• English
  • Pulp e noir, di padre in figlio: intervista a Sean e Jacob Phillips

    Pulp e noir, di padre in figlio: intervista a Sean e Jacob Phillips

    Ospiti di Saldapress a Lucca Comics and Games 2024, abbiamo parlato con i due artisti sul loro rapporto, le loro influenze, il loro lavoro.

    Nel fumetto mondiale sono piuttosto rare le coppie di artisti formate da padre e figlio: da John Romita Sr. e Jr. a Joe Kubert e i figli Andy e Adam nel fumetto USA, per arrivare ad Alberto ed Enrique Breccia. Da alcuni anni a questo piccolo club si sono uniti Sean e Jacob Phillips, che ormai dal 2018, ovvero dal volume di Criminal I miei eroi sono sempre stati tossici, collaborano nelle vesti di disegnatore il primo e colorista il secondo.

    Il connubio tra Ed Brubaker e Sean Phillips, cementato da venticinque anni di storie, si estende quindi alla famiglia Phillips, con titoli come Reckless, Criminal, Night Fever e altri ancora, con storie che trovano nel pulp e nel noir il loro nucleo per poi esplorare varie tematiche e varie ambientazioni, seguendo un fil rouge solido, ricco di suggestioni e una linfa creativa che si rinnova costantemente.

    Nel frattempo Jacob ha anche iniziato una carriera come disegnatore, collaborando con Chris Condon sull’intenso noir That Texas Blood (edito in Italia da Cosmo) e con Chip Zdrasky su Newburn, storia di un ex detective che lavora per la criminalità organizzata.

    Sean e Jacob Phillips sono stati tra gli ospiti di punta di Lucca Comics and Games 2024, dove hanno presentato per saldaPress il secondo e conclusivo volume di Newburn e soprattutto Dove era il corpo, nuova collaborazione con Ed Brubaker che unisce al noir le atmosfera da avventura adolescenziale estiva e il romanzo corale, basato su grandi caratterizzazioni e interazioni tra i personaggi, spaziando dal romance al racconto di formazione.
    Abbiamo parlato con i Phillips della loro carriera, del loro rapporto con Brubaker e soprattutto del rapporto tra loro, che da famigliare è diventato professionale.

    Version 1.0.0
    Version 1.0.0

    Prima di tutto, vorrei chiedervi com’è lavorare insieme come padre e figlio, da entrambe le prospettive: quella del padre, che ha visto l’artista crescere, e quella del figlio, che è cresciuto accanto all’artista.
    Sean Phillips: Lavorare con Jake è fantastico. Non avevo idea che fosse capace di fare ciò che fa finché non l’ha fatto, e fortunatamente è davvero bravo. Ha iniziato perché dovevo colorare un libro da solo, ma non avevo abbastanza tempo. Ho fatto le prime due pagine, e poi Jake ha colorato le successive sessanta. Mi è piaciuto quello che ha fatto, è piaciuto anche a Ed, quindi abbiamo continuato.
    Cerco di non trattarlo come un figlio mentre lavoriamo, cerco di mantenere tutto professionale. Mi limito a lasciargli fare quello che vuole, raramente gli lascio delle note. Non viviamo nemmeno vicini, e questo aiuta, altrimenti sarei sempre sopra la sua spalla. Durante il lockdown è tornato a casa, e per un paio di mesi stavo sempre lì a controllarlo.
    Jacob Phillips: Sì, è stato orribile (ride). Per me, lavorare con lui è come lavorare con chiunque altro: ci scambiamo email, lui mi invia le pagine e io mando indietro i colori. Direi che l’unica differenza è che probabilmente ci sono meno note. Mi lascia fare, mentre con un editore o un altro disegnatore ci sarebbero più feedback. In realtà è più facile lavorare così rispetto a lavorare con altre persone.
    S: E un’altra cosa positiva è che possiamo andare a festival come questo e passare il weekend insieme. Non è vero, Jake? (sorride). Sai, non vedo i miei altri due figli tanto quanto vedo Jake, quindi è una bella cosa.

