Marco Checchin è alla sua prima Lucca come autore. Prima che inizi quella che abbiamo scoperto essere la sua prima intervista, lo troviamo seduto dietri il bancone dello stand BD intento a dedicare le copie della sua prima graphic novel, Questi muri, premiata nell’ambito del Lucca Project contest 2023, con la seguente motivazione:
Per il taglio estremamente personale dato a una storia di crisi, in cui la voce dell’autore racconta contemporaneamente con delicatezza e violenza la disperazione quotidiana che si annida nelle vite sul punto di confine di un’età difficile, imperniata su un impianto visivo solido e una regia spregiudicata, con un utilizzo mai casuale del linguaggio cromatico.
Marco Checchin, ospite de Lo Spazio Bianco con Questi muri, il fumetto vincitore del Lucca Project Contest 2023 e pubblicato quest’anno per Edizioni BD. Arrivi a Lucca come autore completo arrivi a Lucca come autore premiato. Che effetto ti fa questa tua nuova dimensione in Fiera?
Sconvolgente, perché vedere il festival dall’altro lato del bancone è assurdo. È sempre stato un sogno per me, quindi il fatto che adesso riesca a coronarlo stando dall’altra parte è una cosa che praticamente non sembra neanche vera, quindi è sconvolgente, sicuramente.
Oggi, 30 ottobre, hai fatto la prima sessione di sketch al tavolo. Com’è andata? Quali sono state le impressioni che ti hanno dato le persone che sono venute a trovarti?
È stata una sorpresa: essendo il primo fumetto, sapere che una persona viene per prendere un tuo lavoro praticamente a occhi chiusi, sulla fiducia, senza averti mai letto prima e senza godere di alcuna precedente visibilità, è una sensazione bellissima. Quando è successo ero in brodo di giuggiole.
Ovviamente, la sessione di firme è l’ultimo atto di un viaggio che hai iniziato un po’ di tempo fa. Quali sono stati la tua formazione e il tuo percorso e da quanto tutto questo aspettava di trovare una forma?
Allora, ho frequentato il Liceo artistico e poi, per un anno, la Scuola di Comics Internazionale di Padova. Dopo ho abbandonato e ho preso delle decisioni diverse. Quindi ho iniziato a studiare Design del prodotto, della comunicazione visiva e degli interni allo IUAV.
Terminati di studi, ho avuto un bravissimo professore che mi ha, come dire, rimesso sui binari giusti e mi ha consigliato di tornare a studiare illustrazione e fumetto, perché era quello che si vedeva mi piacesse fare di più. D’altra parte, il fumetto è sempre stata la mia passione. È stato un po’ difficile capire e avere la volontà di prendere sul serio questa carriera, perché mi era sempre mancato il coraggio di mettermi a scrivere davvero.
Grazie agli studi allo ISIA di Urbino, ho ricevuto gli strumenti che mi hanno permesso di padroneggiare maggiormente non tanto il disegno, quanto la storia, i personaggi, a comprendere cosa vuol dire avere degli obiettivi, dei desideri, dei contrasti, dei conflitti dentro una storia.
Durante un laboratorio di scrittura creativa dovevo stilare dieci linee brevi di storia e una di queste parlava di questo ragazzo, che ancora non si chiamava Matteo, che non comunicava con la sua famiglia e da lì in poi ho iniziato ad affezionarmici. Così ho iniziato a scrivere, a fare i primi studi di sceneggiatura.
Per la tesi magistrale ho poi portato avanti uno studio sulla memetica, su cosa comporta il linguaggio di internet e cosa vuol dire avere un cinismo super graffiante.
Da lì ho anche abbozzato le prime tavole che poi sono state presentate al Lucca Project Contest, e dopo aver vinto ho potuto dare il giusto respiro alla storia come me l’ero sempre immaginata.
Questi muri è un libro intimo. Quello che mi ha colpito è che per essere un esordiente racconti una storia estremamente cruda, una storia urbana, legata a una generazione molto vicina probabilmente alla tua visione, a quella che è la generazione dei figli, di Matteo e di suo fratello Andrea, ovvero il protagonista e colui che è parte dei suoi rapporti irrisolti. Come mai ti sei legato a un racconto così tanto intimo, direi anche terapeutico, non personale nel senso che ti riguardi, ma che parla di rapporti umani in maniera molto realistica?
