Raccontare il cancro con ironia: “Triplo Guaio”

Raccontare il cancro con ironia: “Triplo Guaio”

Isabella Di Leo scopre di avere un cancro al seno. L’inizio di un periodo durissimo, che mesi dopo sublima in un webcomic in cui tratta l’argomento con ironia, pubblicato ora da BeccoGiallo in un volume con materiale inedito: "Triplo Guaio".

Isa è una ragazza qualunque che un giorno riceve la visita inaspettata di un vero e proprio mostro, alto e massiccio, con il muso schiacciato e provvisto di lunghe zanne. Un essere molesto, sarcastico e infettivo, che si installa in casa di Isa imponendole la sua presenza, complicandole l’esistenza a più livelli e obbligandola a opporre controffensive per allontanarlo.

Inizia così Triplo Guaio, webcomic di Isabella Di Leo (qui la nostra intervista) che diventa ora un vero e proprio volume, edito da BeccoGiallo.
L’ingombrante coinquilino di Isa – avatar a fumetti dell’autrice – altri non è che la rappresentazione grafica di un tumore al seno, malattia da cui la disegnatrice è stata colpita nel 2017 e che l’ha costretta a un 2018 di cure, come spiega lei stessa nella prefazione del libro.
È quindi all’insegna della metafora che si dipana Triplo Guaio, un modo ironico per raccontare un’esperienza tutt’altro che leggera.

Un percorso metaforico

Il format prevede una struttura a capitoletti, in maniera non molto dissimile da quanto fatto dal primo Zerocalcare; a differenza dell’impostazione di quest’ultimo, però, gli episodi di Triplo Guaio appaiono maggiormente organici e connessi gli uni con gli altri, fin dalla prima apparizione sul blog triploguaio.it
Le varie storie seguono infatti un percorso cronologico e ragionato dell’esperienza vissuta dall’autrice: dall’arrivo dell’ospite indesiderato alla risonanza magnetica per determinarne grandezza e caratteristiche, dai disagi derivati dalla chemioterapia all’intervento operatorio.

Questa esposizione ordinata dei fatti e la brevità di ogni racconto permettono al fumetto di essere piuttosto sintetico e particolarmente incisivo nel trattamento di determinati concetti e di rappresentare un vero e proprio percorso narrativo che, pur non esente da qualche momento meno ispirato, è coerente e parallelo con quello reale che deve affrontare un malato.

Tale approccio programmatico viene esaltato dall’inventiva dell’autrice, che porta a uno sviluppo metaforico capace di convertire in immagini ironiche e dissacranti molto di quello che ha vissuto nel corso del 2018. L’idea stessa di dare un’identità corporea a QBM (acronimo di Quel Brutto Male, modo indiretto che spesso la gente usa per parlare di tumore), per quanto non sia forse originalissima di per sé, viene portata avanti in maniera intelligente e riuscita: nella caratterizzazione di questo co-protagonista risiede infatti uno dei migliori risultati dell’opera.

Il mostro appare dotato di comportamenti fastidiosi e di un atteggiamento indisponente, come se si trattasse davvero di un normale coinquilino molesto, con un mezzo sorriso strafottente e la capacità di guastare molti elementi del quotidiano. Ma, in momenti ben precisi, sa anche essere seriamente temibile e pericoloso, dimostrando di essere qualcosa di più di un semplice fastidio e ottenendo quindi una caratterizzazione completa e una trasposizione credibile, benché sempre cartoonesca.

Oltre QBM, è l’intero piglio con cui l’autrice gestisce il tono narrativo a essere apprezzabile: il gusto per le citazioni nerd, la capacità di costruire le micro-trame in un crescendo che culmina con la gag nell’ultima vignetta, la lucidità con cui isola certe situazioni trasformandole in scene paradossali e divertenti sono tutti pregi sui quali il fumetto può contare, sempre nei limiti del buongusto e con il rispetto verso la realtà di riferimento che solo chi ha effettivamente affrontato questa esperienza può avere.

Di tanto in tanto, inoltre, emergono capitoli meno improntati all’ironia e più malinconici, come quello in cui si riflette sull’allontanamento di un amico dopo l’arrivo di QBM, che spiccano per contrasto ma che appaiono comunque integrati nel complesso.

