“Nomen omen”, volume 2: epic fantasy

“Nomen omen”, volume 2: epic fantasy

“Nomen omen”, la miniserie di Marco B. Bucci e Jacopo Camagni edita da Panini Comics, compie un'interessante evoluzione, grazie a una narrazione più ariosa e a disegni che innalzano gli standard già elevati del primo volume.

Wicked game, secondo volume di Nomen omen, miniserie ideata da Marco B. Bucci e Jacopo Camagni, comincia esattamente al termine del primo, dopo i lunghissimi istanti della caduta descritti nel romanzo The fall.
Uscito a cavallo tra i due volumi a fumetti, il libro sviscera, lungo i dodici capitoli che lo compongono, il pregresso dei personaggi principali, attraverso uno stile di scrittura piuttosto accessibile, ricco di discorso diretto, risultando il corollario ideale del filone narrativo principale pubblicato nei volumi a fumetti.

More than a genre

International urban fantasy: così avevamo titolato la recensione che analizzava il primo volume di Nomen omen. Alla luce di questo secondo, possiamo affermare che questo tipo di definizione non sembra più sufficiente a descrivere l’opera, visto che Bucci e Camagni hanno ampliato talmente tanto la portata della storia da rendere difficile la sua collocazione all’interno di un genere così specifico.

Gli eventi narrati, i luoghi utilizzati, la crescita dei personaggi, evocano ora il senso dell’eroico e suggeriscono una connotazione quasi epica, per la complessità e coerenza dell’universo immaginato dai due autori.
Una delle cose più piacevoli e divertenti durante la lettura, il mettersi a cercare il significato di alcuni termini presenti nel racconto, scoprendo così i numerosi riferimenti alla cultura gaelica, da quelli più “alti”, come il ciclo feniano, fino alle più prosaiche antiche festività pagane.

Progressione (tecno)magica

Dopo un incipit piuttosto movimentato, diretta conseguenza degli eventi narrati al termine del primo capitolo, la sceneggiatura si concentra sulla progressione di Becky nell’acquisizione della padronanza delle arti magiche, mentre in parallelo si sviluppano le trame relative a comprimari e antagonisti. Il tempo è scandito da una serie di tavole dalla struttura iterativa che evidenziano la difficoltà e il tempo necessari alla protagonista per erudirsi.

La pregressa esperienza della ragazza, che è una vera nerd nel senso più puro del termine, diventa la chiave di volta affinché i faticosi studi compiuti trovino uno sfogo: il risultato è una commistione tra magia e tecnologia, una “tecnomagia” che rende Becky unica nel mondo magico di Nomen omen.
Questa peculiarità fa il paio con un’altra unicità che distingue Becky dagli altri attori magici: l’ironia.

Spesso e volentieri la protagonista alterna riflessioni profonde con battute di spirito, il più delle volte legate alla cultura pop e al mondo della tecnologia in particolare. In mezzo ai discorsi aulici di Lady Macbeth o Taranis, la personalità di Becky risalta così ancora di più, delineando infine un personaggio in crescita, ora con il carisma necessario per diventare la vera protagonista del racconto, mentre le esigenze di presentare l’universo narrativo l’avevano un po’ messa da parte nel primo volume.
In chiusura, le trame confluiscono coerentemente in un epilogo dal ritmo incalzante, che si risolve in un nuovo cliffhanger molto ben costruito.

Da Bonnie Tyler a Chris Isaak

I disegni di Jacopo Camagni compiono una parabola che, con uno sforzo di immaginazione, potremmo assimilare alle due famose canzoni degli anni ’80 che danno il titolo ai volumi. Nel primo, Total eclipse of the heart, i disegni seguivano l’incalzare del brano di Bonnie Tyler, esplodendo di tanto in tanto in sequenze d’azione particolarmente spinte, per poi tornare nella quiete.
Le atmosfere più soft di Wicked game si adattano invece all’andamento della storia del volume in esame, e quindi ai suoi disegni. Qui il ritmo è più regolare e riflessivo, il percorso di crescita di Becky necessitava di una narrazione più posata e, pur non mancando sequenze più movimentate, quelle di dialogo sono preponderanti.

