Presentato a Lucca Comics and Games 2024, Numbers è la nuova graphic novel di Igort e segna il suo ritorno alla fiction dopo 15 anni. Ne abbiamo discusso con l’autore in un’intervista densa di contenuti, che spazia dal suo lavoro di fumettista, a quello di direttore di Linus, al rapporto con i suoi personaggi. Con le sue parole, Igort offre anche un’erudita lettura dell’attuale stato del fumetto, del suo potenziale espresso e inespresso e ci regala un affascinante racconto del suo incontro con Hugo Pratt, a cui Numbers è dedicato.
Ciao Igort, bentornato su Lo Spazio Bianco. Quali sono le suggestioni, le ispirazioni o forse le intuizioni personali che ti hanno portato alla storia e all’ambientazione di Numbers?
Mi intrigava l’idea di una grande narrazione con uno sfondo storico, un periodo preciso, il 1939, quando la Cina è allo sbando, dilaniata dalla guerra civile tra i comunisti e i nazionalisti, e il Giappone ne ha invaso la Manciuria, sotto lo sguardo indifferente delle potenze internazionali.
Un momento topico. Le prime scintille della Seconda Guerra Mondiale erano lì.
Questo lo sfondo, poi mi sono divertito a ripescare vecchi personaggi (Greg Pholon, per esempio) che ho creato tanti anni fa, al principio della mia carriera. Certi personaggi su cui hai lavorato finiscono per essere vivi, sono lì, come un amico distante, e chiedono di uscire dalla cantina dei ricordi. Vogliono essere attorniati da nuovi colleghi, e vivere nuove storie. Conoscere i personaggi consente di raccontare una complessità essenziale.
Numbers è annunciato come il tuo ritorno alla fiction dopo 15 anni. In questo arco di tempo sono cambiate molte cose, ad esempio è cresciuta la fortuna delle narrazioni autobiografiche e biografiche: la fiction, in questo caso d’avventura, si scrive ancora come 15 anni fa?
No, certo, ma il genere autobiografico ha ormai 30 anni, l’Association aveva sostenuto queste istanze negli anni Novanta. Sono successe molte cose nel frattempo, sono nate opere interessanti e vive.
Ma questo fenomeno era stato utilizzato in Giappone dagli autori di geki-ga, decenni prima, solo che da noi, in occidente, non lo si è saputo per tanto tempo.
Ogni epoca ha le sue caratteristiche, le sue sensibilità. Ed esistono da sempre narrazioni intime e altre più corali, le cose non si escludono, come sappiamo.
Mi appassionava un racconto che avesse la forma di un affresco con i personaggi che raccontassero la loro storia in mezzo agli eventi che stanno sconvolgendo il mondo.
Io credo molto nello storytelling e oggi forse c’è una nuova consapevolezza, diversi fenomeni narrativi sono esplosi, e i lettori sono anche più smaliziati di un tempo, conoscono la cultura orientale dei manga, le serie tv e molta letteratura, un tempo introvabile, oggi è a disposizione.
Per me questa è un’ottima cosa e mi metto al lavoro per creare, se possibile, dei personaggi che mi consentano una vera e propria ricognizione sul piano narrativo. Per creare personaggi credibili, fuori dai cliché occorre farli muovere con un certo respiro, mostrare le loro debolezze, aspirazioni, contraddizioni.
Perché mai il fumetto dovrebbe avere meno profondità del cinema? Si possono raccontare personaggi credibili come quelli di Succession, Slow Horses, o Yellowstone, per esempio.
All’epoca delle riviste contenitore c’era un problema di spazio, ma oggi siamo in un’altra stagione, si potrebbero fare saghe come quella di Akira, per esempio, di oltre 1000 pagine, per non parlare di One Piece o di Berserk.
Nel mondo dei manga non ci si pone limiti e per fortuna l’occidente sta aprendo da tempo le porte anche a narrazioni più corpose.
Ho cominciato Numbers in quest’ottica e mi piaceva riprendere in mano i vecchi attrezzi di lavoro: la documentazione, una ricerca accurata e una messa in scena articolata.
A me interessa usare il fumetto per la sua possibilità anche descrittiva: in questo senso l’incanto di ricostruire Hong kong, i costumi cinesi, le pettinature è stato un viaggio grafico meraviglioso.
