Jacopo Rauch, Zagor e il numero 600!

Jacopo Rauch, Zagor e il numero 600!

Jacopo Rauch è lo sceneggiatore di Zenith #651, seicentesimo appuntamento con Zagor: noi lo abbiamo intervistato.
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Jacopo Rauch in compagnia di Gallieno Ferri

Jacopo Rauch è uno sceneggiatore toscano, nato a Siena nel 1970. Fa il suo ingresso alla Sergio Bonelli Editore nel 1999, quando, sotto la supervisione di Mauro Boselli, scrive due storie per Zagor che vengono pubblicate solo tre anni più tardi, con il titolo di Delaware! e I naufragatori.
Per i quattro anni successivi, Rauch abbandona il lavoro di sceneggiatore, per ritornarvi poi in maniera continuativa dal 2006, diventando uno degli autori di punta di
Zagor. Accanto al suo lavoro nel mondo del fumetto, Jacopo Rauch affianca altre attività, in veste di grafico, designer e traduttore.
Proprio a lui è toccato l’onore (e l’onere) di scrivere la storia che compare in
Zenith #651, seicentesima apparizione ufficiale dello Spirito con la scure. E proprio con lui si rinnova la tradizione che vuole ogni numero “centenario” della collana mensile scritto da un autore diverso.
Di questo e di tante altre cose abbiamo parlato con Jacopo in questa intervista.

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Mostra antologica su Magnus (Bologna, 2007) – Allestimento di Jacopo Rauch

Cominciamo da una domanda all’apparenza semplice: in rete si legge che Jacopo Rauch è grafico, designer, traduttore e sceneggiatore di fumetti. Dunque, chi è in verità Jacopo Rauch?
Ora come ora, sono semplicemente uno sceneggiatore di fumetti. Ma fino a qualche tempo fa, prima che cominciassi a scrivere per Zagor in maniera più massiccia e continuativa, svolgevo anche altre attività per sbarcare il lunario. Grafico e designer, essenzialmente, ma anche traduttore per la piccola casa editrice di famiglia, la Principi e Princìpi. E prima anche molto altro (operaio, cameriere, emigrato in Inghilterra per molti anni, quando ancora non era di moda…). Diciamo che ho avuto una vita lavorativa piuttosto “variopinta”. Sono un degno rappresentante di quella che qualcuno ha definito “generazione liquida”, per quanto riguarda il lavoro. Niente posto fisso e tanto movimento. Ma non me ne lamento per niente dato che ho sempre fatto più o meno quello che volevo. Sono stato fortunato.

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Mostra antologica su Magnus (Bologna, 2007) – Allestimento di Jacopo Rauch

Quando sono entrati i fumetti nella tua vita di lettore e quali erano le storie, i generi e gli autori da te preferiti?
I fumetti ci sono entrati fin da piccolo, nella mia vita, dato che mio padre possedeva, e possiede, una biblioteca personale fornitissima. Da bambino vagavo in casa tra scaffali ricolmi di Linus (la rivista), Asterix, Corto Maltese, Jeff Hawke, Dick Tracy e, soprattutto, Tex!… Essendo poi nato nel 1970, io, proprio quando cominciavo a leggere, ho avuto anche la fortuna di avere in edicola Guida Nolitta al top della produzione. Per un ragazzino, trovarsi tra le mani quegli Zagor e quei Mister No è tanta roba. Ti segna. Li compravo con le figurine Panini dei calciatori, all’uscita di scuola, e poi li commentavo dal giorno dopo, con gli amici, per un mese di fila, fino all’uscita del numero seguente. Il mio genere preferito, dunque, è sempre stato l’Avventura. Sottoforma di western, preferibilmente, e di horror. Con queste premesse, sceneggiando Zagor direi che mi trovo a meraviglia.

zagor_545Le cronache raccontano che, agli esordi, ti sei presentato in Bonelli inviando due sceneggiature complete (e da te anche disegnate): una di 400 pagine su Mister No e una di 200 pagine su Tex! È tutto vero?
È vero, è vero. Invece del canonico soggetto, come si usa fare in questi casi, spedii in redazione due storie complete, già bell’e disegnate. Una in cui Mister No veniva coinvolto niente meno che nella rivoluzione cubana. E una di Tex in cui il ranger, inseguendo dei banditi, si trovava ad affrontare una comunità di fanatici religiosi (soggetto che poi ho ripreso e riadattato per Zagor nella storia Uomini senza legge, tanti anni dopo). Di fronte ai due malloppi, i rispettivi curatori di Tex e Mister No, che erano Decio Canzio e Michele Masiero, misero le mani avanti e passarono la patata bollente a Boselli. Il buon Bos, invece, ebbe il fegato di aprire i plichi e visionare il tutto. Non so se si lesse davvero tutto quanto, ma in ogni caso quello che vide, per fortuna, fu sufficiente per spingerlo a contattarmi per darmi una chance su Zagor, di cui lui era il curatore a quei tempi. Mi chiese di mandargli qualche soggetto semplice, questa volta, su cui poter cominciare a sceneggiare sotto le sue direttive. E così feci con Delaware!, la prima storia di Zagor che ho realizzato.

