Pochi autori portano avanti fin dal proprio esordio una poetica sempre lucida e coerente, senza cedere al richiamo delle sirene del mainstream.
Per questo, quando viene pubblicato un nuovo albo di Miguel Ángel Martín non riesco a fare a meno di immaginare la reazione istintiva che questo può suscitare nei lettori che per la prima volta si accostano alle opere dell’autore spagnolo, anche quelli più colti e aperti mentalmente. Sorrido al pensiero del disagio strisciante e del conseguente rigetto che deve assalirli man mano che procedono nella lettura di Saphari, ultima opera del fumettista, di recente edita da Edizioni NPE.
Di certo Martín ci ha già sottoposto negli anni temi particolarmente scomodi; in Saphari, tuttavia, c’è qualcosa che semplicemente colpisce dritto alcuni bersagli facili perché molto ben in evidenza nella sensibilità collettiva contemporanea. Inoltre, se nelle opere precedenti Martín aveva scelto delle ambientazioni vagamente fantascientifiche (perlomeno in certe asettiche atmosfere), qui siamo in un setting del tutto realistico benché forse ancora un po’ più in là rispetto al nostro presente, in cui i personaggi si muovono all’interno di scene quotidiane perfettamente plausibili: lavorano, vanno a cena fuori, organizzano feste in casa, hanno degli animali da compagnia. Tutto ordinario quindi, se non fosse che ci troviamo in uno spazio e un tempo in cui le pellicce sono vietate come capo d’abbigliamento ma è consentito cibarsi di animali esotici, specie protette e animali da affezione.
Cibo, animali, intrattenimento: sono queste le tre parole chiave che, a fasi alterne, caratterizzano tutta la storia. Ma, come è lecito aspettarsi da Martín , questi temi hanno uno svolgimento tutt’altro che banale.
L’enfasi che negli ultimi anni è stata posta sulla gastronomia e sul cibo in generale, più come esperienza che come necessità primaria, è fatto ben noto a tutti, sebbene poco dibattuto nella conversazione pubblica, specialmente se si tratta di ricondurre la questione alle sue implicazioni sociali ed etiche. Il cibo è la nuova frontiera dell’intrattenimento, capace di regalare godimento immediato e “facile”, sebbene a volte possa anche essere particolarmente costoso; nuovo oggetto del desiderio e strumento di piacere, ora puramente gustativo, ora intellettuale.
In un ambiente moralista alcune esperienze gastronomiche richiamate in questo fumetto sarebbero definite perversioni alimentari: la ricerca del gusto inedito per mezzo delle carni di specie protette provenienti da luoghi remoti, il piacere tutto mentale di cibarsi servendosi da un corpo nudo come piatto di portata (la pratica nipponica del Nyotaimori), la deriva ideologica del veganesimo fondamentalista.
Ma come sempre, le opere di Martín non sono a tema, non recano un messaggio, tantomeno una “morale della favola”.
I dialoghi sono asciutti, senza traccia di pathos o di qualsiasi sfumatura che possa generare una adesione emotiva del lettore. Il tratto è essenziale, con una sorta di scarnificazione del disegno che restituisce le fisionomie dei personaggi ridotte all’osso, rese con pochi tratti e quasi iconizzate.Di contro gli argomenti toccati sono forti, alcuni anche di grande attualità, tutti sicuramente scomodi in un’epoca che sempre più si adagia nel politicamente corretto.
Altro leitmotiv dell’opera è il rapporto uomo-animali, declinato in varie forme, tutte in qualche maniera fastidiose per il lettore. Animali prelevati clandestinamente dal loro habitat per soddisfare le velleità gastronomiche di consumatori annoiati; animali addestrati per ferire e a volte uccidere crudelmente loro simili per il divertimento degli umani; animali utilizzati come feticcio ideale per il perseguimento di un mondo migliore, fino al punto di essere immolati sull’altare di una causa che è più fine a se stessa che tendente alla loro protezione.