Il fumetto europeo ha portato un disegno imponente, evocativo, che lo ha reso unico e ammirato anche in Asia.
Ho deciso di giocare su quel tavolo, in questo periodo. Ci sono immagini per cui lavoro giorni e giorni solo sulla colorazione. E sembra che i lettori apprezzino. È chiaro che documentarsi significa studiare, significa applicarsi. E si fa fatica. Non è un caso che ci si impieghi tanto tempo. Ma credo che ne valga la pena.
A tuo parere la fiction è un modo per distrarsi da situazioni come quelle raccontate nei tuoi Diari e da una realtà sempre più complessa e dura da affrontare (ad esempio quella che hai descritto in Quaderni Ucraini – diario di un’invasione), o un modo per parlare di tematiche importanti “camuffate” da racconto avventuroso?
L’idea che raccontare una storia significhi evadere dalla realtà è semplicemente smentito dai fatti. Basta guardare le opere di oggi. Parlo di un manga molto amato: Berserk è come un romanzo d’avventura, un racconto picaresco, ma parla delle nostre paure, di viaggi interiori e racconta l’animo umano. Entertainment non coincide con disimpegno. Questa, non a caso, è un’idea che ha sempre fatto infuriare Hugo Pratt, che era autore colto e complesso, eppure amatissimo e popolare. Come nella letteratura lo era Charles Dickens, ma non solo lui.
Occorre complessità: se parlo di Numbers parlo di un momento storico preciso; se parlo di Lyn Lyn, la figlia di 489, il capo delle triadi, questa appare come una dark lady degli anni ’40. In questo caso gioco con Milton Caniff, ma oggi ho l’occasione di raccontare una personalità femminile a tutto tondo, feroce nella sua ambizione eppure vulnerabile – come vedremo – che si deve ritagliare uno spazio nella Cina di quei tempi. Cerco, se possibile, di tratteggiare una personalità complessa e non prevedibile, fuori dal cliché di un tempo. Oggi è possibile, ma in questo credo che il fumetto abbia ancora del cammino da fare.
Sono opportunità, porte che si aprono, porte che lo storytelling non documentario offre. Io sono uno sceneggiatore oltre che un disegnatore, scrivo per il cinema. Nei personaggi cerco questo genere di ricchezza, le contraddizioni, le spinte inconfessate, i segreti, che esamino con la lente di ingrandimento, nel tentativo di comporre il mio piccolo affresco.
Il libro inizia con approfondimenti storici e sociali, corredati da fotografie d’epoca e da tuoi bozzetti preliminari. Hai scelto questa impostazione come strumento di orientamento per il lettore o ci sono altri motivi?
Mi piace che si capisca l’epoca, perché il fumetto possa avviare una riflessione. Oggi abbiamo le guerra alle porte dell’Europa, la vediamo in tempo reale. E serve consapevolezza, perché non è un film. Oggi abbiamo bisogno di capire, più di ieri.
Numbers è dedicato a Hugo Pratt. Puoi svelarci le parole magiche che ti disse? E perché dedichi a lui proprio questo lavoro?
Pratt lo incontrai per la prima volta nel 1977. Ero un giovane ambizioso e volevo pubblicare nella rivista che mi faceva sognare. In Inghilterra era appena esploso il punk. E io, magro come un chiodo, indossavo una maglia da donna leopardata, un collare da cane e degli occhiali neri. Questo per dare il quadro. Ci si vide alle Nuvole parlanti, una libreria meravigliosa in via Canonica, a Milano, che durante il giorno ospitava me e tre miei amici autori, offrendoci dei tavoli in cui disegnare. Il perché è presto detto: si era partiti dalla Sardegna per portare i nostri lavori ad Alterlinus, ma non avevamo preso l’appuntamento e dovemmo attendere per dei giorni prima di vedere la redazione. Questo imprevisto aprì le porte del caso e ci fu l’incontro.
All’epoca io cesellavo le tavole, un tempo infinito a rifinire. Ribadisco l’importanza del luogo: Nuvole Parlanti, un vero e proprio paradiso, ogni tanto mi alzo e sfoglio gli albi giganti di Futuropolis, ammiro Bodè, Gir, parlo con Gianni Berti, il libraio, colto, attento e affettuoso, persona splendida. All’improvviso si apre la porta ed entra un uomo.
