Durante la presentazione genovese di Quando muori resta a me, il nuovo volume di Zerocalcare, l’intervento di una ragazza che ringraziava per la capacità di raccontare uno stato d’animo personale ma condiviso, ha evidenziato la capacità del fumettista di Rebibbia di intercettare e raccontare non soltanto le proprie fragilità, ma di farsi cantore del mondo che ha attorno mostrando un’attitudine che in passato ha riguardato ad esempio l’esordio e l’affermazione di Dylan Dog.
Zerocalcare e gli incubi di una generazione
Quando si parla del successo di Dylan Dog si riconosce a Tiziano Sclavi il merito di aver reso il suo indagatore dell’incubo un mezzo capace comunicare con una generazione di adolescenti che non aveva bisogno di maestri, ma compagni d’arme.
Ovviamente esistono notevoli differenze tra le due declinazioni del fumetto: sono diverse le società che li hanno accolti e pure il linguaggio usato. Da un lato abbiamo un prodotto seriale, sicuramente allegorico, ma composto da storie fantastiche mentre l’opera di Zerocalcare ha abbandonato il tratto realistico (utilizzato, come vedremo, come un’eccezione narrativa) per raccontare il vissuto – spesso metaforico – in prima persona.
Quello che li accomuna è il sapere parlare al pubblico in modo onesto di un mondo che pretende di essere intercettato e quindi raccontato da qualcuno che ne sia parte e quindi credibile, condiviso.
Questo approccio narrativo è una parte essenziale della poetica di Zerocalcare, una caratteristica che in Quando muori resta a me è ancora più incisiva perché arricchita dall’ambizione di parlare a una platea generazionalmente variegata e distante come lo sono, per natura, genitori e figli.
Nel fumetto presentato al Salone del Libro di Torino, Zerocalcare parla della sua crescita – “nessuno matura, al massimo marcisce” il suo mantra – e sebbene il tema, il rapporto genitore/figlio, trovi una sponda comoda in Dimentica il mio nome, è soprattutto a Macerie Prime e Scheletri che occorre guardare per ritrovare suggestioni analoghe; con le ultime due opere personali, il fumetto appena uscito ha in comune la riflessione sull’ incomunicabilità, in questo caso indirizzata al suo rapporto con il genitore2.
Una seconda voce
Se sul piano narrativo è evidente ormai la separazione tra la sua indole giornalistica e quella personale, sul piano strettamente stilistico si evidenzia qualche aspetto interessante. Per prima cosa si nota un’attenzione sempre maggiore alla scrittura: Quando muori resta a me ha una struttura temporale variegata, sostenuta dal ricorso ad alcuni stilemi che sono parte della sua dialettica fumettistica. Tra i personaggi introdotti, un ruolo determinante lo ha Marla, l’amica di famiglia che ha lasciato Roma per spostare le sue radici sulle montagne. A lei viene affidato il compito di essere la protagonista del confronto notturno, un momento da sempre essenziale a Zerocalcare per permettere al suo alter ego di mettere ordine alla successione degli eventi. Non manca, ovviamente, il solito umorismo che veste di leggerezza riflessioni estremamente delicate. Ma non solo.
A questi elementi, Zerocalcare aggiunge una seconda voce narrante come parte del percorso narrativo: è questa la novità più interessante del graphic novel, sia sul piano narrativo che stilistico, quest’ultimo come sempre arricchito dalla capacità di Alberto Madrigal di vestire con la giusta sfumatura di grigio le tavole.
Il cambio di narratore è reso in maniera efficace dal cambio del tipo di tratto, un cambio di arrangiamento, accompagnato persino da un diverso layout delle pagine su cui è scritto; l’impressione è quella di appunti recuperati da un quaderno, compilato da qualcuno in passato molto legato alla sua famiglia. La scelta, in un primo momento spiazzante, oltre a essere una novità nella produzione dell’artista, abituato a essere voce narrante, è efficace in funzione di quella corrispondenza e complicità, tra lettore e scrittore molto curata e che consente di apprendere informazioni insieme al protagonista.
Un’altra novità è il ricorso al disegno realistico, scelta necessaria per due momenti in particolare.
Il passaggio dal grottesco al reale svela lo stato d’animo del padre in un momento decisivo, mentre in un altro è lo stesso protagonista messo davanti a Michele, l’uomo, ormai quarantenne, nello specchio, una suggestione questa che aveva caratterizzato anche Unastoria di Gipi: in una sequenza il protagonista si chiede che effetto farebbe a una persona ritrovarsi improvvisamente di fronte alla propria immagine da adulto.
