Greystorm: un bilancio finale

Greystorm: un bilancio finale

Un analisi conclusiva della miniserie Bonelli creata da Antonio Serra: un tentativo di recuperare il fascino dell'avventura e della scrittura verniane. Pregi e difetti di Greystorm, dello sviluppo, della conclusione e dei suoi personaggi.

 

Sergio Bonelli ci assicura, nella prefazione al numero 12 della serie, che Greystorm non avrà un seguito. Il riscontro della vendite è stato più che lusinghiero, ma l’editore resta fedele allo spirito del progetto e quindi questo è l’unico Greystorm che conosceremo. Non sappiamo se durante la fase di ideazione e scrittura della serie questo dettaglio fosse già definito: si parla di un arco di quattro anni, durante il quale il contesto di simili decisioni può essere cambiato in maniera significativa. Naturalmente, la prospettiva di una possibile continuazione avrebbe cambiato l’impostazione o quantomeno guidato le scelte narrative. In assenza di notizie contrarie, abbiamo quindi letto Greystorm come una serie finita, che al dodicesimo volume (in realtà all’undecimo) avrebbe chiuso i battenti.

Una serie limitata offre al lettore un contratto diverso rispetto a una serie illimitata e la differenza maggiore sta naturalmente nella conclusione, che in quelle illimitate semplicemente non esiste. Scioglimento e finale sono momenti critici della narrazione, al punto che un finale non all’altezza svilisce i migliori intrecci.

Per questo, consentiteci di partire dal finale.

Come finisce la storia

Alla fine, chiusa l’ultima pagina dell’ultimo volume (ma poi, l’ultimo, il vero ultimo, qual è?) si rimane con la fastidiosa sensazione che qualcosa, forse un po’ troppo, nella serie non sia andato come doveva e non tutto sia stato sviluppato in maniera armonica e completa.

Certo, nel complesso Greystorm è riuscito sicuramente meglio del quasi coevo Caravan (ma a dirla tutta non ci voleva moltissimo) e in alcuni momenti Antonio Serra riesce a creare una tensione narrativa buona, spingendo il lettore a voltare pagina per vedere cosa succederà; tuttavia nel complesso tante cose non tornano e alla fine si rimane un po’ con la sensazione di essere stati sedotti ed abbandonati, in maniera non totalmente voluta o calcolata dagli autori, come in un gioco sfuggito dalle mani di chi lo doveva condurre.

Intanto i fatti: Greystorm ritiene indispensabile eliminare Hanoui e Mili (i figli di Jason Howard ed Ele Ele) e distruggere la loro isola. Tuttavia, i due ragazzi, con l’aiuto di Ian Thompson, ex amministratore dei beni di Howard e innamorato di Mili,  alcuni superstiti della spedizione al polo, da cui tutto ebbe inizio, e degli indigeni, riescono ad organizzare una resistenza efficace e a sconfiggere Greystorm. Greystorm muore e sparisce annegando nell’oceano, trascinando con sé la creatura che lo infesta1.

La delusione arriva a pag. 87 del numero 11. La creatura malvagia che infesta Greystorm gli rivela (ci rivela) che la sua morte non significa la propria. C’è ancora Ele Ele (la madre dei gemelli, ricordate?), con la quale può continuare l’opera. In cauda venenum, si ama dire, ed è proprio questo un caso esemplare: la scelta del finale aperto, invece di un finale dove la creatura stessa venga eliminata definitivamente, indebolisce enormemente la forza di impatto della vicenda. La diversa drammaticità dei due finali è palese, poiché quello scelto trasforma la serie in una sorta di prima stagione. Tutto ciò che è avvenuto è solo un primo giro di giostra, al quale si minaccia di aggiungerne altri. Con riproposizione degli stessi conflitti, dello stesso tema, magari degli stessi personaggi. La linearità scade nella circolarità dove, alla fin fine, tutto torna. E se il rischio dei ritorni è la stanchezza, certo il loro annuncio rende meno importante tutto quanto è accaduto, come quando dall’opera unica, costruita per artigianato, si passa alla produzione in serie. Per tutto questo, il finale scelto impoverisce la storia.