Tu hai un modo molto particolare di sceneggiare, nel senso che i disegnatori si trovano davanti sceneggiature che sono vere e proprie tavole a fumetti, già suddivise in vignette e complete di dialoghi. Da dove è derivato questo tuo modo di lavorare, che in alcuni aspetti ricorda molto da vicino quello di un certo Guido Nolitta?
Quella di inventare storie e di disegnarle “alla carlona” è una passione che mi tiro dietro fin da bambino. Usare la matita mi piace e il vezzo di schizzare le mie storie mi è rimasto, anche quando scrivere è diventato un lavoro vero e proprio. Quantunque sia divertente, realizzare lo storyboard completo di una storia è molto lungo e faticoso. Col tempo, dunque, ne ho di molto ridimensionato l’uso a favore di una sceneggiatura più tradizionale e veloce. Ormai uso lo storyboard solo per le scene d’azione o per tavole in cui voglio delle inquadrature particolari. Inoltre, rispetto agli inizi, non sono più curati come un tempo, ma molto più abbozzati.

A prima vista queste tue sceneggiature particolari (quando usi lo storyboard) parrebbero limitare le scelte di un disegnatore, ma allo stesso tempo esse possono anche facilitare il suo lavoro. Quanta libertà lasci a ogni autore e quali sono gli scambi e i rapporti tra voi durante la lavorazione della storia?
Quello di non essere troppo invasivo circa la libertà creativa dei disegnatori è un problema che mi pongo sempre. Il rischio che un autore possa sentirsi imbrigliato da una sceneggiatura con le inquadrature “bloccate” da uno storyboard molto dettagliato, in effetti, c’è. E così, ogni qual volta comincio una nuova collaborazione, mi premuro di avvertire il malcapitato di turno di sentirsi libero di interpretare secondo il suo stile quello che io gli presento. Devo dire comunque che, fino a ora, ho lavorato con disegnatori che hanno sempre seguito le indicazioni dello storyboard con grande diligenza e, oserei dire, persino con entusiasmo. Alla fine non ho mai avuto problemi con nessuno.

DelawareHai scritto le tue prime due storie per Zagor, poi pubblicate nel 2002 (Delaware! e I naufragatori). In seguito, fino al 2006, sei “sparito”per poi tornare, da quel momento, a scrivere in modo continuato per lo Spirito con la scure: cosa è successo in quello iato temporale?
Ho avuto un calo di zuccheri creativi. Un blocco. Non riuscivo più a trovare uno spunto decente e mi ero convinto di non poter fare questo lavoro. Durante quel periodo, così, ho mollato temporaneamente le sceneggiature e mi sono trasferito in Inghilterra (luogo in cui avevo già vissuto in precedenza), dove sono rimasto per tre anni in tutt’altre faccende affaccendato. Un cambio d’ambiente che mi ha fatto bene, evidentemente, perché poi mi sono riproposto a Boselli e  Burattini con il soggetto de Il vagone blindato, la storia con cui ho ripreso a sceneggiare per Zagor, senza più fermarmi.

Ti hanno definito, in passato, un autore “boselliano”: ti ritrovi in tale definizione e, secondo te, quali sarebbero le caratteristiche comprese nell’/tipiche dell’essere “boselliano”?
Beh, essere accostati a uno dei più grandi sceneggiatori italiani di sempre fa piacere, ma, sinceramente, non so in che misura quella definizione mi si attagli. Forse, essendo stato Mauro il mio mentore e colui sotto il quale ho imparato a sceneggiare Zagor, qualche caratteristica del suo stile l’ho assimilata, per osmosi. Il modo rapido di sceneggiare le scene d’azione, forse. O lo Zagor un po’ smargiasso, tipico soprattutto del primo Boselli.  A parte questo, però, le mie storie hanno tutte una struttura molto semplice, ben lontana dalle trame di ampio respiro e zeppe di personaggi, tanto care al Bos. Per non parlare della scrittura. Di lui mi fa impazzire soprattutto la scioltezza con cui rende plausibile il fantastico. Una capacità veramente difficile da imitare. Supportata inoltre da una cultura enciclopedica.

