Con Il giorno dell’invasione Zagor tocca il seicentesimo numero e Gallieno Ferri si mantiene saldo al timone grafico di una serie che, nelle edicole dal 1961, si attesta come una delle realtà più longeve nella storia del fumetto. Ma il volume non si limita a festeggiare un notevole traguardo: la storia, a firma Jacopo Rauch, continua il soggetto della lotta contro gli alieni di Betelgeuse (narrata negli albi 178 – 182, datati 1980), ne espande l’idea alla base e si collega organicamente all’etica umanistica che sottende l’intera serie. Queste 96 pagine sono una prova delle possibilità di riutilizzo e attualizzazione di un’ortodossia narrativa consolidata, che potremmo definire lo “schema Zagor”, e che a distanza di oltre cinquant’anni dal suo esordio nelle edicole continua a offrire un vasto ventaglio di possibilità di esplorazione dei territori della fantasia.
La vecchia saga
Ma andiamo per ordine e torniamo per un attimo a quel maggio del 1980.
Il primo scontro fra il protettore di Darkwood e gli abitanti del sesto pianeta di Betelgeuse segue una dinamica tripartita, ben inquadrata nel classico schema del “viaggio dell’eroe” di Christopher Vogler: si parte con la cronaca del viaggio, vissuto all’ombra opprimente di uno dei villain più carismatici della testata. Il numero 179 (“Hellingen!”) dissemina indizi sul mad doctor eponimo, ma evita di mostrarlo, risolvendosi in una “partenza” dell’eroe, che mantiene ancorati al suo “mondo ordinario”. La tomba vuota del malvagio scienziato segna il primo punto nodale della storia, una “chiamata all’avventura” a cui Zagor oppone un classico (in termini Vogleriani), per quanto piuttosto sorprendente (considerando la sua inguaribile natura di raddrizza torti) rifiuto.
Nel numero 180 (“Il raggio della morte”) il nemico si palesa: la morte si abbatte sulla tribù indiana dei Mohawk. È il “varco della prima soglia” che porta dalla Darkwood abituale al mondo tenebroso colonizzato dai suoi antagonisti. Nello scenario di un accampamento alieno, la prima prova con entrambi i nemici: da un lato gli Akkroniani (le cui fattezze derivano dal mutante di Metaluna de “Il cittadino dello spazio”, film del 1954), che incarnano l’intelligenza fredda, l’anti-umanità cara a certa fantascienza anni ’50; dall’altro Hellingen, la cui mente brillante è un fattore distintivo che scava un solco profondo rispetto ai suoi simili. Con gli alieni, quindi, Nolitta non si limita a introdurre una suggestione fantascientifica, ma la giustifica, in accordo con la tradizione della testata, assimilandola nella continuity dei propri eroi: Daimon (comandante degli Akkroniani) e i suoi sottoposti, oltre ad avere dignità a sé, assolvono anche il compito di costituire una “spalla alla pari” per lo scienziato pazzo, che non manca di sottolineare come sia la prima volta che succede. Non è quindi solo la solita escalation della minaccia di Hellingen, che ora trama contro il pianeta, ma è anche una escalation nella pericolosità dei suoi comprimari, paragonati a lui quanto a capacità mentali.
Il numero 181 (“Terrore dal sesto pianeta”) vede l’eroe in nel pieno “mondo straordinario”: è una “discesa” ripida, con un momentaneo comic relief offerto da Cico, puntellata di prove dagli esiti tragici, dal condizionamento mentale alla decisione disperata di sfidare le soverchianti forze nemiche. Da solo. Contro ogni probabilità. Senza calcoli. Com’è nella natura impulsiva e generosa di Zagor. Il male sembra ancora saldo e invincibile, come dimostra la sequenza che anima le pagine finali del volume, il gioco al gatto e topo fra gli alieni volanti e l’uomo disarmato che rappresenta l’“avvicinamento alla caverna più recondita”.