Eppure, proprio all’inizio del 11° volume incontriamo uno snodo che poteva condurre a scioglimenti più interessanti. Accade infatti che Greystorm si insospettisca: forse la creatura lo manovra, forse è stata sempre lei a prendere le decisioni, utilizzandolo così come lui utilizza i suoi infestati/zombie. Sembra a un passo dalla rivolta, ma tutto rientra e la vicenda prosegue come se niente fosse accaduto: segno della profondità del dominio che la creatura ha su di lui, resti di un ripensamento della sceneggiatura o aggancio per future annate? Poteva andare altrimenti: ad esempio, la lotta fra Greystorm e la creatura (per il potere assoluto, naturalmente, in coerenza con i loro profili) sarebbe stata senza pietà e da questa schizofrenia si sarebbero potute aprire possibilità per Hanoui e i suoi di annientarli.

Esiste un’altra possibile lettura. Gli autori hanno scelto un finale non consolatorio: il bene ha vinto una battaglia, ma non è riuscito a sconfiggere definitivamente il male, che anzi si mette immediatamente all’opera. Creatura e Greystorm hanno formato una coppia simbiotica, ma la creatura ha capacità di sopravvivenza ben superiori all’uomo: come un virus non muore, ma può sfruttare uno stato di sospensione, o propagarsi in altri corpi, quasi metafora di un male invincibile.

Questo modello ben si adatta alla vicenda, ma anche letto così, il finale non ci è parso avere la forza di impatto sufficiente; il rivolgimento che avrebbe dovuto spiazzare e lasciare con la bocca aperta appare debole e – anche riletto in quest’ottica – non convince. La creatura annuncia beffardamente a Greystorm che lei ha un’altra occasione: dovrebbe inquietarci, ma non ci riesce.

Chi ha paura di Greystorm e della creatura?

C’è invece un momento ben più spiazzante, nel rapporto Greystorm/creatura. È nel volume 9, quando Greystorm evoca la somiglianza fra il parassita e le fattezze che in molta iconografia ha il demonio. È un momento di intensa suggestione, che però non ha seguito. In coerenza all’approccio positivista/verniano, quella visione non conduce lo svolgimento su sentieri metafisici. Resta l’accenno di una metafora del male, seme che fruttifica nel terreno fertile dell’animo umano, ma nemmeno questo spunto viene sviluppato e la narrazione si concentra sui fatti, sul ritmo incalzante degli eventi. A questa scelta viene anche sacrificato l’approfondimento del rapporto fra il parassita e Greystorm, che pure, come dimostrato dall’episodio del numero 11 citato sopra, aveva la potenzialità per essere una linea narrativa della stessa importanza della lotta fra Greystorm e i suoi avversari. Naturalmente, uno dei problemi delle serie finite è – come scrivono efficacemente Serra e Gianmauro Cozzi – che non hanno spazio per sviluppare ogni spunto.

Rimaniamo quindi con due cattivi, Greystorm e il parassita, che vogliono conquistare il mondo. Se le ragioni dell’umano, personaggio semplice, sono l’ambizione e la gelosia, sfuggono le ragioni della creatura, che quindi supponiamo mossa dall’istinto. Le sue ragioni sono un altro spunto che ci lascia con sole domande.

Ed eccoci a Greystorm. Già presentando la serie, gli autori chiarirono che non intendevano definire un personaggio complesso; il suo eventuale fascino sarebbe scaturito dalla sua malvagità pura, senza giustificazioni suo vissuto. La più significativa evoluzione del suo carattere sembra essere quella del suo rapporto con Jules Verne e i suoi personaggi: dall’ammirazione iniziale, Greystorm passa al distacco, forse al disprezzo, per la visione del mondo e del rapporto uomo/tecnologia che lo scrittore espone. Molto efficace è la scena, nel settimo episodio, della lettura di Robur il Conquistatore e del suo seguito: è un momento di presa di coscienza drammatico e intenso, dopo il quale, siamo sicuri, Greystorm si sente ancora più solo.