Pensi di avere qualche caratteristica in comune con Guido Nolitta e Moreno Burattini? Quali?
Ma scherzi?… Magari, ne avessi!… Al limite, posso dirti ciò che mi piace di loro. Di Moreno, la grande inventiva che c’è sempre in ogni sua storia, anche la più semplice, e l’intelligenza dei suoi intrecci a orologeria. Nonché una profondità di scrittura che io sono ben lontano dal possedere. Mentre di Nolitta… beh… occorre forse parlarne? Praticamente tutto!

A parte Nolitta e Burattini, quale altro autore, nel passato e nel presente, ritieni sia stato essenziale per il successo di Zagor?
Boselli, ovviamente. Ma anche tutti gli altri pezzi da novanta che, dopo Nolitta, si sono succeduti nel tempo a scrivere Zagor. Sclavi, Castelli, Toninelli e anche Capone. Ognuno di loro ha messo il suo mattoncino nella costruzione della saga e ha più di una storia memorabile al suo attivo.

Zagor 600Arriviamo finalmente a Zenith #651, cioè il seicentesimo numero di Zagor in uscita a luglio. Con te si rinnova la tradizione che vuole ogni numero “centenario” della collana mensile scritto da un autore diverso; ricevuto il testimone da Moreno Burattini, in coppia con Ferri hai creato Il giorno dell’invasione, storia che segnerà il ritorno degli Akkroniani, la cui prima apparizione nel 1980 coincise con l’addio di Guido Nolitta alle sceneggiature di Zagor. Come nasce questa avventura e, nei limiti dello spoiler, che conseguenze avrà, se ne avrà, per il futuro di Zagor?
Ti dirò, è nato tutto quasi per caso. Inizialmente, infatti, il progetto della direzione era di affidare il centenario a Burattini, il quale aveva deciso di scrivere una storia che facesse da prologo al ritorno di Hellingen, dal titolo La Rivolta delle macchine. Come spesso succede, però, la storia in questione, nel passare dal semplice soggetto alla sceneggiatura, si è arricchita di nuovi elementi nella testa del suo autore. In altre parole, Moreno si è reso conto, scrivendola, che sarebbe stata molto più bella se realizzata con più pagine rispetto alle 94 del centenario e così, un giorno che sono andato a trovarlo in redazione, mi ha chiesto di punto in bianco se avessi eventualmente qualche buono spunto con cui sostituirla per il numero a colori. L’idea mi è venuta subito. Quale miglior avversario degli Akkroniani, per celebrare a dovere il seicentesimo? Oltretutto, un ritorno del genere poteva far da trampolino di lancio anche al dittico di storie che stava scrivendo Moreno per il ritorno di Hellingen! Tornando a Firenze in treno, ho elaborato dunque un soggetto che mi sembrava intrigante e il giorno dopo l’ho presentato a Moreno, a cui è piaciuto. Anche la direzione ha dato il suo plàcet, e così il 600 è diventato Il Giorno dell’invasione, mentre La rivolta delle macchine è slittato al 601. In più, la tradizione del centenario è stata rispettata ancora una volta. E in tutto e per tutto, direi, dato che la leggenda vuole che questa alternanza di autori non sia mai stata voluta o pianificata a tavolino, ma sia sempre stata del tutto casuale e frutto delle circostanze. La mia storia, dunque, per rispondere alla seconda parte della tua domanda, dal punto di vista della continuity, avrà come conseguenza immediata, innanzi tutto, il ritorno di Hellingen (si tratta di un albo perfettamente autoconclusivo, naturalmente, proprio come tutti i centenari che l’hanno preceduto, ma io e Moreno ci siamo coordinati perché contenga al suo interno i germi che daranno il via al ritorno del mad doctor, dai numeri successivi). Avrà però anche una valenza simbolica in più.  Farà, per così dire, da spartiacque! Dal 600 in poi, infatti, nei prossimi anni, oltre a Hellingen, ricominceranno con molta gradualità a calcare nuovamente le scene della saga anche altri nemici illustri dello Spirito con La Scure. I più amati dai lettori. Quelli che mancano all’appello ormai da tanto tempo. Rakosi il vampiro, per dirne uno. Ma anche altri…

Quali sensazioni ti ha suscitato vedere le tavole della tua sceneggiatura trasformarsi nelle tavole disegnate dal maestro Gallieno Ferri?
Indescrivibile! Anche perché, per combinazione, è la prima volta che lavoro con il Maestro. Miglior esordio non potevo sperare per una collaborazione con lui. Un esperimento subito raddoppiato, fortunatamente, dato che sto scrivendo ancora per i suoi disegni, il Color Zagor che dovrebbe uscire il prossimo anno, con protagonista il dottor Metrevelic.

