Odessa è la nuova incursione nella fantascienza in casa Bonelli, un genere che per anni è stato appannaggio del solo Nathan Never (e serie accessorie), per poi passare attraverso Gregory Hunter, Brad Barron e, in anni più recenti, Orfani.
Senza dubbio però, nell’immaginario dei lettori bonelliani, è stata soprattutto la serie ideata dai “tre sardi” Medda, Serra e Vigna a presentare in quasi trent’anni una gran varietà di declinazioni del genere, da storie alla Blade Runner ad ambientazioni post-apocalittiche, dai mostri giganti alla space opera, dal contatto con razze aliene al conflitto sociale e politico come evoluzione dei rapporti del presente. Un calderone che da una parte ha reso la serie varia e imprevedibile, dall’altra non ha permesso di approfondire e focalizzare idee e spunti altrettanto meritevoli.
Oggi la possibilità di esplorare in maniera mirata tematiche più specifiche è un aspetto potenzialmente foriero di novità e di interesse, e lo si avverte in particolare in una serie dallo spunto tanto specifico quanto quello di Odessa, che deriva il proprio nome dalla omonima città ucraina e prende il via quando una enorme astronave aliena da deportazione, appartenente ai misteriosi “Ignoti”, a seguito di un tentativo di sabotaggio si fonde alla cittadina terrestre, rinchiudendola in una bolla fuori dal tempo e dal resto del mondo e costringendo le 207 specie aliene stipate dentro la nave a convivere assieme a quella umana.
La serie – che, è bene ricordarlo, ha avuto una gestazione molto lunga – si presenta quindi con un’idea che da una parte rappresenta un classico della fantascienza (si pensi a Deep Space Nine o Babylon 5 nell’ambito televisivo, a District 9 in quello cinematografico o a un classico della BD come Sillage per restare in ambito fumettistico), per quanto forse meno sfruttato di altri, dall’altro risulta potenzialmente attuale e con forti connotazioni politiche e sociali, con l’insieme quanto mai vario di razze diverse costrette a convivere e a fare fronte comune per sopravvivere. Da questo primo albo non è facile prevedere se questo sarà uno degli aspetti cardine della storia, ma l’idea di puntare in maniera decisa anche sul ruolo di critica e analisi socio-politica che la fantascienza ha spesso ricoperto risulterebbe quanto mai azzeccato e al passo con la realtà sociale contemporanea in cui siamo immersi.
L’albo di esordio, Dopo la fusione, si presenta sostanzialmente introduttivo e sembra puntare a presentare quanti più elementi fondanti della serie a costo di sacrificare approfondimento, ritmo e, soprattutto, personaggi e ambientazione. Questo porta ad alcune sequenze eccessivamente didascaliche e a una certa smania per riportare fatti e spiegazioni che, a fine lettura, viene da pensare avrebbero potuto tranquillamente trovare posto nei prossimi numeri, in cambio di un respiro maggiore delle vicende di questa prima storia.
Invece accade che la città di Nuova Odessa resti sostanzialmente sullo sfondo, descritta dalle didascalie più che mostrata in scene di vita quotidiana, e che i personaggi godano di un trattamento un po’ sbrigativo, rasentando pericolosamente il cliché con il russo Goraz, uomo forzutissimo ma contrario alla violenza, che si concretizza in dialoghi pretestuosi.
Generalizzando, la definizione della serie passa in questo primo numero più dal “dire” che dal “mostrare” per la volontà di affollare le pagine di concetti ed elementi narrativi, finendo per dar vita a una sorta di “catalogo”, sì variegato e ricco, ma anche carico di una certa freddezza e conseguente difficoltà nell’empatizzare con i personaggi e le loro motivazioni.