Il punto debole di Triplo Guaio si ha nei casi in cui alcuni concetti vengono introdotti in maniera troppo veloce e poco contestualizzata, di modo che – al di fuori di chi conosce le denominazioni e gli effetti delle cure anti-tumorali – i lettori rischiano di non comprendere appieno il giochetto metaforico, rendendo meno efficaci quei determinati passaggi.
È il caso del capitolo sulla capecitabina1, introdotta come un agente segreto con tanto di completo nero che interviene contro QBM, ma senza nessuna connotazione in grado di spiegarne in modo chiaro nome e caratteristiche.
Anche il personaggio di Masute Kitomi, ninja che fa il verso alla mastectomia2, potrebbe non essere facilmente interpretabile dal lettore medio e forse anche quello più “addentro” a queste dinamiche potrebbe comprendere il riferimento solo verso la fine di quel capitolo, quando la lama che il guerriero sguaina e i suoi effetti rendono un po’ più chiaro il parallelo.
La comprensione del primo livello di lettura non ne viene intaccata, ma si perde inevitabilmente un substrato che sarebbe stato invece interessante preservare.

Dal punto di vista del registro ironico, invece, sono pochi i momenti di incertezza: si segnalano soprattutto alcuni dialoghi un po’ troppo lunghi, che rischiano di smorzare l’effetto dell’umorismo verbale, ma si tratta di rari episodi in un approccio umoristico generalmente ben gestito.

L’impostazione del libro

Come spesso accade con i webcomics che approdano sulla carta stampata, anche Triplo Guaio approfitta di questo passaggio per aggiungere diverse tavole inedite, pensate apposta per il libro e che servono a dare maggiore unità al materiale presentato.

Si tratta in particolare di una cornice costituita da un prologo, un interludio e un epilogo e di alcune storie supplementari che approfondiscono temi extra come il pensare di essersi in qualche modo meritati il cancro, l’accettazione della perdita dei capelli a causa della chemioterapia e l’origine genetica di QBM.
Quest’ultimo episodio in particolare risulta d’effetto perché Isa tratta il tema della mutazione BRCA1, causa genetica del tumore che l’ha colpita, e lo fa con straordinaria delicatezza e senza rinunciare alla capacità di traslare il concetto nel suo universo fumettistico: BRCA diventa così il nome di una specie di “canile” per tumori, in una scena che risulta intensa senza essere forzatamente drammatica e che costituisce quasi una suggestiva storia di origini alla maniera dei fumetti supereroistici.

Anche le parti di raccordo sono significative, perché attraverso la metafora della barca in mare, legata al molo da un nodo difficilmente districabile e su cui si trova Isa, comunicano in maniera solida una condizione di patimento, incertezza, speranza e timore che accompagna diverse fasi del percorso di un malato.

Ma senza dubbio il punto più alto di tutto il progetto è rappresentato dal capitolo Traumi, posto in conclusione subito prima dell’epilogo, dove l’autrice cambia le regole del gioco senza tradirlo.

QBM mostra a Isa tutto quello che ha passato nel corso dei mesi, le sbatte in faccia ogni singolo ricordo doloroso da quando è iniziata la loro “convivenza”: la scoperta del tumore, il confronto con genitori, compagno e amici, la paura, le lacrime, la solitudine, l’ospedale, le attese, la chemioterapia, le conseguenze sul proprio corpo.
In questa dolorosa discesa nel personale calvario di Isa il colore sparisce dalle pagine, sostituito da un bianco e nero piatto che sta a testimoniare la durezza della realtà, la sofferenza che accompagna il malato che deve combattere il cancro.

Sono tavole emotivamente molto forti, dove la fumettista ha messo a nudo il proprio dolore ed è riuscita a trasferire sulla pagina sentimenti e pensieri per nulla facili né retorici, bensì concreti, sofferti e che arrivano in tutta la loro durezza al lettore.

Non è un rinnegare l’approccio con cui l’autrice ha realizzato tutto il resto di Triplo Guaio, ma è anzi la chiave di lettura dell’intera opera, il piano programmatico di questo fumetto: perché Isa reagisce a questi aspetti, drammaticamente reali, con pensieri positivi, con la straordinaria abilità di riuscire a trovare il buono anche in un’esperienza orribile come questa, attingendo dai rapporti umani che si sono rinforzati o creati e alla maggior consapevolezza di sé e della propria forza.

È la volontà di inquadrare sotto una luce più positiva una situazione che sembra non offrire nessuna possibilità, e quindi rappresenta in qualche modo il senso ultimo di un fumetto che prova ad affrontare con il sorriso una tematica di questo tipo.

Rappresentazione di un tumore

Per quanto riguarda il disegno, lo stile di Isabella Di Leo è decisamente cartoonesco e sintetico.
Le linee essenziali sono debitrici dell’estetica dei cartoni animati contemporanei, in particolare di quelli di Cartoon Network, che fanno dell’immediatezza grafica una delle loro caratteristiche principali.
Nel rappresentare i personaggi umani e la propria versione fumettosa, l’autrice segue quindi queste influenze, mischiate a quelle di certo fumetto comico italiano e del manga, specie in alcuni eccessi grafici e nelle espressioni deformed che ogni tanto fa assumere alla protagonista.

