“Nessuno siamo perfetti”, Tiziano Sclavi oltre Dylan Dog

“Nessuno siamo perfetti”, Tiziano Sclavi oltre Dylan Dog

Al Biografilm Festival di Bologna Giancarlo Soldi ha presentato "Nessuno siamo perfetti", il documentario su Tiziano Sclavi.

Io l’ho fatto perché ad un certo punto ho capito che era necessario farlo. […] Tiziano, per me, è uno dei più grandi creativi del Novecento italiano e la gente non ne parlava in questi termini.
Giancarlo Soldi, Bologna 11 giugno 2015

locandinaPresentato in anteprima al Torino Film Festival di novembre (qui il comunicato stampa e qui l’intervista al regista), Nessuno siamo perfetti di Giancarlo Soldi ha partecipato al Biografilm Festival 2015 di Bologna, anticipando la distribuzione nei cinema a partire dal 18 giugno.

Dopo Nero, film del 1992 adattamento dell’omonimo romanzo di Tiziano Sclavi, il regista torna a parlare dello sceneggiatore pavese, in un documentario che è dichiarazione di amicizia sincera e professione di fede verso il Fumetto. Già in cantiere da circa quindici anni, il documentario è uscito solo l’anno scorso quando Soldi ha ottenuto una seconda intervista con Sclavi, dopo una prima talmente personale da non potersi diffondere e di cui, solo a distanza di anni, ha mostrato parti selezionate.

Il secondo momento non serve ad aggiungere informazioni fattuali riguardo all’intervistato, quanto più a mostrare la sua personalità, le espressioni facciali, i gesti, affinché il pubblico «capisca, guardandolo, le sue parole». Ed è proprio nel guardarne i sorrisi sinceri mentre accarezza cani e gatti intorno a lui, gli occhi velati di tristezza quando ricorda come la madre gli bruciava i giornalini, la voce lenta e ferma nel confessarsi un alcolizzato, che si arriva a intravedere il buio da cui ha avuto la luce Dylan Dog. «Non sapete che cos’è il buio», afferma lo sceneggiatore; «lui s’è preso sulle spalle l’angoscia di cui ha liberato noi», sentenzia l’amica Bianca Pitzorno.

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I fantasmi di Dylan sono principalmente quelli dell’animo di Tiziano, un uomo oltremodo sensibile, ma anche paranoico, chiuso nelle sue ossessioni, ingabbiato in una psicologia complessa; un uomo che ha vissuto molteplici crisi e passato venticinque anni in psicanalisi. Ma i fantasmi di Tiziano sono a loro volta provocati da Dylan Dog, da quel milione di copie vendute ogni mese, dalle quindici storie che s’è trovato a scrivere contemporaneamente per rispettare le scadenze, da tutti quei lettori verso cui si sentiva obbligato. Senza dimenticare che uno di questi era Umberto Eco, il quale aveva definito il suo fumetto «un capolavoro», mentre Tiziano non si considera(va) altro che un artigiano, un bravo artista che copia.

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Una voce scandisce: «Sono sempre stato una nullità. Da bambino, mia madre mi scambiava per mio fratello, anche se ero figlio unico. Quindi non ero neanche unico. D’altronde, mia madre crede ancora che sia mio fratello, il figlio unico». Il passaggio è tratto da Dylan Dog #19, Memorie dall’invisibile – l’albo preferito del regista – e mai come nel documentario ci rendiamo conto di quanto queste parole siano profondamente sclaviane. Scrive Zappoli su Mymovies.it:

Mentre si parla di lui e con lui, inevitabilmente ma anche volutamente, si finisce con il mettergli al fianco quel fratello che sua madre vedeva (anche se non esisteva) e con cui lo scambiava […] e che Sclavi ha finito con il crearsi: Dylan Dog.

E se Giancarlo Soldi non si stanca di ribadire come questo sia un documentario su Sclavi e che Dylan Dog compaia solo nei disegni per pochi minuti, da spettatori e da lettori possiamo solo renderci conto che parlare di uno senza l’altro sarebbe impossibile. Dylan Dog c’est, volente o nolente, lui.