Nonostante queste esigenze narrative, le tavole di Camagni sono un inno alla varietà: composizione e tratto sono entrambi manifestazione di un eclettismo che rende il suo disegno molto personale, proprio per la coesistenza di diversi stilemi che rimandano a varie tradizioni del fumetto. Nel prologo ed epilogo, più movimentati, emergono i rimandi al manga, mentre nella parte centrale la composizione si avvicina più al comic americano.

Le citate sequenze dalla struttura iterativa, composte in dittici, rappresentano un ottimo esempio di gestione dei tempi. In questi frangenti, la tavola a sinistra è scomposta in griglie 3×3 in cui le prime sei vignette, mute, descrivono sempre i medesimi momenti della giornata di Becky, mentre nelle ultime tre la protagonista si allena nelle evocazioni. Qui l’occhio si trova come a seguire un metronomo che scandisce il ritmo della griglia. La tavola a destra è invece una splash che rappresenta Becky al lavoro, con le didascalie che rammentano il trascorrere dei mesi e la scrivania che via via è sempre più affollata di oggetti e appunti: a questo punto il lettore può concentrare l’attenzione sui vari elementi dell’unica vignetta, decidendo egli stesso la quantità di tempo necessaria per esaminare l’immagine più grande e i suoi particolari.

Interessanti poi le soluzioni grafiche che Camagni utilizza quando si squarcia letteralmente il velo tra la nostra realtà e quella parallela e i variopinti sfondi della tavola ne diventano parte integrante.
L’espressività e la recitazione dei personaggi, la scelte registiche, la cura nella realizzazione di sfondi e dei particolari che compongono la scena, rendono molto appagante la lettura, grazie anche a tavole dalla struttura mai fissa, inframmezzate da diverse splash d’effetto e da una meravigliosa spread page al centro dell’albo.
Anche in questa occasione le sequenze oniriche sono affidate all’estro di Fabio Mancini, la cui perizia tecnica si unisce alla varietà nelle scelte di composizione, rendendole ancora una volta un gustoso contraltare alle tavole di Camagni.

Un progetto complesso e in divenire

Il romanzo The fall, come detto all’inizio, è un ulteriore tassello che va a completare un progetto fondato sulla crossmedialità. Pur essendo comunque la storia nata nel solco  del genere fumettistico, si tratta di un’opera di narrativa che non pecca di compiutezza, dimostrando quanto Bucci si muova con consapevolezza nel mondo di Nomen omen, che è stato evidentemente pensato fin nei minimi dettagli.

In realtà, la genesi del progetto prevedeva, oltre ai fumetti, un account Instagram che la protagonista utilizza come diario dei sogni, attraverso delle composizioni fotografiche che hanno poi un reale riverbero nel fumetto.

L’idea di pubblicare un romanzo è stata un’ulteriore scommessa della casa editrice, che ha voluto raccogliere in volume una serie di racconti che spontaneamente Bucci aveva cominciato a realizzare. L’universo espanso era infatti l’unico modo per seguire la necessità di raccontare quello che evidentemente non poteva essere ricompreso in volumi dalla cadenza annuale.

Wicked game è dunque un secondo capitolo perfetto per una saga che, sorretta da una scrittura e da disegni di livello, ha acquisito un respiro tale da meritare tutta la fiducia che la Panini ha dimostrato di concedere al progetto.

Abbiamo parlato di:
Nomen omen vol. 2 – Wicked game
Marco B. Bucci, Jacopo Camagni, Fabio Mancini
Panini Comics, 2018
96 pagine, rilegato, colori – 14,00 €
ISBN: 9788891242839

The fall
Marco B. Bucci
Illustrazioni di Jacopo Camagni
Panini Books, 2018
272 pagine, rilegato – 19,00 €
ISBN: 9788891241498

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