L’evoluzione stilistica dell’autore, che mostra di sapere uscire dal suo canone per amor di racconto, si nota anche alla fine del terzo atto quando si raggiungono culmine e chiusura. La sequenza di tavole in cui domina la gabbia si alterna a momenti di azione in cui il racconto pretende e ottiene spazi decisamente diversi. Questa alternanza che separa e poi riunisce i due protagonisti ha il potere di coinvolgere il lettore che viene quasi sopraffatto a sua volta. Un momento intenso che non fa però perdere lucidità perché l’elaborazione del racconto voluta dal narratore non viene mai persa di vista.
Quando muori…
In merito ai contenuti, Quando muori resta a me parte da un racconto di viaggio con il padre.
La ragione che li costringe in auto per otto ore è la necessità di raggiungere una casa di famiglia che necessita di un’improvvisa manutenzione (“ma che le case possono chiedere attenzione come le persone” dice Marla uno dei personaggi inseriti nel libro) in un paese della provincia veneta, luogo di origine della famiglia Rech.
Mentre esploriamo con i protagonisti lo sviluppo del loro rapporto nel corso degli anni, conosciamo anche la storia di amicizia tra il bisnonno di Zerocalcare e il suo gruppo di amici a cavallo tra Ottocento e Novecento. La costruzione di un campanile e un’amicizia che si consolida trova nella Grande Guerra che i quattro sono chiamati a combattere uno spartiacque, un confine tra il prima e il dopo così profondo da viaggiare nel tempo e coinvolgere i nostri, perché, dicono, la montagna non dimentica, e poco importa se le colpe siano quelle dei padri dei padri dei padri.
Il legame tra passato e presente è nei silenzi, il non detto che diventa risentimento ed è anche il tipo di fantasma che aleggia su Michele e suo padre. Mentre il passato della montagna chiede il suo tributo al presente, anche i due sono chiamati a confrontarsi con il loro passato e un rapporto mai sviluppato prima che risolto. Il bambino che identifica suo padre con l’eroe dei suoi pomeriggi diventa un adolescente che non fa nulla per essere capito e capire un genitore che, preso atto della separazione dalla moglie, prova in maniera goffa a cercare un minimo comune multiplo su cui ricostruire un rapporto e infine un adulto chiamato a interrogarsi sui muri, le trincee, che lo separano da suo padre.
Resta a me
Ridurre però le trecento tavole che riempiono il fumetto al rapporto padre/figlio sarebbe un’operazione ingenerosa verso un lavoro più articolato. La dialettica generazionale è anche il piede che Zerocalcare mette nella porta della storia della sua famiglia per unire pezzi di memoria con le fatiche del presente. La separazione dei genitori viene analizzata attraverso gli inevitabili sensi di colpa che un evento traumatico porta con sé, ma più che il concetto di abbandono viene messa al centro la ricerca di un nuovo equilibrio e quelle scelte – pure dolorose – che hanno definito suo padre come genitore e come persona.
Per la prima volta Zerocalcare fa un’operazione di sovrapposizione tra il suo G8 di Genova con le lotte delle generazioni che lo hanno preceduto. Il legame tra la sua famiglia e Marla racconta con estremo coraggio e onestà di un periodo storico, quello a cavallo tra gli anni 70 e gli anni 80, con cui il nostro paese, esattamente come con il G8, fatica a fare i conti.
Di padre in figlio
Nel passaggio tra universale e personale la storia della sua famiglia, quel rancore rimasto ad aspettarli in montagna per un secolo e il suo retaggio, costringono il nostro a interrogarsi su una vita che lo costringe nel ruolo di figlio. Un passaggio estremamente delicato e intimo affrontato mettendo a nudo una crisi interiore profonda per la quale non manca il sostegno di Sara, l’amica di sempre. Così come l’Armadillo rappresenta la sua voce interiore, il suo grillo parlante, Sara rappresenta il suo contatto con la realtà, una presenza che è chiamata a operare con lui una maieutica socratica. I dialoghi tra lei e Zerocalcare quasi mai offrono risposte, ma solo una corretta disposizione dei dubbi. Alla fine, Michele diventa solo più consapevole, non risoluto, e comprensivo della propria fragilità, risultato niente affatto trascurabile.
Quando muori resta a me parla di crisi, di dubbi e di ricostruzione, di quanto il rancore – e qui è sono importanti le riflessioni emerse dalla lettura di Scheletri – sia una bestia capace di avvelenare i pozzi delle esistenze per generazioni, ma parla anche di suo padre che non è un eroe ma un uomo che affronta con i propri mezzi i bivi che la vita gli ha imposto. L’uomo che emerge dal volume è un uomo figlio della sua generazione, non esattamente chiacchierone, un padre che coltiva un rapporto sincero con il figlio e a cui viene dedicata un’ultima vignetta che racconta molto dell’affetto che il figlio gli ritorna.
Abbiamo parlato di
Quando muori resta a me
Zerocalcare
BAO Publishing, 2024
304 pagine, cartonato, bianco e nero – 24,00 €
ISBN: 9791256210091