Qual è la storia di Zagor che ritieni più bella in assoluto?
Per mio gusto personale preferisco le storie in cui l’avventura è contaminata con elementi horror o fantastici. Dunque potrei risponderti che le mie preferite sono Angoscia o Odissea americana. Ritengo però che le storie del filone realistico abbiano una marcia in più rispetto alle altre, perché è in esse che Zagor, insieme alla componente puramente eroica, esprime meglio la sua dimensione umana e quella pietas che l’hanno reso un personaggio così amato dai lettori. Esemplari, a questo proposito, sono Zagor racconta o Libertà o morte. Tuttavia, la più bella di tutte, per me, è senza dubbio La marcia della disperazione.

A parte gli Akkroniani, quale storico avversario di Zagor ti piacerebbe far rivivere?
Il barone Rakosi. E infatti una delle mie storie in lavorazione ruoterà proprio intorno alla sua figura… Non posso dirti di più.

Odissea americana
Zagor #88 – Odissea americana

Tex e Zagor continuano a essere i due pilastri storici della SBE che, pur restando nel solco della tradizione, si rinnovano costantemente sia dal punto di vista narrativo che da quello grafico. Qual è, a tuo parere, il segreto di questo elisir di lunga vita?
Prima di tutto, la grande bellezza delle loro saghe che, ormai, appartengono giustamente all’olimpo dei miti del fumetto, e non solo italiano. Difficile cancellarle o dimenticarle. Ritengo che per Tex, comunque, il segreto stia anche nel fatto che, sebbene ogni volta venga dato per morto, il western è un genere che noi italiani adoriamo e che non tramonta mai. La fortuna di Zagor, invece, oltre alla bellezza del personaggio, è la contaminazione di generi, tipica della collana. Vi si può trovare di tutto, con i dovuti accorgimenti, in una storia di Zagor. Horror, avventura, giallo, fantasy, mescolati sovente tra loro. Nolitta, impostandolo in questo modo, l’ha reso un personaggio praticamente inesauribile. Sempre in grado di stimolare la fantasia di chi lo scrive e, di conseguenza, di chi lo legge.

Zagor #91
Zagor #91 – Libertà o morte

Su cosa sei attualmente al lavoro? Il futuro ci riserverà tue storie solo di Zagor o ti piacerebbe provare a cimentarti con qualche altro personaggio di casa Bonelli (o anche altro)?
Per quanto riguarda Zagor ho in cantiere molte storie. E molto importanti. Tra le altre, un paio di Color incentrati sulle figure di Winter Snake e del dottor Metrevelic (di cui dicevo prima), il ritorno di Ylenia Varga, quello di Takeda il samurai e, per il futuro, anche un soggetto già approvato per una storia che riporterà sulla scena i dolorosi avvenimenti della lontana e celeberrima Libertà o morte. Per quanto riguarda il resto, invece, ho scritto la scorsa estate una storia breve di Tex, di 32 pagine, per un Color, e mi piacerebbe avere l’occasione di ripetermi con un storia lunga, per la serie regolare del ranger. Anche Mister No è un personaggio che mi piacerebbe scrivere, se mai lo rispolvereranno dal suo ingiusto oblìo.

Ti piacerebbe ideare un personaggio tutto tuo? Con quali caratteristiche?
In realtà ho diverse idee in cantiere, ma preferirei non parlarne finché non si realizzeranno concretamente. Se mai lo faranno.

Lone Wolf
Lone Wolf and Cub

Qual è stato l’ultimo fumetto che hai letto e, se dovessi consigliarne uno ai lettori (oltre a Zagor, ovviamente) quale sarebbe?
Dampyr, Dylan Dog e Tex, naturalmente, sono degli evergreen che non abbandono mai. Uscendo dalle pubblicazioni Bonelli, però, ultimamente mi sono riletto la saga di Blueberry. Veramente bella (quella parte, almeno, scritta da Charlier). Consigliatissima, specie a un lettore abituale di Tex o Zagor. A chi invece non ha paura di misurarsi col diverso, consiglio la saga manga di Lone Wolf And Cub (meglio nella bella edizione americana della Dark Horse, se uno non è avvezzo ai manga e preferisce leggersela da sinistra verso destra, all’occidentale). E, naturalmente, tutto ciò che è uscito ed esce dalla penna di Garth Ennis.

Grazie per questa bella intervista, Jacopo!

Intervista realizzata via email e conclusa il 12/05/2015

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