    Mi piacerebbe sapere come hai iniziato questo lavoro, Jacob. Hai sempre voluto occuparti dei colori o inizialmente pensavi di fare il disegnatore, magari colorandoti da solo?
    J: Facevo già illustrazioni, prima all’università e poi come freelance per qualche anno. Ho iniziato a lavorare ai miei fumetti più o meno nello stesso periodo in cui ho cominciato a colorare i fumetti di mio padre.
    S: Probabilmente erano già cinque anni che lavoravi?
    J: Sì, circa cinque anni prima di iniziare con i colori. Sapevo tecnicamente come farlo perché coloravo i miei disegni, anche se non nello stile tipico dei fumetti. In un certo senso, è stato un po’ un azzardo vedere se fossi davvero in grado di farlo.

    Il fatto di avere tuo figlio come colorista ha in qualche modo cambiato il tuo lavoro? Ad esempio, guardando al primo Criminal e all’ultimo progetto, Dove era il corpo, i colori e l’atmosfera sembrano diversi.
    S: Penso che siano diversi perché ho deciso volutamente di disegnare in modo diverso dal solito. Non ci sono neri, quasi nessuna ombra. Sapevo che potevo fidarmi di Jake per riempire gli spazi con i colori giusti. Prima di allora, negli altri libri come quelli di Reckless e Criminal, tendevo a fare in modo che i colori non potessero rovinare il lavoro, cercavo sempre di rendere ovvio da dove venisse la luce o che atmosfera volevo. Con il tempo, non c’è stato più bisogno di preoccuparmi di queste cose. Ovviamente ogni libro ha un aspetto un po’ diverso dal precedente, ma per me non ha a che fare con il fatto che Jake sia il colorista.

    Doveerailcorpo

    Se doveste sceglierne uno, quale fumetto sentite più speciale per quanto riguarda il rapporto tra voi due, sia a livello professionale che personale?
    J: Direi I miei eroi sono sempre stati tossici, perché aveva uno stile molto specifico, ed era ovviamente il primo che abbiamo fatto insieme. Credo sia stato anche quello in cui c’è stato il maggior scambio tra noi riguardo ai colori. Inoltre, mio padre aveva stabilito una palette specifica per il libro, quindi è stato un lavoro molto più collaborativo rispetto a ora, dove mi lascia più libertà.
    S: Per me, credo che il primo volume di Reckless sia stato speciale, perché è stato il primo lavoro veramente nuovo che abbiamo fatto insieme. Prima di allora, con Criminal, c’erano stati altri coloristi che avevano già lavorato sulla serie. Con Reckless, invece, era tutto nuovo per entrambi, aveva un aspetto e una atmosfera diversi dai precedenti lavori.

    Ed Brubaker è una figura cruciale nel vostro lavoro. Vorrei sapere del vostro rapporto con lui, da entrambi i punti di vista, e di come si è evoluto nel tempo.
    S: Abbiamo iniziato a lavorare insieme perché stavo inchiostrando un fumetto che lui stava scrivendo e qualcun altro stava disegnando, Michael Lark. Michael ha disegnato e inchiostrato tutto il primo numero da solo, ma non gli piaceva molto, così ha chiesto agli editor un inchiostratore più vicino al mio stile, che conosceva bene. Così ho iniziato a lavorare su un fumetto con Ed Brubaker, ma non l’ho conosciuto di persona fino a molto tempo dopo, ero a metà dei disegni di Sleeper quando l’ho incontrato per la prima volta. A quei tempi comunicavamo tramite gli editor, poi ci siamo conosciuti a San Diego e quello ha segnato l’inizio di un rapporto più diretto. Siamo amici, ma non ci vediamo spesso, e credo di aver parlato con lui al telefono solo un paio di volte in 25 anni. È successo solo perché non mi aveva sentito per qualche giorno e si era preoccupato, così ha chiamato mia moglie per chiedere se fosse successo qualcosa. Il nostro lavoro si svolge via email, e ci vediamo ogni tanto. Quest’anno ci siamo visti due settimane, ma prima non ci incontravamo da cinque anni. Quando ci vediamo, parliamo di lavoro e ci immergiamo in queste discussioni, ma troviamo anche il tempo di fare altre cose.
    J: Per me è lo stesso. Ho incontrato Ed solo un paio di volte. Di solito il lavoro passa tramite mio padre, e ricevo un’email alla fine di ogni libro in cui si congratula del lavoro. Se qualcosa non va, alcune volte mi scrive anche direttamente, il che è strano, perché di solito passa tutto da mio padre (ride).
    S: Viviamo in Inghilterra, e Ed è a Los Angeles. Anche questo non aiuta ad avere rapporti più frequenti.