Ci sono molti spunti presenti in questa nuova opera di Martín , così tanti che si fa fatica a tessere un filo logico tra di essi. A volerne ricercare uno, la costante di gran parte della sua produzione è lo sguardo lucido e disincantato sulla grande varietà delle manifestazioni dello spirito umano; come già affermato più volte dallo stesso autore, è il multiforme manifestarsi dell’uomo a interessarlo e costituire fonte di ispirazione per le sue opere. Martín osserva, descrive, ma non giudica e non offre al lettore un comodo terreno di giudizio.
Non c’è una morale di fondo e al tempo stesso i suoi personaggi sono scevri da qualsiasi morale. Non ci sono eroi positivi né negativi, Martín ritrae le persone nel loro essere, nelle loro contraddizioni e nelle loro idee che di volta in volta possono essere alti ideali o perversioni, indifferentemente.
Al nichilismo di Sandoval, killer che uccide senza scrupolo perché “la mia vita non ha un senso”, sembra opporsi l’idealismo estremo del gruppo animalista. In realtà più una coincidenza che una contrapposizione, perché proprio quest’ultimo si rivela nel corso della narrazione altrettanto spietato, benché mosso da motivazioni alte.
A voler ben guardare, ci sono degli elementi meno consueti rispetto alla precedente produzione. I personaggi principali sono di età adulta e matura, laddove invece spesso Martín ha utilizzato protagonisti in età adolescenziale o addirittura infantile. Qui invece i tre comprimari sono adulti ben consapevoli delle loro scelte, ciascuno con un profilo personale e sociale ben definito e indirizzato. Sono persone curiose e colte, le cui azioni non sono casuali ma ben supportate da scelte e consapevolezze personali. Una cosa li accomuna: i personaggi della storia ricercano avidamente sensazioni fisiche, estremamente reali nella loro crudezza.
È il trionfo dell’organico sull’ inorganico. In fuga dal virtuale, è la fisicità umana o animale a generare esperienze attraenti. Ma anche, in alternativa, la distruzione della fisicità stessa, nell’atto omicida (singolo o di massa) o nel creare i presupposti per una lotta letale tra bestie A differenza delle opere precedenti di Martín , qui non appare la dicotomia inorganico-organico, tecnologia-corpo. Qui è il corpo nella sua dimensione più tangibile e reale a essere il fulcro delle suggestioni narrative.
Solo per coincidenza, Saphari viene pubblicato in versione italiana pochi mesi dopo dell’apparizione nelle sale dell’ultimo film di David Cronenberg, Crimes of the future, pellicola in buona parte intrisa di suggestioni molto simili. Anche lì il corpo umano diventa il fulcro di esperienze di intrattenimento, anche erotico, fondate sulla sua violazione per mezzo di tagli, incisioni, vere e proprie asportazioni di organi. Martín invece uso il corpo umano come feticcio per pratiche culinarie insolite, in un rito collettivo che richiama alla mente le performance chirurgiche di Crimes of the future.
Ma, come si diceva, pura coincidenza: Saphari è uscito originariamente in Spagna nel 2020, quindi con largo anticipo rispetto al film di Cronenberg (autore molto amato da Martín , per sua stessa ammissione). Al fumettista spagnolo non servono le raffinate messe in scena del regista canadese, capaci di generare atmosfere di grande intensità emotiva al confine del morboso. Martín usa solo il suo bianco e nero nettissimo, con pochissimo nero a dire la verità: nelle sue tavole non usa quasi mai tratteggi, retini, sfumature, se non di tipo estremamente piatto, per suggerire una geometria più che creare profondità. Ed è in questo mondo bidimensionale delle ombre nettissime, quasi fosse un tavolo da autopsia illuminato da un potente faro, che Martín ancora una volta, e in anticipo su altri visionari, disseziona le viscere della società umana contemporanea, mettendola a nudo e offrendola, così come è, alla nostra osservazione.
Abbiamo parlato di:
Saphari
Miguel Ángel Martín
Traduzione di Stefano Romanini
Edizioni NPE, 2022
144 pagine, cartonato, bianco e nero – 19,90 €
ISBN: 9788836270996