Paolo Castaldi, “L’ora X” e la speranza per le nuove generazioni

Paolo Castaldi, “L’ora X” e la speranza per le nuove generazioni

A Lucca Comics & Games abbiamo intervistato Paolo Castaldi per parlare de “L'ora X”, scritto da Erri De Luca: un fumetto che racconta gli anni di Lotta Continua e che letto oggi offre spunti di riflessione sul nostro presente.

L’ora X, fumetto scritto da Erri de Luca, romanziere che non ha certo bisogno di presentazioni, e da Paolo Castaldi, era certamente uno tra i (non pochi, invero) eventi degni di nota di questa edizione di Lucca Comics & Games. Abbiamo avuto modo di parlarne con l’autore milanese in questa intervista che viaggia tra il 1969, il presente e il futuro prossimo venturo.

È piuttosto scontato rimanere molto colpiti dall’annuncio di un fumetto scritto da Erri De Luca per Feltrinelli Comics. Come è nato il progetto, come è nato questo incontro?
In realtà è stato un po’ un fulmine a ciel sereno, un fumetto scritto da Erri de Luca non se lo poteva immaginare nessuno, perché dopo decine d’anni di romanzi passare a sceneggiare direttamente per un linguaggio che non è il suo è una cosa comunque difficile e non da tutti. Mi è stato proposto da Feltrinelli una settimana prima dell’uscita di Zlatan (primo fumetto di Castaldi per Feltrinelli Comics, NdR) Tito (Faraci, curatore della collana, NdR) mi chiama in casa editrice, io pensavo si dovesse parlare di promozione del volume in uscita, e invece mi dice “c’è arrivata una sceneggiatura di Erri de Luca, che già è uno scrittore storico di Feltrinelli e l’ha proposta appositamente per la collana comics, te la senti di disegnarla? è una storia forte, una storia che racconta di Lotta Continua, secondo noi sei l’autore giusto per raccontarla”. Partendo dal fatto che da sempre Erri de Luca è uno dei miei scrittori preferiti, non mi aspettavo che un progetto così importante fosse affidato a me! Non perché mi sottostimi, ma magari potevano darlo a un autore più blasonato e invece l’hanno proposto a me. Quindi non ho aspettato due secondi e gli ho detto sì, non avevo ancora letto la sceneggiatura, non avevamo parlato minimamente di contratti e di niente. Tra l’altro era il giorno del mio compleanno, quindi è stato un grosso regalo, grazie Tito!

Puoi raccontarci come si è sviluppato il libro e come avete trovato le giuste sinergie tra di voi? Da autore di fumetti hai guidato tu alla sceneggiatura o De Luca ha partecipato attivamente anche sotto questo aspetto?
Credo che anche questa sia stata una delle motivazioni per cui la sceneggiatura è stata affidata a me, perché sono anche un autore completo, e quindi avrei potuto colmare (tra virgolette) delle lacune tecniche prettamente legate al fumetto che magari un disegnatore puro che non ha mai scritto una sceneggiatura a fumetti non avrebbe potuto fare. In realtà la sceneggiatura non era come la immaginiamo, era una narrazione unica, senza suddivisione in tavole ma già molto precisa. Consideriamo che Erri scrive per cinema e teatro, quindi sa più che bene come si scrive una sceneggiatura. Ad esempio i dialoghi non li ho minimamente toccati, neanche una parola, erano perfetti così, io ho fatto solo degli interventi strutturali per andare a sistemare delle parti che avevano bisogno di una correzione a livello di linguaggio del fumetto. Per esempio quando i protagonisti Sara e Sebastiano, che sono due ragazzi che negli anni ‘70 militano in Lotta Continua, leggono delle parti di quotidiano: lì bisognava creare una struttura narrativa che supportasse quella lettura, perché comunque il quotidiano degli anni ‘70 aveva una scrittura cui non siamo più abituati, con un lessico di un certo tipo, un po’ più “alto”, se vogliamo, rispetto ad ora, quindi serviva un raccordo narrativo che facesse da copertura a queste letture. Per questo ci siamo inventati la storia del trombettista. Quello è stato un intervento che veniva da me e che Erri ha accolto e condiviso con molto piacere. Dal nostro primo incontro si è affidato a me, ha subito detto “questo è il tuo mestiere, fai tu, non avere timore riverenziale nei miei confronti”. Io al primo incontro non riuscivo a spiccicare parola, ho fatto pure delle figuracce, però poi seduto a un tavolo ci ho lavorato come si deve. Piccoli interventi ci sono stati ma legati al linguaggio: la sceneggiatura era perfetta, non ho mai disegnato dialoghi così belli e infatti sono di Erri de Luca, non sono i miei.

