Fumetti vs. cancro: intervista a Isabella Di Leo

Fumetti vs. cancro: intervista a Isabella Di Leo

Esce per BeccoGiallo “Triplo Guaio”, versione cartacea del webcomic di Isabella Di Leo in cui ha riversato con ironia la sua esperienza dell’anno scorso, quando le è stato diagnosticato un tumore al seno. Abbiamo colto l’occasione per intervistare l’autrice.

Classe 1988, Isabella Di Leo è da sempre appassionata di fumetto, videogiochi, film e serie TV. Diplomata in grafica pubblicitaria, ha da sempre lavorato in questo campo, ma lo sguardo era perennemente rivolto verso un altro orizzonte: il fumetto. Nel 2018 crea il webcomic Triplo Guaio (www.triploguaio.it) in cui racconta in chiave ironica e metaforica ciò che ha vissuto quando ha scoperto di avere il cancro al seno. Il fumetto è presente anche sui social www.facebook.com/nuttyisa e www.instagram.com/nuttyisa
Nel 2019 lavora ad altri progetti fumettistici legati al campo dell’oncologia pediatrica.

Con l’uscita in questi giorni della versione cartacea di Triplo Guaio, edita da BeccoGiallo, abbiamo contattato l’autrice e le abbiamo fatto qualche domanda sulla sua esperienza e sul suo lavoro.

Ciao Isabella, e grazie per la tua disponibilità.
Da dove nasce la tua passione per il fumetto e per il disegno?
Come spesso accade con questo tipo di passioni, i primi “sintomi” sono apparsi quando ero alle elementari: copiavo le copertine di Topolino, ritraevo amici e parenti, cominciavo a disegnare anche le prime strisce. Purtroppo però in famiglia la cosa non è mai stata ben accolta durante il periodo scolastico, hanno sempre pensato mi distraesse dallo studio e da opportunità lavorative più sicure. Quindi non ho mai frequentato accademie né seguito corsi; è rimasta semplicemente la mia più grande passione, la mia piccola oasi di tranquillità dopo le giornate lavorative in ufficio. Ma quest’anno il mio sogno si è realizzato grazie a BeccoGiallo che ha creduto nel mio lavoro.

Perché hai deciso di mettere sotto forma di fumetto l’esperienza con il tumore al seno che hai vissuto lo scorso anno?
Perché, come dicevo poco fa, il disegno è sempre stata la mia piccola oasi di tranquillità. Quando ero ragazzina e le cose a scuola non andavano bene mi sfogavo così, facevo le caricature dei professori che secondo me si erano comportati ingiustamente, le mostravo agli amici e tutti ridevano di gusto (un po’ meno i professori quando lo scoprirono).
Quando mi è stato diagnosticato il tumore alla mammella mi è scattato lo stesso meccanismo nel cervello, ma devo dire che non è accaduto subito, ci ho messo qualche mese a ritrovare un po’ di serenità interiore e il coraggio di mostrare in disegni le mie emozioni.
È accaduto in maniera graduale. L’ispirazione è senz’altro giunta anche grazie ad Angela, una volontaria che mi è stata accanto fin dal primo giorno, una persona allegra, stupenda, che col potere della parola e del buon umore mi ha aiutato a vedere il giorno delle cure come un giorno qualsiasi. Poi, una sera dei primi giorni di luglio dell’anno scorso, ho battuto un pugno sul tavolo e mi sono detta che ero stufa di sentirmi così abbattuta e avrei fatto qualcosa. In testa mi è balenata una domanda: “che aspetto avrebbe il mio tumore se fosse un personaggio dei fumetti?”, e così di getto è nato QBM (acronimo di Quel Brutto Male). Le strisce sono ironiche perché ho sempre avuto uno humor abbastanza dark, per me si può fare ironia su qualsiasi sfortuna la vita ci riservi, con la giusta delicatezza… e ha funzionato! A ogni striscia che disegnavo mi sentivo sempre un pochino meglio, fino a quando ho cominciato a vedere la luce in fondo a quel tunnel nero in cui ero entrata dalla diagnosi.

Non è il primo fumetto che affronta il tema (pensiamo a Il cancro mi ha reso più frivola di Miriam Engelberg, per esempio), eppure l’argomento per certi versi, come quello della malattia in generale, è un piccolo tabù della nostra società. Quanto in Triplo Guaio è nato per sostegno personale e quanto per sensibilizzare o esser vicina ad altre persone malate?
L’una è stata una conseguenza dell’altra cosa.
È nata come un’attività personale, fatta per sentirmi meglio. Mano a mano che pubblicavo le strisce sui social, però, hanno cominciato a lasciarmi commenti anche altre persone che stavano affrontando lo stesso problema, dicendo che si sentivano rappresentate da ciò che disegnavo, che stavo dando loro una voce. Altre mi dicevano che grazie alle mie strisce stavano affrontando la malattia con più allegria. Questi commenti mi hanno molto emozionata, non avrei mai pensato che un mio sfogo personale potesse aiutare qualcun altro. Tra le persone che mi seguono non ci sono solo pazienti però, ci sono anche individui che magari hanno avuto un amico o un parente che ci è passato, o addirittura persone completamente estranee a questa malattia ma che sono rimaste comunque colpite dalle strisce. E così ho semplicemente continuato per la mia strada. Ma hai ragione quando dici che purtroppo l’argomento è ancora molto tabù, alcune persone che ho conosciuto hanno voluto tenere nascosta la loro malattia, quasi come se si avesse il marchio dell’infamia stampato in fronte.