E dire che la profondità, il dettaglio e l’ampiezza dell’universo ideato dallo sceneggiatore Davide Rigamonti, con la supervisione di Antonio Serra, e immaginato graficamente da Mariano De Biase si percepiscono comunque. Ma a questo vasto sfondo narrativo – che potrebbe permettere in futuro la narrazione di racconti di vario genere, ambientati prima o dopo la fusione – avrebbe giovato un respiro maggiore in quest’esordio, magari con una storia in due parti, per lasciar parlare – o mostrarsi – la città stessa, che è forse la più affascinante tra i protagonisti (come il titolo della serie parrebbe confermare). In casi come questo, la chiarezza e la linearità del classico canone bonelliano rischiano di diventare un limite del dover raccontare tanto e subito per regalare il minimo sforzo al lettore.
Il segno di Matteo Resinanti è chiamato a dar corpo a una gran varietà di creature, a volte anche solo per poche vignette, e a dar vita al gran lavoro di preparazione di De Biase che si cela dietro la serie – anche se questo non si è tradotto sempre in creazioni particolarmente originali, come i sermoth chiaramente ispirati ad Alien. Lo stile è prettamente realistico ma nelle scene d’azione spicca per la scelta di deformare i corpi per assecondare il movimento e rendere maggiormente dinamica la resa, anche attraverso la scelta di prospettive forzate e tese. I personaggi risultano espressivi, puntando sulla mimica facciale e sugli occhi.
La struttura delle tavole denota una precisa impostazione che sembra anch’essa studiata “a tavolino” durante la preparazione. Alla classica griglia a tre strisce, intramezzata da alcune splash page, si accompagnano alcune interessanti tavole divise in quattro grandi vignette, che rimandano a una delle soluzioni più usate dal Jack Kirby più maturo del fumetto statunitense. Inoltre, molte pagine si configurano con una immagine di fondo a bordo vivo su cui si imposta, in alto o in basso, una mini griglia regolare di tre vignette. Il tutto, comunque, sempre improntato a una chiara leggibilità e al riuscito tentativo di fugare una monotonia grafica e visiva, che sta prendendo sempre più piede in molte testate bonelliane.
Rispetto al colore, ormai non più così “eccezionale” per i fumetti Bonelli, c’è da notare come questo tenda a un effetto più luminoso e artificioso rispetto ad altri esempi recenti (da Orfani a Mercurio Loi), spingendo molto sui riflessi e su colori piatti a costo di risultare più di impatto ma meno equilibrato. Una colorazione che farebbe pensare a un racconto per certi versi più kitsch, in questo caso giustificato dal crogiolo di razze aliene presenti a Odessa, di quanto poi in realtà sia. Invece i toni, anche nell’azione, risultano piuttosto compassati, raramente sopra le righe o particolarmente spettacolari nella resa, nonostante il materiale si presti sicuramente.
Odessa si presenta dunque ai lettori, almeno all’esordio, come un ritorno alla fantascienza della casa editrice di via Buonarroti, piuttosto che una fusione tra questo genere e il fantasy come annunciato. Una serie che rifugge certo l’hard sci-fi e che nel prosieguo può avere le carte in regola per contaminarsi con altri generi. Le premesse ci sono, non resta che vedere come saranno sviluppate da Rigamonti e soci, e se i lettori vorranno dar fiducia alle potenzialità presenti e non ancora espresse.
Abbiamo parlato di:
Odessa #1 – Dopo la fusione
Davide Rigamonti, Matteo Resinanti, Mariano Di Biase (copertina)
Sergio Bonelli Editore, maggio 2019
96 pagine, brossurato, colore – 5,90 €
Mario
27 Maggio 2019 a 10:12
Francamente mi ha lasciato un po’ freddo. Oltretutto il prezzo di vendita è assolutamente sporporzionato, € 5.90 per sole 96 pagine è esagerato. Forse temono che le vendite siano basse e vogliono coprire i cosi in pochi numeri. In un periodo di recessione fummettistica come l’attuale non mi sembra una buona idea. Attendo i prossimi nuemeri per capire se valga la pena acquistarlo o se sarà un altro flop come Mercurio Loi.
la redazione
27 Maggio 2019 a 12:36
Chi vivrà vedrà: crediamo però che debba essere il piacere di leggere a determinare se acquistarlo o meno, non tanto il successo di vendite. Mercurio Loi sarà finito anzitempo, ma chi lo ha seguito lo ha apprezzato molto comunque (noi in primis).