Ogni tanto l’argomento torna fuori e suona più o meno così: “per recensire un fumetto si dovrebbe saperlo fare/aver provato a farlo“.
Una affermazione che non possiamo che lodare per la chiarezza di intenti e l’implicita solidità teorica. Tuttavia, merita segnalare come questa maglia di filtraggio a priori della legittimità critica sia fin troppo larga.
Ci si ferma infatti su una questione meramente tecnica. Come se il fumetto fosse solo risultato di un’operazione tecnica (scrivere/disegnare).
Ma ogni singola opera è il risultato di una complessa filiera produttiva, che oltre all’autore coinvolge anche le case editrici nelle loro varie articolazioni.
Queste pongono le condizioni necessarie alla creazione dell’artefatto fumettistico in base a considerazioni economiche, promozionali, storiche e culturali.
Come si può accettare che chi fa critica non abbia esperienza in ciascuno e tutti questi campi?
Come può uno sceneggiatore capire un’opera alla cui realizzazione hanno contribuito strategie economiche, se non ha partecipato alla loro definizione?
E, data la segmentazione del mercato, deve essere chiaro che l’esperienza deve essere nei vari segmenti, articolati per nazione, tipo opere, target pubblico. Così, ad esempio, chi abbia sceneggiato e disegnato e chinato e colorato e partecipato alla stesura delle strategie economiche e redatto i bilanci della DC potrà forse essere legittimato a recensire un fumetto DC (ma attenzione alle sfumature: DC non è Vertigo). Ma non certo fumetti indipendenti. E tantomeno fumetti italiani o francesi o belgi. Così, se avete esperienza in tutte le fasi della produzione in Bonelli, potrete magari recensire qualcosa della testata a cui avete partecipato, ma non certo altre. E, attenzione: poiché parliamo di seriali, potrete recensire un numero di una testata se e solo se avete partecipato alla produzione e creazione di tutti i numeri di quella testata.
Ma tutto questo lascia ancora terreno libero a una molteplicità di soggetti la cui legittimazione è intuitivamente dubbia.
Infatti è anche indiscutibilmente vero che l’opera, oltre che prodotto editoriale, è espressione degli autori. Quindi, solo conoscendo gli autori, le loro opere e la loro vita nei più minuti dettagli si può legittimamente recensire l’opera.
Quindi, è ovvio che l’unico legittimato a recensire un’opera è il suo autore.
Forse anche il suo psicanalista.
Intervista a Daniele Barbieri
Per farci perdonare di questo piccolo sfogo e per affrontare l’argomento con maggiore serietà, abbiamo pensato di affidarci alle parole, all’esperienza e alla comprovata carriera da studioso e critico di Daniele Barbieri, per cercare di trarre da una discussione a tratti risibile spunti costruttivi e interessanti, sui quali magari costruire un confronto tra autori e critica.
Daniele Barbieri è semiologo, saggista e poeta italiano. Ha scritto importanti contributi sul fumetto, sulla comunicazione visiva e sulla poesia. Nel 1991 pubblica “I linguaggi del fumetto”, oggi considerato un classico sull’argomento e tuttora sul mercato, dopo numerose riedizioni. (tratto da wikipedia)
Nella critica fumettistica Italiana ci sembra si viva un po’ il seguente paradosso: se non hai mai fatto fumetti, non li puoi giudicare; e al contempo, se fai fumetti non puoi avere l’onestà intellettuale di criticarli. Cosa ne pensi?
Iniziamo con un piccolo esperimento. Prendiamo la frase incriminata e cambiamone l’oggetto. Ecco:
- – “se non hai mai scritto romanzi, non li puoi giudicare; e al contempo, se scrivi romanzi non puoi avere l’onestà intellettuale di criticarli”;
- – “se non hai mai fatto musica, non la puoi giudicare; e al contempo, se fai musica non puoi avere l’onestà intellettuale di criticarla”;
- – “se non hai mai fatto dipinti, non li puoi giudicare; e al contempo, se fai dipinti non puoi avere l’onestà intellettuale di criticarli”;
- – “se non hai mai diretto film, non li puoi giudicare; e al contempo, se fai film non puoi avere l’onestà intellettuale di criticarli”.
Credo che questa semplice comparazione evidenzi già di per sé l’assurdità del problema, che condannerebbe l’umanità a non avere il diritto di dire la propria opinione mai e poi mai.
Credo anche che questo ridicolo paradosso derivi da una profonda incomprensione di cosa sia un prodotto estetico (che sia fumetto, romanzo, musica, pittura, cinema o quello che preferite). Se io sono un artigiano che produce rubinetti tradizionali, la qualità del mio lavoro sarà sotto gli occhi di tutti, ma solo un collega (cioè uno che fa il mio stesso lavoro) sarà in grado di valutare veramente se le mie procedure sono corrette, e se il mio lavoro durerà nel tempo. Solo un altro che produce rubinetti tradizionali possiede cioè la competenza per criticare davvero il mio lavoro.
Ma la qualità di un prodotto estetico non è data soltanto dalla competenza tecnica. Se un rubinetto non fa bene quello per cui è fatto, è certamente un cattivo rubinetto; ma per che cosa è fatto un fumetto? (o un romanzo, un film, ecc.?) Se ti aspettavi una storia di avventura, e invece ti ritrovi a leggere una bellissima storia d’amore, hai letto un brutto fumetto?
Facciamo caso al fatto che persino il linguaggio, quando lo si usa con attenzione, non cade nella trappola: attenzione agli usi: si critica l’operato di un politico, o di un tecnico (intendendo dire che avrebbe fatto meglio a non fare così), ma non si critica un testo estetico (fumetto o romanzo o film o quello che volete); semmai, se ne fa la critica.