Un tratto che è naturalmente adatto al tipo di fumetto, che vuole essere scanzonato e ironico, e che nelle scene più movimentate o nelle pose più esagerate trova sicuramente i momenti più felici; di contro, mostra qualche rigidità di troppo nelle situazioni più tranquille, soprattutto nelle pose di braccia e gambe.
In particolare, proprio la cornice pensata per il cartaceo sembra accentuare questo aspetto, segnando forse una prima evoluzione nella ricerca di un proprio stile: i contorni del viso appaiono molto più netti e meno morbidi di quanto visto nel resto del volume, un effetto forse voluto per differenziare maggiormente queste parti di raccordo tra i capitoletti, ma non sempre riuscito.

La sintesi del disegno si rivela anche nella quasi totale assenza di sfondi: salvo rari casi, le vignette non presentano ambientazioni di sorta alle spalle dei personaggi, ma degli indistinti scenari colorati, con una scelta di campo non rara nelle vignette pensate per il web o in quelle satiriche. In questo modo si focalizza l’attenzione sui personaggi, su quanto accade loro e su quello che dicono, ma una maggiore attenzione verso gli ambienti avrebbe dato un quid maggiore alle tavole.

Anche perché, nelle occasioni in cui invece si vedono elementi che contribuiscono a caratterizzare gli spazi d’azione, l’autrice dimostra di saper raffigurare oggetti, edifici e interni in uno stile che, benché molto semplice e stilizzato, appare funzionale al contesto, come quando Isa è appoggiata alla ringhiera del Naviglio o quando si intravede l’arredo della sua abitazione.
Sono i momenti in cui il tratto della disegnatrice si mostra senz’altro più acerbo, rispetto alle figure umane e animalesche sulle quali ha evidentemente investito di più, ma che mostra al contempo buone potenzialità.

In questo è aiutata anche dall’uso del colore, che denota un approccio piuttosto personale.
L’effetto “smatitato”, dove le campiture pastello non appaiono perfette e uniformi ma lasciano qua e là dei “graffi” bianchi, contribuisce fortemente alla genuinità e alla freschezza con cui si presenta questo lavoro. Una finezza che, per quanto non del tutto inedita, in questa modalità diventa immediatamente cifra stilistica che potrebbe dare riconoscibilità al disegno di Isabella Di Leo nelle sue prossime opere.

Infine, una breve analisi la merita la struttura delle tavole. La gabbia è completamente libera, privilegiando vignette grandi, quadrate o rettangolari ma adattandone la dimensione a seconda del passaggio narrativo, non disdegnando splash-page o anche sequenze di vignette molto piccole, usate per sottolineare un cambiamento di umore da parte della protagonista. In alcuni casi si spargono sulla pagina in maniera asimmetrica, per suggerire il racconto di aneddoti separati gli uni dagli altri e che si esauriscono appunto nello spazio di un singolo riquadro.

Spesso le vignette sono prive di contorno e delimitate solamente dal colore di sfondo, ma quando il bordo è presente appare “a mano libera” e non perfettamente squadrato, secondo la lezione di molti webcomics degli ultimi anni.
La lettura non è mai compromessa da questa gestione degli spazi, risultando invece chiara e rivelandosi efficace nel dettare il ritmo dei diversi passaggi del racconto.

Triplo Guaio è quindi un’opera fresca, diretta e riuscita. Il suo merito è quello della sincerità con cui, tramite la mediazione della fantasia, Isabella Di Leo ha saputo raccontare qualcosa di molto difficile. Un’opera prima che evita alcuni dei difetti tipici degli esordienti perché l’autrice ha evidentemente messo il cuore al primo posto, mentre scriveva e disegnava, e la cosa si avverte in più punti.
Un fumetto non privo di imperfezioni, forse anche di un briciolo di ingenuità, ma che ha dalla sua una grande forza comunicativa.

Abbiamo parlato di:
Triplo Guaio
Isabella Di Leo
BeccoGiallo, 2019
175 pagine, brossurato, colore – 16,50 €
ISBN: 9788833140582


  1. agente chemioterapico appartenente alla classe dei farmaci cosiddetti antimetaboliti, sostanze che esercitano un’azione tossica a livello cellulare, provocando in tal modo la morte delle cellule tumorali che seguono un programma autonomo di riproduzione 

  2. asportazione chirurgica della mammella 

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