Mi sono rapportato a questa storia principalmente per un motivo: sono affascinato dalle persone che non sono perni, che sono antipatiche però non cercano l’attenzione, mi affascinano e mi fanno l’effetto opposto, attirano la mia attenzione. C’era un mio amico che ha avuto un periodo di due anni in cui non usciva, non aveva stimoli nel fare alcun tipo di cosa; un po’ il mio opposto perché io sono ossessionato dal fare, dal concludere le cose, avere un obiettivo dopo l’altro, cosa che un po’ ti sovraccarica. Vedere lui che invece stava in questa stasi mi affascinava tantissimo e mi son detto: come si può avere la forza di uscire da questo trauma, da questa situazione tragica? E da lì è nato l’evento scatenante del libro, in realtà un gioco di sceneggiatura perché a lui per fortuna non è andata come nel mio racconto.
Colpisce anche la copertina: una visione metaforica del protagonista chiuso in una specie di piazza, come fosse un gigante, mentre invece i muri di cui si parla nel racconto sono quelli che si erigono nelle case. Per cui nel racconto c’è prima una incomunicabilità con la madre, che diventa poi presente nel momento in cui viene a mancare, e dopo un rapporto col padre che viene annullato, ma bene o male è un rapporto che anche quello si sta ricostruendo. Se questi aspetti riguardano questo tuo amico, hai approfondito questi aspetti con lui o sono cose che hai raccolto da altri tipi di suggestioni?
L’ho raccolto da lui. Andavo a casa sua e in un certo senso mi affascinava questa situazione, come condividere il letto a castello col proprio fratello ed essere vicinissimi ma essenzialmente lontanissimi, perché non si parlavano. Non capivo come fosse possibile portare avanti un rapporto così. I muri del mio fumetto sono metaforici, come quelli che hanno queste casette a schiera un po’ brutaliste, e poi quelli che si porta lui stesso dentro, questi paletti che gli impediscono di parlare con i suoi familiari e che impediscono loro di parlare con lui, fino a chiudersi in sé e in questo immaginario dei meme.
La figura di Matteo è affascinante, perché è alla ricerca di rapporti per tutto il racconto. In qualche modo cerca una dimensione con i suoi amici e con l’altro sesso, finché si trova a dover fare i conti con suo padre e a risolvere il rapporto con lui. Però lungo tutto il suo percorso si ha la sensazione che lui soffra questo isolamento, tant’è che cerca sempre in qualche modo l’appoggio delle persone che ha attorno. Insomma, Matteo cerca comunque una figura che lo educhi.
Esatto, è alla ricerca di un gruppo. Il suo malinteso è che vorrebbe solo essere compreso e quindi ricerca tutto questo attraverso il video-corso di fuffa guru, che è una sorta di club, sì, ma fatto di persone solissime, che vorrebbero predominare sul mondo, prenderlo per le corna, però facendo un percorso assolutamente individuale. Così, alla fine, pur essendo circondato di tante persone si sente ancora più solo di prima e questa solitudine si trascina anche per il resto della storia, finché non capisce che il problema stava a monte.
È interessante che nel momento di maggior crisi lui esca, rompa il legame con l’essere da solo per risolvere i suoi problemi, quello è il momento in cui lo si vede come persona sociale. Il conflitto con il fratello si esaspera proprio quando Matteo riguadagna un rapporto con suo padre, come nella parabola del vitello grasso, perché il figlio più fedele si sente meno apprezzato dell’altro, in questo caso è il primo che torna che viene mal sopportato dall’altro. La figura del padre, per una questione generazionale, mi ha affascinato, perché è un personaggio che prova a capire cosa deve fare, a chiedersi dove abbia sbagliato, e questa grande paura da genitore viene raccontata molto bene. Per l’età che hai è una presa di coscienza interessante: da dove è arrivata?
Diciamo che me la sono sempre immaginata dal lato opposto. Non si è mai stati educati secondo me, soprattutto come maschi, a esprimere le proprie emozioni, soprattutto nel contesto della provincia dove ci si richiude sempre all’interno di un circolo ristretto: può essere quello del calcio o quello strettamente lavorativo. Ci si esprime più con le azioni, ma a parole ce la si cava male e quando quelle azioni non arrivano non è possibile comunicare, ci si sente solo più soli. Mi sono messo allo stesso livello di questo padre che non ha a disposizione le azioni giuste per comunicare con i figli e quando prova a dire qualcosa è impacciato e sbaglia, perché né lui né i suoi figli hanno mai imparato a farlo. Solo che lui, essendo il padre, è una figura che comunque ha una responsabilità in più rispetto ai figli, per questo si fa così tante domande. Mi sono messo un po’ nei suoi panni e ho detto “Cavolo, a differenza loro io devo fare di più, però cosa posso fare realmente di giusto?”.
La tua famiglia come ha scoperto il tuo fumetto? Che tipo di feedback ti hanno dato in casa?