La conclusione, (il numero 182, “Magia senza tempo”) vede la “prova centrale” di Zagor e l’aiuto insperato, nelle profondità del monte Naatani, di un “mentore”, lo stregone Keokuk, aiutato da Manito-testa di Bisonte e dal suo precedente campione, Rakum. L’eroe acquisisce le armi che gli consentono di sconfiggere il nemico, la leggenda entra nella storia e spariglia le carte; la magia indiana e il coraggio di un singolo valoroso si contrappongono al freddo calcolo e alla tecnologia. Uno Zagor cambiato, potenziato dal suo incontro con gli spiriti, ha facilmente ragione dei nemici.
Guido Nolitta costruisce la sua epopea prendendosi tutti i tempi, disseminando elementi e richiami che montano in drammatiche apparizioni o eventi chiave. C’è la linea di trama che porta a Hellingen, annunciandolo più volte prima che si palesi. C’è la componente aliena e fantascientifica, introdotta dalle luci nel cielo, dal meteorite che colpisce lo sfortunato La Plume e dai morti mummificati. Ma soprattutto la magia indiana, elemento fondamentale per la storia, è un filone che percorre la vicenda fin dall’inizio, mediante una sorta di figura di “mentore distribuito” (Tawar, Makuaty e Keokuk) che aiuta l’eroe e al contempo fornisce una descrizione organica e sfaccettata della figura dell’uomo della medicina indiano, visto dallo stesso Zagor come un ciarlatano e insieme una creatura a contatto con imperscrutabili poteri, aspetti che rappresentano due facce della stessa moneta. Lo testimonia il primo presagio di Makuaty, stregone Mohawk, che parla di stelle cadenti (particolare reale) e sciacalli che si uccidono fra di loro (probabile suo abbellimento). O la visione di Tawar, possibile connessione spirituale con lo stregone o semplice effetto combinato di un presentimento e della cattiva digestione.
La trama principale sa inoltre prendersi pause, con giochi di alleggerimento ben integrati nella struttura narrativa, anche quando tendono a distaccarsene più o meno violentemente. Come la disastrosa prova di volo dell’ “aerial steam carriage” di Icaro La Plume, che si consuma in parallelo con l’avvicinamento allo Skylab, e che porta a un momento, unico in tutta la vicenda, di complicità fra Zagor e Cico alle spalle dello sfortunato barone inventore. Il messicano, d’altro canto, ha modo di esprimersi, nel corso dell’avventura, in tutti i colori che lo rendono il giusto e necessario “trickster” di Zagor: è imbranato, perennemente affamato, pusillanime, e queste tre caratteristiche hanno un loro uso sia in chiave comica, sia in senso puramente strumentale alla prosecuzione della componente avventurosa della storia.
Lo stile di Nolitta è saldamente classico, lo si vede nelle abbondanti didascalie descrittive, che sottolineano gli eventi più drammatici, le scene più importanti o le vignette con maggiore apertura di campo, mentre i dialoghi appaiono incanalati sul solco del “chiarimento come imperativo”, e vedono quindi una frequente ripetizione dei concetti chiave, e l’abbondanza di botta e risposta densi di spiegazioni, solo talvolta motivate dalla indole di certi personaggi (come l’egocentrico e vanaglorioso Hellingen). È una lettura densa e verbosa, insomma, che oggi mostra la sua età, ma che al contempo scorre veloce, grazie a un buon dosaggio delle scene d’azione, la cui presenza cresce al procedere del racconto.
Se dubbi si possono muovere al comportamento degli Akkroniani o dello stesso Hellingen, il cui attendismo appare talvolta pretestuoso e utile solo a dare tempo ai buoni di intervenire, si potrebbe peraltro ricordare la matrice da cui sono estratti scienziato e alieni: un certo immaginario pulp che si ciba di analoghe deformazioni della trama. O se si può obiettare che la violenza sia raccontata ma mai davvero mostrata nel suo compiersi, beh, è un difetto imputabile al periodo in cui è nata la storia e al gusto personale del suo creatore.
Il numero 600
Cosa è cambiato a 35 anni di distanza?