Italia degli anni ´70, siamo in pieni anni di lotta operaria e si parla della nascita di Lotta Continua e della lotta di due ragazzi di Taranto. Come ti sei documentato su quegli anni e su quel territorio? Quanto ti ha aiutato il lavorare accanto ad un uomo che ha vissuto da protagonista quegli eventi come De Luca?
Mi sono documentato per conto mio con delle letture, la casa editrice mi ha fornito dei testi che aveva in catalogo legati alla storia degli anni 70 e le lotte politiche. Un libro era fuori catalogo già da parecchi anni, ma sono andati a recuperarmelo all’archivio della fondazione Feltrinelli, mi hanno fatto le fotocopie, insomma si sono messi molto a disposizione. E poi documentari, filmati d’epoca e altro, in più ho fatto ovviamente una ricerca iconografica legata alle acconciature, all’abbigliamento degli anni 70 e ho visitato Taranto due volte. Per un lavoro legato all’ILVA, c’ero stato due volte per due presentazioni e ho immagazzinato quell’immagine lì, aggiungendoci una ricerca fotografica sulla Taranto degli anni ‘70. Poi ho conosciuto un’amica di Erri de Luca, lui stesso mi ha dato il contatto, mi ha detto “senti lei, a Taranto in quegli anni ci ha vissuto molto più di me e ti saprà dire delle cose interessanti”; anche lei militante di Lotta Continua. Comunque ho parlato con Erri, che è una fonte primaria senza intermediari perché lui ha vissuto quegli anni, e per quanto lui dica sempre di no, secondo me c’è anche tanto di autobiografico. Lui tende sempre a sminuire queste cose, ma in realtà ha vissuto gli anni di Lotta Continua a Taranto e la storia è ambientata a Taranto. Ho voluto parlare con lui, abbiamo discusso in vari incontri di quegli anni e sono emerse cose interessanti. Tutto questo ha creato il bagaglio culturale su cui ho potuto poi lavorare.

De L’ora X mi affascina il lettering: è fatto a mano? Un lettering così aiuta a dare “verità” al racconto?
In realtà è un font che uso io, è un’evoluzione del font che ho usato per Zlatan, un font mio che è cambiato leggermente rispetto a Zlatan proprio perché mi serviva una cosa un po’ diversa. Sono un po’ “fissato” con questi dettagli.

Secondo me dona un aspetto molto “veristico”.
Grazie, simula il fatto a mano. Dico sempre “il prossimo libro lo faccio scritto a mano” e poi non lo faccio mai perché ho paura della mia calligrafia. In realtà tutti i fumettisti mi direbbero “Quello che scrivi a mano a te non piace, è inevitabile, ma deve piacere ai lettori”. Al prossimo libro ci provo.

Come è realizzato L’ora X: matita, digitale? Hai cambiato tecnica rispetto a Zlatan?
Il mio percorso si è sviluppato negli anni sempre di più verso la grafite. Con Zlatan ero già arrivato a un risultato che mi piaceva, di cui ero soddisfatto; poi ho cercato di fare un passettino più in là. Quindi essenzialmente la base del fumetto è quasi tutta grafite tranne la parte del trombettista, che è ambientata ai giorni nostri, in cui c’è un acquarello molto libero. Lì mi sono proprio lasciato andare, ci sono a volte delle macchie su cui poi ho disegnato della gente perché volevo che fosse un po’ onirico; è un personaggio inventato e quindi ho utilizzato le tecniche che mi sono congeniali, cioè grafite, acquarello e un po’ di colore digitale da utilizzare sopra la grafite. È la stessa cosa che ho fatto con Zlatan ma cercando di migliorarla, per cui sono sempre ancora attaccato al disegno tradizionale per quanto poi il colore digitale ormai è parte fondamentale del mio stile (anche se stile è una parola che odio).

