Lorenzo Calza (Piacenza,1970). Sceneggiatore, musicista, autore, disegnatore, esordisce in ambito fumettistico nel 2000 con Arkhain (Panini Comics) e dalla fine degli anni Novanta entra nello staff di Julia. Impegnato in ambito politico e sociale, ha all’attivo tre album, un cortometraggio, alcune collaborazioni con quotidiani e due libri: La Commedia è finita (Robin Edizioni), con illustrazioni di Roberto Zaghi, e Panico (Edizioni della Sera). Come autore completo firma le vignette di She.
La prima domanda è la più banale: come si scrive una sceneggiatura a quattro mani?
Semplice, non si fa! Prima si discute del soggetto, a partire da un orientamento di Giancarlo Berardi. Poi il titolare della storia (io o Maurizio Mantero) stende i dialoghi della sceneggiatura, che in seguito viene riletta e ottimizzata da Berardi. Poi la palla torna a noi che facciamo la regia e i layout per i disegnatori. Le mani in azione sono sempre due per volta, a ogni passaggio.
In una intervista hai detto che, per raccontare una protagonista femminile, la parola chiave è “mimesi”. Giancarlo Berardi ha sempre dichiarato di attingere e riversare parte di sé nei propri personaggi e immaginiamo che Julia non faccia eccezione. Ma quanto Julia è anche “figlia” tua?
Dopo averne scritto migliaia e migliaia di pagine, ed aver passato con lei tanta parte della mia esistenza, sento Julia come la può sentire Leo, il suo amico fraterno di sempre: siamo un “intreccio” di vissuto e sensazioni in comune. La mimesi è fondamentale per poter mettere in scena un credibile character femminile, il processo di immedesimazione nel sentire di una donna è un’opera di scavo anche nella propria indole maschile.
Mi è tornata utile nella vita, oltre che nel lavoro.
Dopo 200 numeri scrivere la serie diventa più facile o più impegnativo?
Il tempo ti dà esperienza e scattano automatismi che facilitano tutto, ma il segreto del nostro mestiere consiste nel mantenere la capacità di stupirsi, e quindi di stupire. Il meccanismo del giallo/noir aiuta, grazie all’espediente dell’indagine, che è sempre – alla fine – un’indagine umana. Sono onorato di aver sceneggiato il numero DUECENTO – che uscirà a colori – traguardo importante per una serie popolare italiana. Per i media, sarebbe ora di dedicare la giusta attenzione al fenomeno “Julia”, protagonista di un successo editoriale ultraventennale, che non ha corrispettivi nel pianeta del fumetto al femminile. Con le nostre 126 pagine mensili siamo, forse, il più grande cantiere di gialli al mondo, è bene sottolinearlo!
Una delle peculiarità di Julia è la sua impostazione che se da un lato non abbandona la storia autoconclusiva (fruibile anche dal lettore occasionale), dall’altro sviluppa una continuity rigorosa, un processo graduale di evoluzione del personaggio, che ne arricchisce la biografia e soprattutto la psicologia. Quanto è difficile gestire questo aspetto? Il futuro di Julia è già scritto o questo processo di crescita del personaggio coinvolge anche voi scrittori?
Non solo non sappiamo cosa accadrà a Julia nel corso della sua vita, ma neppure quello che le capiterà alla fine di un episodio, quando lo iniziamo. È uno dei modi per mantenere integra la capacità di stupirsi.
Uno dei meriti della serie è l’uso di analogie e allegorie, spesso ci sono sequenze che, se opportunamente decifrate, aprono a più livelli di lettura, estendendo i “confini” della storia. Un atto di fiducia nei confronti di chi legge, ma allo stesso tempo un espediente che rischia di essere ignorato, e quindi non apprezzato, con una lettura superficiale o frettolosa. Quanto è rischioso il ricorso a tecniche narrative di questo tipo per un seriale?
I grandi scrittori americani degli anni Quaranta e Cinquanta, dalla cui scuola narrativa Julia proviene, erano scrittori seriali. Seminare qualcosa che andasse oltre gli schemi, la banalità e il percorso obbligato era il loro metodo. Un dialogo, un dettaglio, una citazione. Per questo autori come Dashiell Hammett, Raymond Chandler, Charles Williams, Horace Mc Coy, David Goodis, James M. Cain e cento altri, pur nella loro diversità, rimarranno eterni: sapevano raccontare, ogni loro personaggio era una figura a tutto tondo, con la sua sensibilità e il suo vissuto. Julia legge, s’informa, ascolta e suona musica, frequenta i giovani grazie all’attività d’insegnamento universitario, e indaga su efferati delitti. Tutto ciò apre un mondo a più livelli, che può essere letto, ma anche riletto, trovandoci sempre nuove cose. Proprio come capitava ai suoi “padri” letterari.
Quello di Myrna è sicuramente il personaggio più forte tra quelli che popolano il cast di Julia. Non solo perché è l’unico negativo tra quelli ricorrenti, ma sopratutto perché è stato protagonista di una interessante trasformazione, che l’ha resa da “semplice” serial killer a catalizzatrice degli istinti morbosi e feroci presenti nelle persone “normali”. È un modo per riflettere sulla violenza insita nella nostra società o una riflessione sull’indole criminale?
La criminologia insegna che i serial-killer non sono un fenomeno di “pura devianza”, ma la cartina di tornasole di tanto che ci riguarda. Tutti noi abbiamo dentro mix di pulsioni di natura sessuale, culturale, religiosa, ancestrale, e i nostri freni inibitori ci permettono di gestire la materia depositata nell’inconscio. In alcuni, il diaframma si rompe, i freni si mollano, e la materia oscura esonda, allaga tutto. “I buoni lo sognano, i cattivi lo fanno”, recita il titolo di un fortunato saggio di Robert Simon sull’argomento. A volte gli argini sono rotti da traumi esistenziali, altre volte dalla pressione sociale. Oppure da diversi elementi insieme, come capita a Myrna.
Spesso la posta ospita contributi di lettrici, che si immedesimano o apprezzano la personalità di Julia. Quanto è importante per uno scrittore raggiungere questo risultato? Sapete quanti dei vostri lettori sono donne?
La grande maggioranza. Non solo perché Julia è un personaggio femminile, ma anche perché esce dal tradizionale bacino d’utenza del fumetto, facendo capolino in quello della letteratura d’intrattenimento. E, come dicono le statistiche, le donne leggono di più. In questo senso – non me ne vogliano le lettrici – quando ci scrive un maschietto siamo particolarmente felici. Perché sappiamo che chi legge Julia non troverà superomismi o scene di azione fini a se stesse, ma un percorso caldo e avvolgente, a volte tenero, a volte disperato, con dentro tante cose: la sensibilità, l’empatia, in primis. E questo è importante per l’uomo contemporaneo, in crisi d’identità prima ancora che economica o di valori.
Lorenzo Calza oltre Julia: hai inciso tre dischi, diretto un cortometraggio, scritto due libri (La commedia è finita e Panico), e vignettista con She. Sulla tua carta di identità alla voce professione troviamo?
Scrivo, disegno, cittadino (mi piace considerarlo un verbo).
Ringraziamo Lorenzo Calza per la disponibilità!
Intervista rilasciata via mail il 24 marzo 2015