Mi colpisce il suo sguardo ma lì per lì non lo riconosco. È Hugo Pratt. Gianni è felice, scompare ad aprire una bottiglia di bianco. Pratt parla in veneziano e ha con sé, sotto il braccio, delle strisce di cartoncino avvolte in carta di giornale.
Vede noi ragazzi che disegniamo queste tavole lavorate nei dettagli – all’epoca impiego quasi un mese per una pagina – e si incuriosisce. Gliele porgo. “Le distrugga”, gli chiedo, e intendo una critica serrata, senza sconti.
Dai grandi si impara, altrimenti, se temi il giudizio, meglio che ti ritiri.
“E perché le dovrei distruggere? C’è tanto lavoro qui”, fa lui.
Pratt in quei giorni sta disegnando Conte sconta detta arcana, uno dei suoi capolavori immortali. Io ho visto la sua sintesi, il gioco di macchie, fa impressione, è un fuoriclasse. L’ho studiato, analizzato al millimetro.
Mentre parliamo svolge la carta di giornale, mi mostra le strisce a fumetti. Sono pazzesche.
Gli chiedo perché disegni a strisce. “Perché se sbaglio la butto e ricomincio, faccio prima”. Questo pragmatismo mi dà le vertigini.
Gli racconto della mia ricerca sul cinema espressionista tedesco, mi ferma. “Queste sono cose che puoi dire a me, che sono un autore come te, ma al lettore non interessano. Stai sulla storia, sui personaggi”.
In due parole mi ha fatto un corso di fumetto. “Se la Fulvia (che dirigeva Alterlinus) non ti prende i fumetti è solo perché non ha spazio”. Mi incoraggia. Quell’incontro è avvenuto tanti anni fa ma lo ricordo come fosse ieri. Pratt è sempre stato presente, come una figura con cui ti devi misurare prima o poi, un gigante che traccia delle rotte.
Di lui parleremo con Magnus, che aveva un’ammirazione sconfinata e gli renderà omaggio, in maniera molto discreta. Con Munoz, che da gigante a sua volta si commuoveva alle lacrime rievocando l’ebbrezza del disegno con pochi segni. Con Mattotti, quando restammo sotto shock per L’Uomo del grande nord, (lo aveva fatto… un altro salto! Che segno incredibile!).
Dopo la visita alla redazione di Alterlinus (la Fulvia fu disponibile, ma io ero capriccioso, non finii mai quella storia) partii il mese dopo per Londra, a vivere la rivoluzione punk.
Al netto della crescita personale e stilistica che ogni artista vive, anche il tuo modo di disegnare è cambiato in 15 anni? Puoi farci qualche esempio tecnico?
Pubblico da quasi 50 anni e ci sono diversi approcci per ogni storia. 5 è il numero perfetto è disegnato con le macchie, un lavoro espressionista. Fats Waller è disegnato sulla linea, con il pennino, ho fatto delle campiture ad acquerello e poi rafforzato certi toni con il computer. Sinatra è disegnato con l’acquerello ma è in bicromia, ho aggiunto un tono di blu, per raccontare le atmosfere notturne. Mi hanno sempre interessato le possibilità che la tecnologia offriva.
Per ogni libro ho cercato di trovare lo stile più adatto e nel corso del tempo ho usato ogni tipo di colore: pastelli, acquerelli, acrilici, olio, tecniche miste, mi piace sperimentare. Amo i retini: ho usato i retini a righe, quelli puntinati, poi i letrafilm, che erano colori piatti perfetti, oggi li si fa facilmente con photoshop, molto più economico. Io invito gli autori a uscire dalla propria comfort zone. Il fumetto è un linguaggio e ci sono milioni di approcci possibili.
Nel tuo Consigli non richiesti per giovani samurai del racconto diversi precetti affrontano le difficoltà che si incontrano durante il processo creativo. Ad esempio parli di inevitabile fase critica da affrontare e di dubbi che assalgono a metà di una storia, coi quali fare i conti. Ti è capitato qualcosa di simile durante il lavoro su Numbers?