    Dopo tutti questi anni, ci sono delle sfide nel creare nuove storie, con direzioni, stili e ambientazioni differenti, mantenendo comunque un nucleo centrale nei temi pulp e noir?
    S: Devo dire che storie e ambientazioni sono tutta farina del sacco di Ed, io non ho nulla a che fare con la scrittura, mi limito a disegnare ciò che mi dice di disegnare. Abbiamo iniziato a collaborare seriamente con Gotham Noir, una piccola storia di Batman, ma non eravamo i proprietari dei personaggi. Successivamente abbiamo lavorato su Sleeper, ma anche in quel caso non ne detenevamo i diritti. Un paio di anni dopo, abbiamo deciso indipendentemente di dedicarci a fumetti creator-owned, piuttosto che continuare a lavorare per Marvel o DC: volevamo qualcosa che potessimo controllare. Ci abbiamo provato, ma ci sono voluti anni prima che fosse economicamente sostenibile, soprattutto per Ed. Io guadagnavo abbastanza disegnando perchè venivo pagato per pagina disegnata, anche nel caso del creator-owned. Ed invece non ha guadagnato quasi nulla per almeno due anni, ma eravamo entrambi decisi a perseverare. Sapevamo che il lavoro era valido e speravamo che, col tempo, anche gli altri l’avrebbero apprezzato.
    Alla lunga, però, è più difficile per un artista, perchè puoi lavorare su un solo progetto alla volta. Se non fosse stato abbastanza remunerativo, avrei dovuto fermarmi e fare altro. Ed, invece, non aveva bisogno di quei soldi perché scriveva Captain America e altre cose. Alla fine ha funzionato: ci siamo creati un marchio per cui le persone comprano qualunque cosa facciamo. Ora, con i graphic novels, facciamo ciò che ci piace e confidiamo che le persone lo comprino, così possiamo farne altri.

    Newburn
    Newburn

    A Lucca presentate Newburn vol. 2 e Dove era il corpo. Jacob, come hai sviluppato il tuo modo di disegnare, bilanciando l’ispirazione evidente del lavoro di tuo padre e, al contempo, creando uno stile riconoscibile e personale? Che opportunità hanno rappresentato per te Newburn e That Texas Blood, potendo lavorare con team e autori diversi?
    J: Per quanto riguarda il mio stile, è venuto naturalmente, cercando di adattarmi alla storia che di volta in volta racconto. Penso che il mio modo di disegnare somigli a quello di mio padre perché sono stato circondato dal suo lavoro da quando sono nato. Abbiamo anche molte influenze comuni: ci piacciono gli stessi artisti, leggiamo gli stessi libri, quindi credo che quello abbia avuto forse ancor più influenza. In realtà non penso consciamente di andare in una direzione o nell’altra: mi concentro sulla storia e cerco di migliorarmi ogni volta, correggendo ciò che non mi piace del mio lavoro.
    S: Credo che entrambi siamo in una situazione simile, dove il volume di pagine che disegniamo non lascia il tempo di preoccuparsi troppo dello stile. Il risultato è quello che è, perché alla fine bisogna completare una pagina ogni giorno. Disegno circa 250 pagine all’anno, probabilmente mio figlio ne fa anche di più. Non abbiamo il lusso degli artisti francesi che fanno 48 pagine ogni due anni. L’unica cosa che puoi fare è prendere spunto da ciò che leggi: magari pensi “mi piace come ha fatto quella cosa” e provi a integrarla nel tuo lavoro.
    J: Sì, anche piccole cose specifiche che probabilmente nessuno nota, ma provi comunque a inserire qualcosa di nuovo.
    S: Un esempio: circa vent’anni fa, in Hellboy, Mike Mignola ha iniziato a disegnare dei piccoli semicerchi sulle guance per definire gli zigomi, e improvvisamente quattro o cinque fumettisti hanno cominciato a fare la stessa cosa, me compreso. È così che si sviluppa il nostro stile: guardiamo le stesse cose.