Il colore a macchie, il segno che resta sotto l’acquarello, le tante linee: tutto rende l’idea di un disegno vissuto, intenso, che assorbe la storia.
Secondo me andando avanti un autore tende a essere sempre più sicuro dei propri mezzi, e quindi per assurdo nel disegnare diventa sempre più istintivo, proprio perché non ha più l’insicurezza di dire “ho sbagliato un tratto, lo rifaccio”. Come dicevi tu, vedi dei segni e poi sopra ne vedi altri, perché non mi interessava camuffare un errore, comunque ero sicuro del risultato in generale: questo porta ad avere una tavola che è molto più viva. In generale credo che l’istintività del gesto sia fondamentale per avere una tavola viva. Quello che tu chiami “vissuto” io lo chiamo “vivo”, come se respirasse, se avesse vita propria al di fuori del balloon del testo. Questa cosa si ottiene col tempo, oppure avviene nell’opera prima, cioè nella via di mezzo; nell’incoscienza totale (e tu non ne sei consapevole) a volte escono risultati strepitosi, oppure accade dopo che è passata dell’acqua sotto i ponti. Perché poi c’è la fase del “oddio non sto migliorando-non sono all’altezza- dovrei migliorare questo aspetto” e quindi vivi tutte queste ansie cercando di andare a ripulire determinate cose; invece sono belle così come sono venute. Io questa ansia me la sono tolta già con Zlatan, e qua sono stato proprio sciolto: l’importante è rappresentare la storia cha abbiamo in mano, che è una bella storia e basta. Stiamo parlando di rivoluzioni, di rivolte, di lotta di classe, e stare lì con la gommina a ripulire le tavole mi sembrava davvero stucchevole. Alla fine per assurdo il risultato è che quelle tavole che tre anni fa avrei considerato assolutamente da rifare adesso mi sembrano le più belle.

Puglia, sfruttamento di operai e lavoratori, degrado sociale e ambientale, lotta per i diritti: si parla del 1969, ma tanti temi sono più che mai presenti nel nostro tempo. Che lettura può offrirci quest´opera del nostro passato, presente e futuro?
Questo è interessante perché in realtà la sceneggiatura mi è stata proposta in occasione del cinquantenario della fondazione di Lotta Continua, quindi io nella mia testa avevo l’idea di fare un fumetto che andasse a raccontare e documentare quei tempi, comunque un fumetto storico. Leggendola, e questa è stata la magia nel lavorare a questa storia, mi sono accorto che non stavo raccontando gli anni ‘70, bensì l’Italia di oggi completamente alla rovina, in cui non c’è forse mai stata un’ora X, la stiamo ancora cercando. Perlomeno la mia generazione non l’ha mai avuta l’ora X, forse l’unica che abbiamo vissuto per un attimo è stato il G8 di Genova, dove a un certo punto la collettività aveva preso coscienza di chi era e del fatto che poteva forse cambiare le cose. Lì in realtà il nostro orologio delle ore si è fermato con l’uccisione di Carlo Giuliani; da lì ci hanno completamente disperso, ognuno a lottare per la propria sopravvivenza, per la propria serenità. Quindi quando disegnavo L’ora X mi dicevo che questa è la cosa più attuale che io abbia mai disegnato, nonostante apparentemente non sembri, perché fa vedere cosa ha portato alla situazione attuale. La verità è che forse ci servirebbe adesso un movimento culturale come Lotta Continua; a parlare di certi argomenti politici sembri sempre un po’ vecchio o un po’ retorico, o sembri un estremista o un facinoroso, ma la verità è che questo tipo di atteggiamento che è nato con gli anni 80, cioè il riflusso verso il privato, ci ha fregato e ci ha portato alla situazione attuale in cui siamo un gruppo di persone sole che lotta per la sopravvivenza, mentre questa storia racconta di gente che si muoveva per la comunità, che aveva davvero voce in capitolo. È stato utile perché io sono uno di quelli che per primo crede nell’individualismo: faccio un lavoro che di per sé è individualista, noi fumettisti siamo tutti amici a Lucca ma poi ognuno per sé, ognuno per la propria carriera e non si guarda in faccia a nessuno. Ecco, L’ora X su questo mi ha fatto parecchio ragionare, forse deve arrivare prima o poi la nostra; di certo se non siamo noi stessi a spingere per far sì che questo succeda, non arriverà mai.