Data la scarsa definizione del personaggio, ritmo, tensione e senso dell’avventura sarebbero invece scaturite dai suoi sforzi di coronare le proprie ambizioni e dalla resistenza che i buoni avrebbero offerto ai suoi progetti. E tuttavia Greystorm non sembra all’altezza del ruolo: tecnicamente preparatissimo, dotato di una volontà incrollabile e irrimediabilmente egocentrico, lo scorrere degli eventi ce lo rivela mediocre, incapace di gestire le sue scoperte: l’alleanza con il parassita e i suoi deliri di potenza si infrangono contro il primo ostacolo. Pagine su pagine fanno balenare invenzioni terribili e diaboliche, finalizzate a un progetto di dominio del mondo, ma alla fine tutta la rabbia e l’ira di Greystorm si rivolgono contro l’ex amico e alla sua isola, in uno sfogo liberatorio di invidie e frustrazioni. Greystorm è incapace di vivere con maturità i propri istinti e sentimenti, vive di ossessioni, anzi le sue ossessioni sono la sua vita. E forse proprio questa debolezza intrinseca è alla base del suo fallimento. I suoi progetti hanno apparenza grandiosa, si estendono nello spazio (il Sud America, l’Antartide, Londra, la Cornovaglia, l’India) e nel tempo (tutta la sua vita, oltre quaranta anni), con intensità maniacale (le sue giornate sono spese a disegnare e costruire marchingegni), ma non hanno alcun successo e, cosa ancor più frustrante per lui, nessun riscontro pubblico.

È un malvagio che trama nell’ombra, ma che fallisce prima di trovare la luce. Terrorizza due camerieri e poco di più, viene preso in giro dalla comunità scientifica (su cui non riuscirà a vendicarsi, nemmeno un po’) e muore nella sua prima battaglia. Muove guerra a un’isola di sopravvissuti e aborigeni, senza prepararla adeguatamente, prigioniero della propria presunzione e incorre in una sconfitta umiliante. Il difetto principale è allora la sua incapacità di incuterci, se non terrore, almeno paura. Eppure gli spunti non mancano, come dimostra la storia della costruzione del suo esercito di zombie. Certo, presentando la serie, gli autori avevano dichiarato di non intendere approfondire la psicologia di Greystorm, ma, vista la sua debolezza, pensiamo che proporre ulteriori esempi della sua capacità organizzativa e della sua crudeltà o lo avrebbe reso più credibile come spaventoso conquistatore del mondo. Anche qui entra in gioco la durata finita della serie: gli autori ci hanno proposto un caso, un assaggio delle potenzialità del personaggio, ma sono passati oltre.

Le vicende della serie si svolgono nell’arco di decenni e comprendono anche la Prima Guerra Mondiale; abbiamo quindi la possibilità di confrontare i deliri e gli orrori narrativi di Greystorm e della creatura con quelli che imperversarono attraverso l’Europa, Nel volume 8, gli autori ci precipitano sul fronte occidentale. Trincee, masse di soldati mandati al massacro2, in una vanità di senso che ha fatto sì che sulle origini del conflitto si potessero scrivere intere biblioteche. Ebbene: che cosa sono Greystorm e il parassita, al confronto delle persone che pianificarono quella guerra e perseverarono in quelle stragi? La presentazione del male è un sottotraccia certo flebile, ma nondimeno presente e allora la scelta di alludere, senza approfondire, appare come una scelta di sobrietà narrativa. Gli autori ci dicono che il male non è metafisico, che semplicemente cresce se e quando gli individui gli si concedono; e alla fine ci avvertono che quei cattivi che ci spaventano sulla pagina sono poca cosa, rispetto a quelli che agiscono nel mondo. Il tutto con accenni: al gusto personale decidere se si tratta di fili lasciati pendenti o di spunti lanciati dal margine della vicenda.

Di fili pendenti, la serie, soprattutto nella seconda metà, ne ha in effetti lasciati molti: personaggi, tematiche, linee narrative sono abbozzate in profusione, ma lasciate in uno stato di non finito che, suggestivo e necessario quando usato con parsimonia, induce perplessità quando diventa metodo.