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Il documentario, che si avvale della fotografia di Luca Bigazzi (La grande bellezza, This Must Be the Place, Lamerica tra gli altri), si presenta dunque come la fusione delle due interviste, la prima delle quali in bianco e nero – con uno Sclavi più giovane e smagrito, intenso e mai privo di ironica leggerezza nelle sue rivelazioni sconcertanti –, a cui si aggiungono gli interventi di amici e conoscenti dello scrittore, come lui sceneggiatori o disegnatori, tra i quali Alfredo Castelli, Bianca Pitzorno, Grazia Nidasio, Mauro Marcheselli (presente alla proiezione), Aldo Di Gennaro, Giampiero Casertano, Lorenzo Mattotti, Michele Masiero, Roberto Recchioni, e dichiarazioni di personalità dello spettacolo e non solo come Dario Argento, Sergio Castellitto, Giovanni Soldini, Thony, Walter De Silva, Stefania Casini. Ognuno degli intervistati aiuta a inquadrare più oggettivamente lo sceneggiatore, illuminandone lati meno evidenti o narrando aneddoti personali.

Alfredo Castelli, dalle cui parole traspare chiaramente un sentimento contrastato di ammirazione e invidia, svela uno dei particolari più memorabili e sintomatici del carattere di Tiziano. Racconta, infatti, di come durante un viaggio a Parigi egli avesse avuto modo di vedere la valigia dell’amico, all’epoca perennemente vestito con giacca nera, camicia rossa, jeans e scarpe con i lacci rossi. Ebbene, i suoi ricambi consistevano in una serie di giacche nere, camicie rosse, jeans e scarpe con i lacci rossi. L’indagatore dell’incubo esisteva in carne e ossa.

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Con le interviste non si esaurisce, tuttavia, il documentario. La personalità tormentata di Sclavi è protagonista, ma a essa si associano immagini e musica altrettanto angoscianti, che catapultano lo spettatore in una storia di Dylan Dog. Gli uomini, le donne e i luoghi reali si alternano a ombre evanescenti come fumo, stanze abbandonate alla fine di corridoi oscuri, rubinetti che perdono, granelli di polvere sospesa sui pavimenti. E poi c’è la Milano di oggi, quella futuristica di Piazza Gae Aulenti, ma trasfigurata da scelte registiche mirate. Una città immaginifica, reimmaginata nelle giornate di pioggia, con cieli bianchi come «fogli di carta su cui riscrivere tutto», perché, dice Soldi, «Tiziano scriveva di una città che non vedeva, che era Londra, e si inventava tutto», e quindi da regista ha inventato «la città che guardava Tiziano a scrivere di una città che era da un’altra parte».
Un universo parallelo, reale e fantastico, nel cui cielo possono comparire balene – un ricordo del Babau di Dino Buzzati, scrittore amato da Tiziano – galeoni volanti1 – quello di Dylan, ma soprattutto quello che Sclavi conserva nel suo studio – e velieri neri – come nei Racconti del Vascello Nero, la metanarrazione presente in Watchmen di Alan Moore (1986).

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L’architettura visiva è completata da quella sonora, dalle melodie per violino e pianoforte di Ezio Bosso (Io non ho paura), che ha ricreato una musica «potente» e «dolce» come Stairway to Heaven dei Led Zeppelin – su cui era ricaduta la scelta di Soldi e che, causa diritti, non aveva potuto utilizzare (e così lo zeppelin lo ha messo nel cielo di Milano!) – al folk rock nei titoli di coda del gruppo camuno I Luf, voluti in qualità di amici per un film su un amico, fino alle ballate in rima scritte per Dylan Dog.

Il documentario di Soldi è una fusione di parole, immagini e musica così come ognuno di questi elementi era presente nelle sceneggiature di Sclavi, in quelle storie che hanno cambiato la faccia del fumetto popolare italiano e dato forma alle paure di generazioni di lettori.
Storie visionarie, apotropaiche, che continueranno a vivere perché infuse della vita di un uomo che per loro ha dato, davvero, tutto se stesso.

Abbiamo parlato di:
Nessuno siamo perfetti
Regia di Giancarlo Soldi
Bizef, Lo Scrittoio – Italia 2014
Documentario, durata 71 min, colore.


  1. Molto simili alla nave volante Shakespeare in Stardust (Vaughn, 2007)  

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