Pensando ai personaggi, una cosa che forse manca di vedere oggi non è tanto il tessuto sociale, i disastri che ci sono intorno, quanto, nella figura della protagonista specialmente, la speranza per qualcosa di meglio, non tanto per sé ma per tutti. Questa speranza dov’è finita, chi ce l’ha tolta, siamo noi che ci abbiamo rinunciato?
La mia generazione, che poi credo sia anche la tua, secondo me ci ha rinunciato. Il fatto che L’ora X è talmente attuale che io scopro nelle nuove generazioni, che conosco banalmente poiché insegno alla scuola dei comics, che loro quel barlume di speranza che ha la protagonista ce l’hanno, non perché sono giovani ma perché sono già nati nella disillusione. Noi no, perché quando noi eravamo giovani ci sembrava che tutto fosse possibile, e poi nel momento in cui si siamo affacciati sul mondo, ecco la crisi più grossa dal dopoguerra, e ci hanno tagliato le gambe. I giovani di adesso che hanno l’età dei protagonisti de L’ora X invece sono già nati con le gambe tagliate, quindi in realtà si rendono conto che possono solo organizzarsi per risalire. Credo tantissimo nella nuova generazione da questo punto di vista, e quindi un motivo in più per cui quando rileggo L’ora X dico che è un libro attualissimo perché non cade in questa retorica del vittimismo che appartiene alla mia generazione, che è già una generazione di vecchi, e questo è interessante.

Magari c’è anche la speranza che chi è nato già nel tessuto sociale e tecnologico attuale, piuttosto che essere assorbito come noi da social, meme, e così via, magari sappia utilizzarli come strumento sociale di aggregazione come quello che erano i gruppi, i sindacati…
Esatto, questa cosa sta già succedendo e succederà, e noi non ce ne accorgeremo perché abbiamo ancora la vecchia logica dell’utilizzo dei social per nutrire il nostro ego, perché siamo narcisisti e, ripeto, ognuno lotta per la propria sopravvivenza. Guarda nel fumetto che belle realtà che stanno nascendo a livello di collettivi artistici, Mammaiuto per fare un esempio: sono tutti under 30 o vicini ai 30, ma questi gruppi sono nati tutti da ventenni. Questa cosa la mia generazione non l’ha fatta perché alla fine il collettivo è una fatica, non si combina niente, io mi faccio la mia carriera e voi fate quello che volete e così via. Anche nel fumetto adesso si vede questa differenza perché ì ragazzi fanno collettivi, si muovono assieme, fanno collaborazioni, fanno fanzine. La self-area adesso è bellissima, neanche esisteva 10 anni fa. Succederà e noi saremo tagliati fuori, ma è giusto così.

Certo è bello che il fumetto riesca ad essere ancora un veicolo di messaggi politici forti. Ma forse nell’ambito di una casa editrice così forte come Feltrinelli potrebbero dover passare attraverso maglie più strette, più rigide…
Quando io, Marco Rizzo, Lelio Bonaccorsi siamo andati in Feltrinelli dopo i nostri trascorsi in Becco Giallo, una casa editrice molto schierata, la cosa che ci veniva chiesta sempre era “ma in Feltrinelli, casa editrice grossa, mainstream, potrete fare lo stesso?” e invece ci siamo ritrovati nella casa editrice, insieme ad altre due o tre al massimo, più militante nel panorama fumettistico. Hanno fatto libri come La fine della ragione o Roma sarà distrutta in un giorno di Roberto Recchioni, che ha cambiato totalmente il suo registro e ha raccontato della politica romana corrotta; Marco e Lelio sono saliti sull’Aquarius quando due terzi della gente in Italia voleva affondare le ONG; io ho potuto fare un libro su un calciatore che generalmente è antipatico a tutti per la sua arroganza, e l’ho fatto come volevo io, e ora un libro che ha come sottotitolo Lotta Continua, per cui fai presto a dire “ah, quelli che hanno assassinato Calabresi”. La verità è che tutti abbiamo avuto la massima libertà, e quindi questo pericolo non l’ha proprio avvertito nessuno. Pensiamo anche ai fumetti di Josephine (Fumettibrutti, NdR): io penso che sia una collana schieratissima, che non ha paura di prendersi delle responsabilità. Adesso è uscito Don Zauker, e sfido chiunque a immaginare che potesse uscire per una casa editrice così mainstream. Almeno per il mio modo di fare fumetto, che da dieci anni a questa parte è sempre stato schierato, militante, chiamalo come vuoi, Feltrinelli è un habitat ideale, nel senso che so che se un giorno arrivo volendo fare una storia molto schierata, non mi diranno di no se la storia è valida, o magari mi diranno di no se non è valida. Qui si guarda molto al contenuto, alla qualità, ma non c’è censura di nessun tipo. Secondo me questo è bellissimo perché non se lo aspettava nessuno, su questo ci scommetto.