Intanto – e di questo sono super riconoscente – mi hanno sempre lasciato spazio per coltivare la mia passione, si sono sempre fidati. La mia famiglia ha letto la storia finita, perché essendo molto introverso tendo a non condividere con gli altri quello che sto disegnando, e forse in questo non sono così diverso da Matteo, sinceramente. Quando lo hanno letto si sono commossi, anche perché è il lavoro del figlio, il raggiungimento di un obiettivo, però forse anche per questo conflitto generazionale che riguarda la comunicazione.
Venendo alla parte tecnica, mi hanno incuriosito le tue scelte cromatiche, perché alterni tinte realistiche ad altre espressioniste, emotive. Quella sul colore è un’altra delle ricerche che hai fatto mentre lavoravi a questo fumetto?
È una cosa che è arrivata dopo, ma quando è successo mi sono messo a riflettere molto su come utilizzare una palette infinita che solo lavorando in digitale è possibile avere.
Ho voluto quindi creare un contrasto tra un segno più “anatomico”, realistico e prospettico e un colore che giocasse dal lato opposto, irreale e metaforico. Mi sembrava la scelta più giusta. Così ho realizzato una cromia per gli esterni notte e una per gli interni giorno ristrette a quattro colori, mentre ho giocato di più sulle colorazioni in scene più emotive come per i tramonti.
Dato che il libro si basa sul concetto della red pill, di Matrix, per cui prendendo una “pillola rossa” la vita inizia a rivelarsi per quello che è, ho voluto creare un contrasto con la “pillola blu”, che secondo questo immaginario in molti prendono per restare nella loro confort zone.
Per questo motivo ho utilizzato solo due colori e li ho applicati al ragionamento della palette ristretta: quando nel libro compare un certo personaggio metaforico è di un rosso sgargiante, come il guru del video-corso o i personaggi anime di Matteo.
Com’è stato il rapporto tra autore e editore e quali sono le cose che imparato anche in questa fase della costruzione del fumetto?
Anzitutto sono stato affiancato dall’art director Giovanni Marinovich, una figura che mi ha costantemente seguito nel processo sia sul piano formale, come nelle scelte cromatiche, che dei contenuti, come nei passaggi che volevo o sarebbe stato meglio approfondire. Ci siamo anche molto confrontati sul piano tipografico e abbiamo tanto discusso di certi giochi tipografici come le onomatopee.
Giovanni mi ha guidato dal primo incontro, mi ha sempre tenuto sui binari di lavoro più giusti, mi ha consigliato dagli approcci grafici a quelli concettuali, sul formato del titolo e sulle inquadrature. Il contributo maggiore è stato, però, nella realizzazione della copertina, che è un po’ la summa del lavoro e allo stesso tempo l’elemento che viene giudicato sempre e per primo. Ma nel complesso Giovanni mi ha sempre lasciato carta bianca e per questo lo ringrazio tantissimo
Ti chiedo un’ultima cosa: quali sono i fumetti che in qualche modo ti hanno convinto che questa sarebbe stata la tua strada?
Ho dei nomi che mi porto dentro da sempre: Taiyō Matsumoto, che ho scoperto con Sunny e con cui ho capito il valore della regia, delle prospettive, dei primi piani e soprattutto dello storytelling. Poi c’è Chris Ware, per l’uso formale ma soprattutto pratico della tavola e il ritmo della lettura. Ware mi aiutato a comprendere meglio l’uso del colore e delle prospettive, ma anche a quali artisti guardare e cosa prendere da ciascuno di loro cosa
Inevitabile chiudere chiedendoti quali siano i progetti per il futuro
Ora ho in mente due storie importanti da portare avanti e mi sto dedicando alla stesura del soggetto, poi si passerà alla sceneggiatura.
Grazie mille per il tempo che ci hai dedicato
Grazie a voi
Intervista realizzata a Lucca Comics & Games 2024 il 30 ottobre 2024.
Marco Checchin
Nasce a Camposampiero, in provincia di Padova. Fin da bambino coltiva la passione per il fumetto ma allo stesso tempo decide di percorrere strade parallele, restando pur sempre legato all’immagine e alle sue diverse potenzialità. Si laura in Design del Prodotto e della Comunicazione allo IUAV di Venezia nel 2020, nel 2023 si diploma all’ ISIA di Urbino in Progettazione grafica e editoriale, indirizzo Illustrazione. Sempre nello stesso anno vince il Lucca Project Contest. Questi muriè il suo primo fumetto. Potete seguirlo sulla sua pagina Instagram: www.instagram.com/checchinmarc0/.