Una vicenda corale

Guerra e pace? Bene e male? Lealtà e tradimento? Odio e amore? Tanti e di più sono i temi che si aprono e si dipanano lungo la narrazione dei volumi che compongono la serie, tuttavia nessuno risulta alla fine pienamente sviluppato e comunque manca una specie di leit-motiv per cui il lettore, alla fine resta a chiedersi : “va bene, quindi?”. E anche questa sensazione, che avrebbe potuto essere una sorta di scelta aperta, non risulta tale alla resa dei conti.

Una scelta sorprendente è sicuramente quella di non far evolvere il rapporto fra Greystorm e Howard. A suo modo coraggiosa, perché il loro potenziale antagonismo era ben fondato nelle prime avventure, dove i due avevano svelato molto di se stessi. Una linea narrativa semplice avrebbe condotto Howard ad affrontare la malvagità dell’amico di un tempo, momento critico di ripensamento per lo stesso Jason, a cui sarebbe seguita la lotta. Gli autori, invece, rinunciano a sviluppare il personaggio di Howard. Il buon Jason, non più interessante, è cristallizzato in una sorta di icona della bontà cieca a oltranza, perfino un po’ superficiale e vacua.
Howard non tiene il passo con il ritmo stesso della narrazione, chiuso nel suo artificiale-paradiso-naturale, vede da lontano quello che succede e non è in grado di prendere pienamente coscienza dei fatti, pure quando questi gli vengono messi chiari e limpidi sotto gli occhi. Quando Thompson gli racconta quello che sta facendo Greystorm con i suoi soldi e quali pericoli si celano dietro tutto ciò, Howard vive un attimo di tensione e (forse) di ripensamento della propria promessa fatta anni addietro, scegliendo tuttavia di rimanervi fedele. Si intravede un possibile attimo di svolta della storia, un momento in cui Howard può iniziare a maturare posizioni diverse rispetto al suo rapporto con l’amico, stando più attento ai suoi movimenti, diventando finalmente un vero alter ego di Greystorm e assumendo il ruolo di deuteragonista nella storia. Invece non succede niente di tutto questo: gli autori lo tengono ai margini della storia (dimenticato nell’isola e dimenticato nella sceneggiatura?) in una posizione che più comprimaria non si può, facendogli addirittura consegnare la propria figlia all’amico Robert, totalmente incapace anche di fare la più banale scelta protettiva genitoriale.
Questa scelta avrebbe potuto offrirci un personaggio che incarna l’inadeguatezza della morale di fronte alla volontà di potere, ma sarebbe servito un profilo più tragico, che vivesse consapevolmente quel conflitto. Paradossalmente, il personaggio di Jason è inadeguato perché troppo reale; quanto vale per le Isole Misteriose, vale anche per i personaggi: li si delinea in base a ciò che si intende far compiere loro, imprese o nefandezze. Howard è invece portato in scena e poi lasciato andare alla sua vita normale e quello che ci potevamo aspettare da lui deve quindi ricadere su altri personaggi. Questo passaggio critico si concentra nella scena della sua uccisione per mano di Greystorm, che però viene messa in scena senza un vero e proprio crescendo di tensione, senza una presa di coscienza di quanto successo fin lì delle proprie cecità e dei propri errori; senza nemmeno un vero confronto tra Robert e Jason. Si muore così, di una morte che suona come un togliere di mezzo un personaggio di cui non si sapeva più cosa fare.

Più complesso il personaggio di Mili e la difficoltà di raccontarlo emerge dai capitoli, esclusi dalla cronologia principale e proposti nel volume 12: ha carisma da protagonista, ma il carattere corale della vicenda ne limita lo spazio in scena e il ruolo. Forse, una qualche aderenza al realismo fa sì che resti nell’ombra del fratello, condottiero pubblico del suo popolo. La scelta degli autori è di non complicare le cose e Mili resta personaggio solido e integro, sempre determinato e consapevole; perde l’iniziativa in seguito all’uccisione del padre, ma nemmeno questo dolore la piega. Che lo stesso Greystorm la tema, oltre ad esserne ossessionato, lo dimostra il fatto che la lascia sostanzialmente indisturbata durante la prigionia nel sottomarino. Il conflitto fra i due è un filo che percorre tutta la seconda parte della vicenda e viene proposto e concluso in maniera efficace: il dettaglio più interessante è che sembra essere Greystorm ad aver più paura, perché si rifiuta di affrontarla e conta su una sua resa per debolezza o per caduta di fronte al fascino del potere. Anche in questo caso, Greystorm, concentrato solo su se stesso, dimostra di non aver capito niente.

Molto ben delineato è poi il personaggio dell’amministratore Ian Thompson, che finisce per svolgere un ruolo fondamentale: è lui infatti che smuove le cose, è lui che scopre il segreto di Greystorm ed è lui che diventa il vero motore degli avvenimenti che concludono la serie, risultando quasi l’unico e vero vincitore di tutto e tutti. Non a caso, pur entrando in scena a metà della serie, è l’unico personaggio ad avere una vera e propria maturazione e a compiere un vero percorso di crescita, portandone i segni sulla propria pelle e risultando proprio per questo una delle figure più credibili e reali della saga, insieme, comunque ai due gemelli Hoanui e Mili.

Niente da dire invece sulla parte grafica: il livello è sicuramente buono e soprattutto si mantiene piacevolmente costante per tutta la durata della serie, con alcune note piacevoli (Alessandro Bignamini e Anna Lazzarini, le copertine di Cozzi) e una maturità nella gestione delle tavole, che va dalle anatomie alle prospettive e inquadrature, fino agli sfondi, sicuramente degna di nota e che contribuisce notevolmente a rendere piacevole la lettura di Greystorm.

Come speriamo di aver messo in evidenza, Greystorm è una serie che propone molti spunti interessanti, di più che piacevole lettura e che centra l’obiettivo di mettere in scena l’avventura nel senso più classico. D’altra parte, lasciano perplessi i molti fili lasciati pendenti e il finale depotenziato. Degli sviluppi mancati, certo, si deve far carico alla durata finita della serie, ma ci chiediamo anche perché si sia preferito terminarla in 11 volumi e dedicare un 12mo doppio volume a due episodi scartati e decisamente fuori serie. Non si poteva sfruttarlo per dare all’intreccio uno sviluppo che sacrificasse meno spunti?

Interessanti e vero valore aggiunto sono invece le note degli autori proposte nel numero 12, così come le scene scartate, che aiutano a capire il lavoro di selezione e il rimpianto che porta con sé.

Da Bonelli ci si aspetta sempre molto e ovviamente non è facile restare sempre e costantemente all’altezza, dovendo produrre in serie e rispondere alle esigenze di un mercato saturo e difficile.

E forse è proprio questa la sfida che si chiede alla casa editrice milanese: avere coraggio anche quando si prende a piene mani dalla letteratura di genere; avere il coraggio e la capacità di andare oltre, senza restare impigliati in meccanismi narrativi classici che rischiano di soffocare la storia.
Altrimenti succede come con Greystorm: si parte bene e si finisce zoppicando, proprio come il suo personaggio.

Riferimenti:
Sergio Bonelli Editore: www.sergiobonellieditore.it


  1. Questo avviene nel volume 11: come noto già in fase di presentazione della serie, il dodicesimo e ultimo volume è dedicato a episodi non ritenuti adatti alla pubblicazione nel corso della serie e alla presentazione di note e disegni preparatori. 

  2. Per avere un’idea della follia della guerra e di come gli individui la percepissero, vale la pena leggere Michael Jurgs: La piccola Pace nella Grande Guerra, Il Saggiatore, dove si narra come lungo la linea dl fronte nacquero tregue spontanee fra i reaparti e di come gli stati maggiori videro in ciò il pericolo definitivo ai loro piani e di come riportarono tutto all’ordinario orrore delle stragi inutili. 

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