Un paio di anni fa avevi detto di voler fare una pausa per dedicarti ad altro, ma adesso stanno arrivando molti nuovi progetti per Feltrinelli.
Sento ancora il bisogno di questa pausa, lo sentivo anche prima di questo libro, solo che davanti a una proposta di questo tipo, come faccio a dire di no? Il problema è che mi sono reso conto che in una carriera fumettistica, se sei un autore che è dentro a questo circuito, è difficile fermarsi, è un meccanismo che si autoalimenta, è quasi come la droga. Da un lato, a livello economico è una parte abbastanza importante dei miei guadagni; tra l’altro sono anche papà da 4 mesi quindi dovrei prendere questo guadagno e reinventarlo in un altro modo, una cosa non facile; dall’altro, le occasioni comunque ti capitano e non è facile dire di no. Io sento comunque questo bisogno, il bisogno di fare ricerca, di capire dove voglio andare, di evitare questa sovrapproduzione di titoli, perché comunque ho fatto dieci libri in dieci anni. Probabilmente non è questo il momento e forse non verrà mai, forse a un certo punto andrò semplicemente in crisi. La verità è che io ho già un accordo per un terzo libro, è una di quelle cose che sognavo di fare da sempre, e come faccio a dire di no a questa cosa. Magari vorrei che i tempi fossero più elastici, però capisco che il mercato librario ha le sue regole, o ci stai o fai le tue autoproduzioni, non puoi volere tutto dalla vita; quindi prendo atto che è il mio lavoro, c’è gente che lavora in miniera o nei call center, e io chi sono per lamentarmi? Quindi sto zitto e faccio il mio lavoro.

A proposito di questo terzo libro cui hai accennato: si può già dire qualcosa?
Non è per ragioni di top-secret editoriale, però ti dico di no perché non siamo neanche certi di farlo. Sicuramente il terzo libro si farà entro il 2020, ma se sarà questo lo sapremo entro un mesetto perché stiamo cercando di verificare una questione legata a dei diritti; quindi non posso dirti nulla, anche per la sana scaramanzia italiana. La sola cosa che posso dirti è che ci sarà un cambio radicale a livello stilistico: lo sto studiando in questo periodo, sto facendo delle ricerche stilistiche molto diverse dalla mia. Ho fatto dei test e credo di essere comunque riconoscibile, però sarà diverso perché il percorso legato alla grafite si è concluso, ho bisogno di altro e, se parte, questo progetto sarà una cosa ambiziosa, sarà quel libro che se sbagli sei finito. Non voglio esagerare, però si toccheranno grosse tematiche universali, di quelle che dici “ma chi si crede di essere a fare questa cosa?”. Però dopo dieci anni e dieci libri, se non lo faccio adesso quando mai lo farò? Io volevo fare questo libro sei-sette anni fa e quando lo proposi a un editore mi disse “non sei ancora pronto per farlo”. Vediamo quindi se si farà, adesso sono pronto.

Intervista effettuata dal vivo a Lucca Comics & Games 2019.
Si ringrazia Laura Cassarà per il prezioso lavoro di sbobinatura.

Paolo Castaldi

Paolo Castaldi si è imposto con la graphic novel Diego Armando Maradona, con cui ha raccontato a fumetti uno dei miti del calcio. Fra le altre sue opere, pubblicate in vari paesi del mondo, Etenesh, l’odissea di una migrante, Gian Maria Volonté (su sceneggiatura di Gianluigi Pucciarelli), Pugni (insieme a Boris Battaglia) e Allen Mayer. All’attività di fumettista, Castaldi affianca quella di disegnatore di storyboard, che lo ha portato a collaborare con lo studio di Bruno Bozzetto. Per Feltrinelli Comics ha pubblicato Zlatan. Un viaggio dove comincia il mito (2018). Il suo sito ufficiale è paolocastaldi.it (bio tratta da comics.feltrinellieditore.it/autore/paolo-castaldi/ )

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