Anzitutto lo stile: Jacopo Rauch si inserisce a pieno titolo nella narrazione diretta e “senza sotterfugi” che è uno dei requisiti cardine della testata, ma la attualizza eliminando quasi completamente le didascalie, e asciugando i dialoghi che appaiono al contempo più secchi e più naturali.
Questo numero 600 obbedisce poi a un’altra regola, evidente quanto imprescindibile: le dimensioni contenute. 96 pagine sono davvero poche per un fumetto che propone un’alta percentuale di lunghe scene d’azione: si rischia di comprimere troppo gli eventi. Come realizzare una bella storia, far tornare un nemico storico e dare il giusto aspetto celebrativo, e quindi anche un filo meta fumettistico, al tutto? Rauch ha dimostrato di avere la ricetta giusta.
Il viaggio dell’eroe, che prima occupava 428 pagine, ora si comprime, eliminando quasi totalmente il “mondo ordinario”, che coincide con l’unico vero momento di comic relief, ovvero l’inizio, con protagonista Cico. Il “varco della soglia” avviene già al primo incontro con i Mohawk. E il “viaggio”, di fatto, sembra tutto concentrato in una “prova centrale” quasi interamente interna a Zagor: una dura ordalia nella caverna delle proprie paure, che ricorda e riassume i passaggi della saga del 1980. E dà al contempo un suo contributo originale per cambiare il protettore di Darkwood: l’eroe rosso che ritroviamo a fine albo, pur inserendosi in pieno nella leggenda definita dal racconto originale, è diverso dall’eroe rosso di “Magia senza tempo”.
“Le armi sono niente, senza la mano che le impugna!” È una frase semplice che riesce a essere simbolo della mitologia di questa storia, ma anche slogan di un’intera collana che ha messo un essere umano con i suoi conflitti interni e il suo coraggio al centro della narrazione. Ottima scelta e ottima idea per alzare la posta in una trama che già sembrava aver raggiunto, con Nolitta, il suo apice. E che invece trova un nuovo tassello da mostrare.
Ma Rauch non si limita a lucidare la dinamica eroica iniziale: gli Akkroniani appaiono meno farraginosi di quanto non accadesse nel precedente scontro: puntano dritti all’obiettivo e le motivazioni sono sempre chiare e in linea con la loro indole. La loro minaccia, peraltro, si fa più esplicita e crudele: mentre in passato avevamo assistito solo alle conseguenze del raggio della morte, qui vediamo la loro potenza bellica in azione, in una scena particolarmente drammatica che difficilmente avremmo potuto vedere nel 1980. I riferimenti a elementi dei volumi di Nolitta, come il condizionamento mentale, o il primo incontro fra lo Spirito con la Scure, arma aliena in pugno, e un gruppo di Akkroniani, o la stessa fuga finale degli alieni, sono tutti esempi di rielaborazioni felici con esiti nuovi. Anche la conclusione appare giustamente più netta, più “cattiva”, e lo spiraglio che lascia per un futuro e ulteriore scontro appare decisamente ridotto.
Insomma: “Il giorno dell’invasione” è una scommessa vinta. C’è tutto quello che può volere un lettore della vecchia ora dello Spirito con al Scure, ma c’è anche il principale motivo per l’eterna giovinezza di questa testata, e cioè una storia semplice, ben congegnata e avvincente, epica pur mantenendosi priva di involuzioni e “revisionismi” che contaminano, spesso appesantendola, la narrativa di intrattenimento odierna. Insomma: c’è il mito (sia esso mito Zagoriano o leggenda tout court), ma anche il piacere di un racconto di avventura.
Abbiamo parlato di:
Zagor #600 – Il giorno dell’invasione
Jacopo Rauch, Gallieno Ferri
Sergio Bonelli Editore, luglio 2015
96 pagine, brossurato, colore – 3,20 €
Zagor #178-#182
L’orchidea rossa, Hellingen!, Terrore dal sesto pianeta, Il raggio della morte, Magia senza tempo
Guido Nolitta, Gallieno Ferri
Sergio Bonelli Editore, maggio – settembre 1980
448 pagine, bianco e nero