    Restando su Newburn, com’è per Jacob lavorare con un autore che è anche artista, come Chip Zdarsky? Cambia qualcosa nel tuo approccio?
    J: Chip è più esigente, perché ha un occhio più allenato per i disegni. Quando qualcosa non andava bene, me lo faceva notare e mi faceva correggere il lavoro, mentre Chris Condon (sceneggiatore di That Texas Blood) è semplicemente felice che disegni il fumetto e apprezza il mio lavoro. È interessante vedere queste differenze. Chip mi ha lasciato più libertà nella sceneggiatura, mentre Chris inseriva più dettagli nelle descrizioni delle scene. Credo che questo derivi dal fatto che Chip, essendo un artista, preferisca essere lasciato libero di disegnare, quindi mi dà solo le informazioni essenziali e lascia a me il resto.
    S: Anche Ed fa così. Da ex artista, sa che il disegnatore non vuole troppe ingerenze. Gli scrittori che sono stati artisti lasciano un po’ di spazio, sono consapevoli visivamente e soprattutto non chiedono cose impossibili.

    Dov Era Il Corpo Brubaker Phillips 01 670x1027

    Parliamo di Dove era il corpo: com’è nato questo progetto e quali sensazioni volevate trasmettere? È un lavoro peculiare: un noir diverso dagli altri, con elementi romantici e di formazione.
    S: È diverso anche perché è ambientato principalmente di giorno, perciò abbiamo dovuto disegnare e colorare in modo diverso. Inoltre, la storia si svolge quasi interamente in una strada, quindi abbiamo costruito un modello 3D per avere sotto gli occhi tutte le possibili angolazioni e i dettagli dell’ambientazionei. Di solito, quando si fanno fumetti mensili, non abbiamo il tempo per pianificare: Ed è sempre poche pagine davanti a me, quindi anche lui non ha molto margine. Per questo lavoro, aveva scritto circa 50 pagine prima che iniziassi a disegnare, cosa mai successa prima, ed è stato piacevole poter pensare all’intero progetto con più calma.
    J: Dal punto di vista della colorazione, il giorno è molto più difficile della notte: di giorno si vede tutto e tutto deve avere il colore giusto. Molto del mio lavoro notturno è più espressionistico, cerca di catturare il tono più che rispettare i colori reali. Di giorno, invece, è complicato evitare colori che siano banali e cercare di trasmettere quell’atmosfera estiva sfocata.

    In ogni caso, direi che restano dei toni espressionisti: c’è un’atmosfera estiva che è anche noir, non completamente realistica. Non so se sono riuscito a spiegarlo bene…
    J: Sì, cercavo soprattutto di rendere un’atmosfera interessante e anche inquietante. Ma con le scadenze, devi prendere decisioni rapide e non ci pensi troppo, finché qualcuno non te lo chiede.
    S: Esatto, non riflettiamo su queste cose finché non ci intervistano.