Ah ah ah. Certo. Qualsiasi narratore sa che durante la lavorazione di un libro arrivano momenti di crisi in cui credi di stare facendo un lavoro terribile. Ormai ne sono consapevole, ma ne ho viste tante, sono corazzato e procedo come Ulisse che si lega all’albero maestro per resistere al canto letale delle sirene.
Con ormai sei anni di direzione editoriale di Linus, che bilancio puoi trarre di questa esperienza? Sicuramente, sotto la tua curatela, la rivista è cambiata, assumendo anche una veste monografica per ogni uscita; a questo si è poi aggiunta anche la rinascita di Alterlinus.
L’esperienza di Linus in un certo senso è paragonabile a quella del canale Youtube (lezionidifumetto.it) nel quale racconto il lavoro di molti amatissimi colleghi.
Ho occasione di un contatto diretto e periodico con chi ci segue, un contatto diretto con i lettori, importante e arricchente. Ormai siamo una comunità, c’è chi interagisce, propone, commenta.
Prendo tutto questo come una ginnastica ringiovanente. Credo molto nel linguaggio e nello scambio. Linus è una rivista di strip, narrazioni più lunghe e riflessioni; ha un inserto centrale di una trentina di pagine che racconta le icone influenti della nostra epoca, nel fumetto, o nel cinema, nella letteratura, nella musica o nello sport.
Mentre Alterlinus la vedo più come un’antologia da libreria con una foliazione importante, circa 200 pagine, che si pone l’obiettivo di una ricognizione – come nelle corde di questa storica testata che ho riaperto dopo circa trent’anni di letargo – delle storie e degli approcci più interessanti nel panorama fumettistico contemporaneo.
Nella tua carriera hai ricoperto praticamente tutti i mestieri del fumetto (autore, editore, editor…). Qual è oggi il ruolo in cui ti riconosci o che ti piace di più, oppure sono aspetti inscindibili l’uno dall’altro?
No, non direi, per me non c’è un aspetto prevalente, il mio è sempre e comunque lo sguardo di un autore innamorato del linguaggio, che crede che il fumetto abbia grandiose potenzialità tuttora esplorate per un 5%. Cerco solo di fare la mia parte, nel mio piccolo, perché con gli strumenti di cui dispongo, io e i miei colleghi possiamo percorrere altre piste, aprire nuove visioni, rinnovare quelle vecchie.
Numbers è un progetto articolato su tre volumi: sei già al lavoro sul secondo? quando è prevista l’uscita?
Vedo Numbers come una serie. Sto già lavorando al secondo volume e prevedo di uscire nel 2025. Mi sono divertito parecchio in questo frangente. Non so, magari dopo il primo ciclo di 3 riprenderò qualche personaggio della serie e creerò uno spin-off, un altro ciclo. I quaderni di appunti per storie e personaggi si accumulano sul tavolo. E sono decine e decine ormai.
Grazie per la disponibilità, Igort!
Intervista realizzata via email a novembre 2024.
BIOGRAFIA
Igort, nome d’arte di Igor Tuveri, è personalità poliedrica di artista. Autore prolifico di graphic novel pluripremiati, regista, illustratore ed editore, è anche autore di racconti, romanzi e musiche.
È stato il primo occidentale a disegnare un manga in Giappone e ha pubblicato su tutte le più prestigiose riviste italiane e internazionali. Nutrendosi di lunghe permanenze in Giappone e nei paesi dell’ex Unione Sovietica, ha maturato uno stile espressivo che unisce le peculiarità del graphic novel, di cui è maestro riconosciuto, e del graphic journalism, diventando una voce tra le più originali del panorama artistico internazionale. Ha debuttato alla regia con il film 5 è il numero perfetto, tratto dall’omonimo fumetto.
Premiato al Comicon come migliore disegnatore del 2016, a Lucca Comics come migliore autore 2016, ha vinto inoltre il Premio Napoli per la diffusione della cultura italiana e il Premio Romics alla carriera 2017, il Premio Speciale della Giuria al Romics 2022 per Quaderni ucraini. Le radici del conflitto e Quaderni russi. Sulle tracce di Anna Politkovskaja. Nel novembre del 2022 ha pubblicato Quaderni ucraini. Diario di un’invasione” (Oblomov), reportage disegnato dell’invasione russa in Ucraina, premiato nel 2024 con il prestigioso MoCCA Arts Fest Award of Excellence della Society of Illustrators.