Oggigiorno c’è una minoranza molto rumorosa di persone contrarie alle soluzioni della medicina “ufficiale”, che rinnegano le terapie tumorali, i vaccini, e propongono cure alternative basate su un concentrato di superstizione e scienza posticcia: spesso le persone malate sono le più facili da convincere, specie nei momenti più duri. Hai avuto esperienze con chi ti proponeva cure miracolose?
Non ti rendi conto di quanto quelle fake news siano infide fino a quando non ci si trova immersi. Prima della diagnosi, il mio pensiero era sempre stato molto razionale: il cancro si cura assolutamente con la chemioterapia, i rimedi della nonna lasciamoli ai ciarlatani. Poi però quando arriva il tumore la percezione si distorce e si diventa più fragili. Ho cominciato la chemioterapia una decina di giorni dopo la diagnosi e ricordo di aver passato tutte le ore di quel periodo a chiedermi se non ci fosse un fondo di verità in quelle fake news, se la chemioterapia mi avrebbe uccisa. È stata molto dura.
Poi però la chemioterapia ha cominciato a funzionare e ogni dubbio si è dissolto: in quel momento ho capito quanto le fake news su questo argomento siano dannose per la gente. Comunque sì, ho conosciuto direttamente due persone che, venutemi a trovare mentre ero in convalescenza dopo l’operazione, nonostante avessi in mano il test genetico, mi hanno tranquillamente detto che secondo loro la mutazione del gene BRCA1 (che mi ha provocato il tumore) era un’invenzione delle case farmaceutiche. Credo di avergli riso in faccia con molta cattiveria.

Come hai formato il tuo stile di disegno, e quali strumenti utilizzi per disegnare il tuo fumetto?
Il mio stile di disegno è nato da autodidatta, copiando i fumetti che mi piacevano e creando personaggi miei o strisce comiche su ciò che mi succedeva durante le giornate. Non ho mai seguito corsi o scuole specifiche, solo ciò che mi passava per la testa. Riguardo gli strumenti, mi piacciono la matita, la china, gli acquerelli ma soprattutto la penna grafica per disegnare su Photoshop; Triplo Guaio è realizzato tutto con quest’ultimo strumento.

A cosa ti sei ispirata per raffigurare graficamente l’aspetto di QBM (Quel Brutto Male), personificazione del tumore?
Quando quella sera di luglio mi sono messa davanti al PC e mi sono domandata che aspetto avrebbe avuto il mio tumore se fosse stato un personaggio dei fumetti, sono partita pensando alle sue caratteristiche. Il tumore è un accrocchio di cellule impazzite che si moltiplica a dismisura e trae nutrimento dai vasi sanguigni: mi è sempre sembrato un parassita, insomma. Quindi ho cominciato a cercare immagini di parassiti su Google (un po’ me ne sono pentita, fanno schifo!) e ho trovato l’immagine al microscopio di questo essere che aveva gli occhi a palla sporgenti e due piccole zanne. In quel momento si è accesa la lampadina!

Qual è la chiave per riuscire a sdrammatizzare una tematica del genere, e che tipo di riscontri hai avuto nei mesi in cui hai iniziato a pubblicare Triplo Guaio online?
La mia chiave personale è stata l’autoironia, scherzo molto su me stessa e sulle sfortune (più o meno gravi) che la vita mi ha messo davanti, è una cosa che ho sempre fatto già prima di Triplo Guaio.
Riguardo i riscontri, sono sempre stati molto positivi. Ad esempio, ho conosciuto tantissimi oncologi al congresso Cipomo (Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri) svoltosi a Lecce questo maggio, al quale mi ha invitata personalmente il presidente per raccontare la mia storia e la creazione del fumetto. Ero la sola paziente lì in mezzo, quando ho finito il mio intervento mi hanno fatto un lungo applauso, dicendomi che era un modo nuovo di raccontare la malattia, un modo che infondeva coraggio alle persone vedendo la malattia sotto una luce diversa. Mi sono molto emozionata.

Hai avuto contatti con i lettori del tuo blog, hai conosciuto direttamente alcuni di loro? Hai condiviso l’esperienza con altri malati di tumore?
Sì, ho conosciuto alcuni di loro nella vita reale, con altri invece ci sentiamo via chat o via e-mail.
Il confronto con le altre persone è magnifico, ognuno ha la propria storia da raccontare.

Triplo Guaio si conclude con l’uscita del volume cartaceo edito da BeccoGiallo o proseguirà?
Bella domanda! C’è un lato di me, quello ansioso e ipocondriaco, che vorrebbe chiudersi la porta alle spalle e non rimettere più mano alla cosa. Ma poi c’è l’altro lato di me, quello più razionale e con più giudizio, che sa bene che è impossibile dimenticare e nascondere le cose sotto al tappeto. Inoltre sento dentro di me che vorrei raccontare altre sfaccettature della mia esperienza… Vedremo!

Ci sono altri progetti fumettistici a cui stai lavorando? Quali sono i tuoi programmi per il futuro?
Ho appena concluso un altro progetto fumettoso, ma questa volta solo come disegnatrice. Insieme a una psiconcologa abbiamo creato due collane dedicate ai bambini e agli adolescenti. Questi fumetti servono per aiutare ad affrontare il percorso di malattia in quelle fasce di età, un progetto davvero bellissimo di cui purtroppo non posso ancora rivelare ulteriori dettagli. Tutto ciò vedrà la luce nei prossimi mesi però!
I miei programmi per il futuro invece sono principalmente due: godermi finalmente la vita libera dalla malattia (ho concluso le cure a maggio, dopo un anno e mezzo) e continuare a raccontare storie, sento di avere ancora tantissimo da dire!

Grazie, Isabella, per il tempo che ci hai dedicato.
Vi ringrazio tanto per questa intervista!

Intervista realizzata via mail il 10 giugno 2019

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