Criticare e fare la critica di non sono locuzioni sinonime. La prima presuppone che esista un modo migliore per agire, e che chi non lo segue sia criticabile; la seconda non lo presuppone affatto, e il suo atteggiamento normale non è di biasimo, ma di comprensione e trasmissione.
La critica è un’arte sottile e difficile, un’arte autoriale. Un grande critico è un grande autore di un tipo di discorso che si chiama critica e che ha per oggetto i testi di altri autori invece che racconti o figure.
Hai mai provato a scrivere o a disegnare un fumetto? Con che risultati?
Non ho mai provato a scrivere o disegnare fumetti. Il mio interesse è sempre stato puramente teorico.
Chi si occupa di critica sul fumetto quali strumenti reali deve sviluppare? È importante saper disegnare o scrivere fumetti? O ritieni sia possibile sviluppare altre competenza da altri punti di vista?
Poiché il critico è un autore di critica deve sviluppare gli strumenti della critica, ovvero deve essere in grado di analizzare e comprendere i testi sino a conoscerli anche meglio del loro stesso autore. Il critico è prima di tutto un iperlettore, ovvero qualcuno che non solo sa leggere molto bene, ma che è abituato a riflettere e approfondire tutto ciò che legge; e in secondo luogo è un comunicatore, perché deve trasmettere ai normali lettori quello che ha scoperto.
Tra i normali lettori ci sono pure gli autori del testo. Una delle esperienze più gratificanti dell’attività di critico (e, per mia fortuna, mi è successo molte volte) è quando un autore ti dice che quello che hai scritto su di lui gli ha aperto un sacco di prospettive, e che ora è capace di vedersi anche sotto una luce diversa.
Detto questo: sarà anche vero che l’opera è espressione dei suoi autori, ma è tanto vero quanto irrilevante. Conoscere l’autore è utile, ma conoscere il contesto culturale in cui un’opera nasce è ancora più utile. E, in fin dei conti, a noi interessano le opere molto più dei loro autori. Personalmente, quando leggo un’opera di un autore che non conosco, aspetto di capire l’effetto che mi fa, e solo poi, eventualmente, vado a vedere chi è colui che l’ha realizzata.
Il fumetto è un mezzo di comunicazione ricco e complesso. Non tutto è riconducibile solo al saper disegnare o sceneggiare. Cosa c’è oltre la sola dimensione tecnica, secondo te?
Ecco: la questione tecnica in tutto questo non si è volatilizzata. Saper disegnare, saper scrivere sono valori importanti. Ma siccome ci troviamo nel campo dell’estetico, tutto si complica.
Un rubinetto fatto male è un rubinetto fatto male, e basta. Ma se avessimo giudicato le storie di Alack Sinner di Munoz e Sampayo sulla base delle regole di sceneggiatura degli anni Settanta, avremmo dovuto decidere che si trattava di storie fatte male, realizzate da incompetenti. E avremmo commesso l’errore del secolo.€
Ogni apparente incompetenza va valutata con attenzione: davvero qui l’autore non lo sa fare? oppure dove vuole arrivare con questo passo volutamente stentato? Com’è l’effetto complessivo?
Se avete dei modelli rigidi, sarete facilitati nel giudizio: tutto quello che non aderisce al modello, sarà cattivo fumetto. Ma se avete dei modelli rigidi, correte il rischio di non accorgervi delle vere novità.
E non c’è una regola fissa. La sensibilità si sviluppa con gli anni. Non ci sono mai garanzie di non sbagliare.
Quali conoscenze e competenze è importante padroneggiare per poter fare critica sul fumetto?
Una grande competenza intertestuale, sia nel campo del fumetto (ad ampio raggio) che in tutti i campi possibili: saper riconoscere i legami, i collegamenti che ci sono tra i testi. Una propensione analitica: saper leggere che cosa c’è dentro e dietro le storie. Una certa competenza tecnica: avere un’idea delle tecniche grafiche e delle tecniche narrative (ma questo è legato anche al punto 1).
È possibile una critica intellettualmente onesta da parte di professionisti del fumetto? O ci vedi vincoli sul piano della “deontologia professionale”?
Credo che una critica intellettualmente onesta da parte di professionisti sia non solo possibile, ma anche auspicabile. Vi sono campi, come quello della poesia, in cui le figure fisiche dei poeti e quelle dei critici quasi coincidono; o meglio, con rare eccezioni, i critici sono un sottoinsieme dei poeti.
Ma quando il fumettista fa il critico, dovrebbe fare il critico, forte della sua competenza di autore e lettore; non il promotore di se stesso.
Alla fine dei conti, è solo questione di onestà intellettuale, che comunque i lettori sono facilmente in grado di riconoscere.
Quali azioni, iniziative vedresti come cruciali in questo momento per poter far crescere la credibilità e il riconoscimento della critica fumettistica in Italia?
Questa è una domanda al tempo stesso terribile e banale. La risposta semplice è: si stampi più critica seria; il che vuol dire, più libri, non più recensioni. I libri fanno crescere il prestigio della critica, e quindi, di conseguenza, anche quello delle recensioni.
Oppure si segua l’esempio recente di Laura Scarpa, e si organizzino più incontri tra critici per chiarirsi le idee, per scambiarsi opinioni, per conoscersi, litigare, volersi bene, stimarsi, detestarsi… Insomma, per fare crescere un ambiente culturale. La critica, come tutto, vive di scambi umani, non solo di letture.
Avevo promesso cinque domande, mi sa che ho sforato di un paio. Grazie per la tua disponibilità!
Intervista condotta via mail a ottore 2013.