    Where The Bodywas130

    Allora probabilmente non vi piacerà la mia prossima domanda! C’è una scena nel finale, ambientata dopo gli eventi della storia, che parla del futuro di Tommy. In questa scena si vede il personaggio accogliere la moglie malata a letto e abbracciarla. Tutto, dai testi ai disegni, dalle ombre al blu della notte, crea un momento straziante che mi ha profondamente commosso. Come avete lavorato su questa scena?
    S: Ed scrive seguendo il cuore per cose del genere, molte delle sue storie si basano su esperienze personali. Ha detto in molte interviste che gran parte del suo lavoro è una forma di terapia per lui. Nel nostro lavoro, che è spesso ambientato nel passato, ci sono molti elementi legati all’infanzia e alla famiglia, e credo che Ed usi le storie noir come struttura su cui sviluppare questi temi. Per quanto riguarda questa scena, ho cercato di realizzarla come Ed voleva, ma non ho davvero esperienza diretta di situazioni del genere nella mia vita reale, quindi ho dovuto semplicemente capire come farla funzionare.
    J: È un lavoro strano, perché ci sono tre persone che cercano di catturare un’unica cosa attraverso tre lenti diverse.
    S: È come il gioco del “telefono senza fili”, no? Più vai avanti lungo la catena, più le cose si distorcono: Ed ovviamente sa esattamente cosa intende e cosa vuole, e il suo compito è comunicarmelo affinché io possa farlo nel modo giusto. Poi, da ciò che ho disegnato e dai testi di Ed, Jacob deve capire cosa vogliamo da lui.
    J: Ed è fantastico quando funziona come hai descritto tu.
    S: Sì, se ti ha colpito così mentre lo leggevi, è quello che speriamo succeda a ogni lettore. Ma come ci arriviamo? Non ne ho idea. (ride)

    L’ultima domanda: su cosa state lavorando, con Ed o anche con altri autori?
    S: Siamo a metà di una graphic novel di Criminal. Non facciamo più fumetti mensili, ormai abbiamo fatto sette o otto graphic novel, due all’anno, ma questa è molto più lunga del solito: mi ci vorrà un anno intero per disegnarla. Finora credo di aver disegnato circa 80 pagine, quindi siamo quasi a metà, forse. Sarà un libro di circa 200 pagine, e speriamo che esca in tempo per l’inizio della serie TV. Jacob, invece, ha un sacco di cose in corso.
    J: Sì, per lo più progetti non ancora annunciati: sto lavorando a una nuova storia con Chris Condon, è quello che sto disegnando in questo momento. Ho appena finito il primo numero, ma non verrà annunciato se non tra qualche mese. Posso dire che è un’altra avventura noir, ambientata negli anni ’40.

    Grazie Sean e Jacob, non vediamo l’ora di leggere i vostri nuovi lavori.

    Intervista realizzata al Lucca Comics and Games 2024 il 3 novembre.

    Sean Phillips

    Creator: Gd Jpeg V1.0 (using Ijg Jpeg V62), Quality = 80

    Disegnatore professionista di fumetti dall’età di quindici anni, il vincitore dell’Eisner Award Sean Phillips ha lavorato per tutti i principali editori. Dopo aver disegnato SleeperHellblazerBatmanX-MenMarvel Zombies e The Dark Tower di Stephen King, Sean si è concentrato sui fumetti di sua creazione, tra cui CriminalKill Or Be KilledIncognitoFataleThe Fade Out e Reckless. Attualmente sta lavorando a un nuovo volume della lunga serie Criminal, scritta dal suo storico collaboratore Ed Brubaker e colorata dal figlio Jacob Phillips.
    Vive nel Lake District, nel Regno Unito.

    Jacob Phillips

    Creator: Gd Jpeg V1.0 (using Ijg Jpeg V62), Quality = 80

    Jacob Phillips è un disegnatore e colorista di fumetti che vive a Manchester, Regno Unito. Disegna da tutta la vita e ha autopubblicato il suo primo fumetto, Roboy, all’età di 11 anni, vendendolo al Brighton Comic Con. Oggi è l’artista di That Texas Blood con lo scrittore Chris Condon e di Newburn con Chip Zdarsky, oltre a occuparsi della colorazione di progetti come RecklessCriminal Madi.

    Clicca per commentare

    Rispondi

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *