9Topolino, Paperino e Pippo sono titolari di un’agenzia investigativa in cui latitano i clienti; accettano quindi di mettersi sulle tracce di un micino scomparso, indagine che li porta però ad avventurarsi nel parco divertimenti Horrifikland, da tempo abbandonato e nel quale l’atmosfera tenebrosa e inquietante la fa da padrona.
Lewis Trondheim firma l’ottavo volume della collana di graphic novel disneyani realizzati per l’editore francese Glénat, il terzo curato da lui (i precedenti erano in collaborazione con il disegnatore Nicolas Keramidas, tra cui questo), portato in Italia ora da Panini Comics nell’apposita collana dedicata.
In questa occasione scrive una sceneggiatura piuttosto lineare nel suo sviluppo, guardando direttamente a una doppia fonte di ispirazione: il cortometraggio animato del 1937 Lonesome ghosts (Gli scacciafantasmi) e l’avventura a fumetti vagamente collegata Mickey Mouse and the seven ghosts (Topolino nella casa dei fantasmi) del 1936, realizzata da Ted Osborne e Floyd Gottfredson.
Le due trame conoscevano in realtà sviluppi differenti tra loro, come spesso accadeva in quegli anni: la strip-story cartacea approfittava infatti del maggior spazio narrativo a disposizione per irrobustire molto il racconto, costruendo un vero e proprio thriller con tanto di risoluzione da manuale del giallo, mentre il cartoon occupava i propri nove minuti di durata con le gag che vedevano i tre protagonisti impegnati a subire le burle imbastite ai loro danni dai fantasmi del titolo.
Quello di Trondheim non è un mero rifacimento di questi plot, quanto un prendere spunto da entrambe le opere reimpastandole con alcune idee originali e con alcuni presupposti differenti, ma sempre fedeli alle atmosfere buffamente gotiche dei racconti di fantasmi in salsa Disney.
Nel tenebroso luna park i protagonisti incappano infatti nell’anziana proprietaria e in Pietro Gambadilegno: vengono quindi iniettati elementi in grado di cambiare l’assetto e la direzione della trama, ma nel contempo il trio deve vedersela con le vecchie e sinistre attrazioni, in grado di creare contrattempi e deviazioni.
Tale struttura è foriera di gag piuttosto efficaci, ma di contro rende frammentaria la narrazione, che nella parte centrale si muove più per siparietti labilmente collegati tra loro che attraverso uno sviluppo coerente, avvicinandosi in questo modo al linguaggio dei cartone animato ma risultando un po’ debole nella narrazione complessiva su carta.
Lo sceneggiatore dimostra comunque di conoscere bene le avventure classiche dei personaggi disneyani, a partire dalla caratterizzazione degli stessi Topolino, Paperino e Pippo che risulta essere perfettamente aderente a quella che si vedeva in quegli anni sul grande schermo: intraprendente, coraggioso e sbarazzino il primo, fifone ma orgoglioso il secondo, ingenuo e svagato il terzo. Una combinazione che ha fatto la fortuna di questo terzetto, nelle varie occasioni in cui ha agito insieme ai tempi della golden age dell’animazione, e che con il tempo si è andato annacquando, anche quando i tre avrebbero cooperato nuovamente.
Trondheim riprende invece con successo quell’affiatamento e lo ripropone con freschezza, creando l’illusione di leggere una storia inedita proveniente direttamente dagli anni Trenta del secolo scorso.
In questo è aiutato magistralmente dai disegni e dai colori di Alexis Nesme.
L’artista utilizza infatti una tecnica pittorica per illustrare il fumetto, donando alle tavole una tridimensionalità ricca di suggestioni.
Chi ne esce in maniera meno brillante è Topolino, che in questa visione appare poco amalgamato al contesto, quasi come fosse un pupazzo all’interno delle scene. Il fotorealismo impresso dallo stile di Nesme su Mickey crea un effetto simile alla uncanny valley1, risultando paradossalmente meno reale rispetto ai disegni classici. Non c’è dinamicità nella sua figura ma al contrario una fissità che lo rende quasi sempre rigido e per nulla vitale.
Discorso opposto per Paperino e Pippo: i due amici beneficiano molto del trattamento volumetrico dato dai pennelli dell’artista, risaltando sulla pagina con un apprezzabile e azzeccato effetto vintage.
Per quanto riguarda le ambientazioni non si può non riconoscere l’estrema cura riservata ai luoghi in cui si muovono i protagonisti: l’atmosfera bucolica ed eterea delle prime tavole, con il borgo in cui lavora il trio, viene trasmessa efficacemente dalle linee tondeggianti che contraddistinguono gli edifici e le strade, così come dai colori caldi che virano sui toni del giallo e dell’ocra.
Quando ci si avventura in Horrifikland, invece, gli sfondi si affollano di costruzioni macabre, dai tratti spezzati e dalle architetture sbilenche. Le inquadrature sono spesso storte e di taglio per trasmettere un senso di incertezza continua e le vignette sono affollate di tutti quei classici dettagli che suggeriscono inquietudine, dai teschi alle strane crepe nei tronchi d’albero, passando per mummie e ovviamente spettri. La tavolozza ovviamente perde il calore delle prime tavole e indugia nel blu scuro, nel verdognolo e nell’incerto chiarore delle torce, grazie al quale giocare con le ombre.
La gabbia ha una cadenza piuttosto regolare, senza troppi scardinamenti, ma occasionalmente Nesme imbastisce delle quadruple d’effetto, intarsiate con alcune cornici ad hoc, in concomitanza con il passaggio da una scena ad un’altra, quasi a suggerire una suddivisione in capitoli.
Esteticamente si tratta di un lavoro d’eccellenza, che prende molto spunto dal segno disneyano degli anni Trenta facendolo proprio e omaggiandolo allo stesso tempo, con un risultato finale curatissimo e ricco di dettagli.
Lo stile personale dell’artista incontra il gusto tipicamente Disney confermando la conoscenza per la materia originale (i fantasmi sono perfettamente aderenti all’aspetto che avevano in Lonesome ghosts); conoscenza che si rileva anche nella sceneggiatura di Lewis Trondheim, che oltre a rimandare all’avventura nella casa dei fantasmi presenta citazioni provenienti da altre fonti.
C’è il Mad Doctor dell’omonimo cortometraggio del 1933, per esempio, e il sinistro avvocato Lupo, compare di Gambadilegno che viene direttamente dalle strisce statunitensi di Gottfredson.
Non sono comparsate fini a sé stesse: nel primo caso il personaggio si adatta particolarmente bene a trame dal sapore dark – e infatti è stato già ripreso in altre occasioni simili – mentre il secondo è funzionale al raggiro che Gamba vorrebbe perpetrare ai danni della proprietaria del parco, per il quale ha bisogno di servirsi del losco legale.
Horrifikland non è in sostanza quell’opera che cerca di smontare le consuetudini disneyane, ma al contrario vi si tuffa con convinzione guardando direttamente al mood di alcuni racconti dell’epoca d’oro vissuta da questi personaggi e giocando quel tanto che basta con le atmosfere halloweeniane, irrorando questo humus con grande capacità e una robusta personalità autoriale che si concentra nei disegni. Una lettura piacevole e di qualità.
Abbiamo parlato di:
Horrifikland
Lewis Trondheim, Alexis Nesme
Traduzione di AmarenaChicStudio (Milano)
Disney-Panini, 2021
48 pagine, cartonato, colori – 14,90 €
ISSN: 977272466000610003
sensazione di straniamento e di repulsione verso l’estremo realismo rappresentativo in un’opera artistica ↩