Here, e che rappresenta una delle vere magie di questo medium). In ogni capitolo, ma soprattutto nel 2, 8 e 9, l’indagine si muove tra un “prima” e un “dopo”, mostrando gli stessi luoghi da due prospettive diverse, quelle del detective e quelle degli attentatori, in un gioco di lento disvelamento che si basa su meccaniche semplicissime, ma che sono costruite in modo tale da rendere l’indagine avvincente e tesa. Nel dettaglio, il capitolo 8 aggiunge a questo un layout di tavola meno classico e più decomposto, che si arricchisce anche di un codice colore per seguire meglio la narrazione dei tre indagati: anche in questo caso parliamo di una soluzione tecnicamente semplice, ma che è capace di rendere il colore parte integrante della narrazione, elemento fondamentale sia per aumentare la chiarezza del racconto che per aggiungere varietà alla forma narrativa.
Via via che ci si avvicina al termine, la struttura teatrale si fa sempre più forte: nel capitolo 11, la discesa finale nella follia del detective diventa un gioco di specchi mentali, di luci e ombre, ambientato nella mente dell’investigatore ma strutturato come se attori diversi si alternassero su un palcoscenico senza incontrarsi. Benché inondato di un testo a volte invadente, questo gioco narrativo risulta efficace nel costruire un certo pathos prima del finale. Il capitolo 12, infine, va anche oltre questa costruzione teatrale, spostando l’azione, sconcertante e brutale, dall’ipotetico palcoscenico alle quinte , con una narrazione sottrattiva, quasi a intendere che in fondo non serve veramente vedere quello che succede, ma accettare semplicemente che Rorschach è una presenza reale, che forse Rorschach siamo tutti noi.
Il Rorschach che è dentro di noi
Arrivati alla conclusione della lettura, Rorschach lascia nel lettore molti dubbi e domande, la sensazione di aver fatto un viaggio in una follia lucida e metodica che ci sembra familiare, perché affine a quella paranoia complottista che demolisce la distinzione fra indagine investigativa, ricerca e costruzione narrativa strumentale che sperimentiamo quotidianamente nei flussi di comunicazione. In questo senso, la vicenda imbastita da Tom King, quando non cerca di gareggiare sul piano letterario con il Bardo di Northampton, riesce a richiamare le atmosfere di Watchmen rendendole attuali: uno specchio della nostra realtà, uno specchio in cui rivediamo il nostro volto, che è quello di Rorschach, l’unico (anti)eroe possibile per questi tempi bui.
Abbiamo parlato di:
Rorschach
Tom King, Jorge Fornés, Dave Stewart, Clayton Clowes
Traduzione di Leonardo Rizzi
Panini Comics, 2022
312 pagine, rilegato, colori – 33,00 €
ISBN: 9788828721727