Igort: “Il lavoro dell’autore è un racconto di chi cerca.”

Igort: “Il lavoro dell’autore è un racconto di chi cerca.”

Abbiamo intervistato Igort sui suoi "Consigli (non richiesti) per giovani samurai del fumetto", nati su Facebook e ora raccolti in volume.

Per i lettori un poco più informati non servono tante parole per introdurre Igort, uno dei personaggi più influenti e importanti del fumetto italiano, autore di levatura internazionale, editore prima con Coconino Press e oggi con le Oblomov Edizioni, direttore editoriale della storica rivista Linus. I suoi preziosi Consigli (non richiesti) per giovani samurai del fumetto, pubblicati sul suo profilo Facebook, divenuti poi un agile libretto dedicato ad autori giovani e meno giovani e, perché no, per chi è curioso di comprendere meglio l’animo di un fumettista, di un artista. Sono questi gli argomenti di cui abbiamo parlato con l’autore.

pop-consigli-non-richiesti-per-giovani-samuraiI consigli per giovani samurai del racconto nascono sulla sua pagina facebook: fin dall’inizio l’idea era di pubblicarli in volume? Era un modo per capire quanto interesse potesse esserci?
Non c’era l’idea di pubblicarli, al principio. Io uso la rete in modo dinamico, dialettico, anche i Quaderni Giapponesi non erano previsti al principio. Sono nati sulla rete, man mano che pubblicavo delle pagine dei miei diari, mentre facevo un altro libro, i Quaderni mistici, per i quali occorreva molto studiare.
Solo dopo mesi ho capito che quel che postavo poteva essere un libro. Io lavoro in modo maieutico, cerco di scrivere in modo sincero e questo metodo mi porta a scoprire, spesso, più che a progettare ex novo.
È un modo congeniale alla mia visione del narrare.

Già dal titolo, così come dallo stile dei consigli, torna la sua passione per il Giappone: cosa le ha fatto scattare l’analogia tra autore e samurai?
Beh, c’è una lunghissima e secolare tradizione, in Oriente. I samurai erano spesso maestri di penna e di spada. Erano anche poeti o narratori. I libri antichi che sono giunti fino a noi, di tattica del combattimento, sono dei libri di iniziazione spirituale, fedeli allo spirito che “le cose non sono come appaiono”. In Oriente tutto è legato all’essere; se voglio cesellare un disegno o uno scritto, la precisione la imparo non solo sulla carta, la precisione che porto sulla carta è il risultato di come vedo e vivo la vita. E lo stesso Mishima ne ha scritto e parlato più volte menzionando per l’appunto “l’armonia tra penna e spada”. Dunque il giovane samurai è colui che si mette sul cammino. Disegnare e raccontare curano, fanno crescere, aumentano la percezione del mondo e dell’altro.

Cinquanta consigli, perché proprio questi (primi?) cinquanta? Su cosa ha voluto puntare principalmente, perché ritiene questi i cinquanta più importanti?
Chi lo sa? Forse perché è il numero che contiene il 5? E il 5 era numero magico secondo Pitagora? Le risposte le dobbiamo trovare dentro di noi. Io pongo solo delle domande.

Questi consigli non sono lezioni scolastiche, non sono esempi tecnici, sfociano spesso quasi nel filosofico o comunque trattano il ruolo dell’autore da un punto di vista più alto, se vogliamo: crede ci sia poca autocoscienza degli autori di oggi sul loro ruolo, sul significato di quel che fanno?
Spesso osservo lavori di amici, narratori o fumettisti, e sì, a volte mi pare che ci si ponga poche domande. Che ci si accontenti di chiudersi in gabbie che non meritiamo. Amo il lavoro perché il lavoro mi parla di me: se io comincio a fare sempre le stesse forme, a percorrere gli stessi percorsi che già si conoscono, non cresco più. Se sono bravo divento uno che fa ottimi esercizi di stile. È come attraversare il corridoio di casa propria credendo di essere Indiana Jones nella giungla. Non c’è vera avventura, non c’è vera scoperta. Io credo che chi voglia certezze ha sbagliato strada: il lavoro dell’autore, di chi umilmente scrive o racconta, è un racconto di chi cerca. E dunque cresce. Il lettore, oggi come ieri, vuole emozioni. E queste, spesso, stanno proprio nelle nuove strade, nel mai visto.

Scrivere questi consigli è stata l’occasione per ricordare i suoi inizi o alcuni momenti della sua carriera? Ce ne sono alcuni che collega direttamente a qualcosa della sua storia artistica o a qualcuno?
No, scrivevo pensando a cose che affronto tutti i giorni. A cose che ho scoperto dopo centinaia di pagine scritte e disegnate. Spesso prendo appunti, perché le idee evaporano, le parole scritte restano e a volte le rileggo. Ma da quando, tanti anni fa, ho cominciato il mio percorso giapponese con un editor che mi ha insegnato molto ho pensato che dovevo restituire, non tenerli per me come segreti del mestiere. Proprio perché condividere è quel che facciamo anche quando scriviamo una storia. Capiamo come la vediamo e speriamo di riuscire a comunicare. Questo è il bello del lavoro.
Questo è quel che mi proponevo. Riflettere sul cosa si fa è fondamentale, altrimenti, se per un disegnatore si risolve tutto a una ricerca volumetrica è la fine, siamo alla noia pura. Avevo un allievo di 15 anni che rifaceva Liberatore in modo perfetto, assoluto. Ottimo, e poi?
Se non si è posto delle domande è diventato un buon tecnico, peccato, ha perso un’occasione.
Oggi invece abbiamo bisogno di buoni autori, di autori che abbiano una voce, che ci portino lontano, che si preoccupino di altri problemi che non siano solo volume e muscoli. Mi sono sempre piaciuti autori come Mazzucchelli o Tsuge, o Spiegelman o Pratt, perché si ponevano domande sul “dove andare con il racconto”. Non ne facevano solo una questione tecnica.

Crede sarebbe un autore migliore se avesse avuto questi consigli a suo tempo, o sbagliare e procedere a tentativi è parte essenziale di un percorso artistico?
Naturalmente sbagliare e rifare è utilissimo. Ma anche evitare di sprecare il tempo fa parte del percorso, del fare. Se avessi avuto una guida che mi aiutava a vedere distintamente certe cosette che ho imparato con i decenni, chissà oggi dove sarei. Le scuole esistono per evitare sprechi di tempo. Poi alcune costituiscono vere e proprie trappole. Ma come diceva il maestro che aveva un allievo poco sagace “a volte farsi prendere in trappola insegna cosa non si deve fare”.

Come si pone nei confronti degli altri autori? Quanto ritiene importante che un autore della sua esperienza condivida questi messaggi?
Io amo il lavoro degli altri, lo dicono i miei circa 20.000 libri. Il lavoro degli altri autori è per me fonte di gratitudine, di ammirazione e di crescita. Ovviamente ci sono quelli a cui mi sento più affine, ma credo che chiunque lavori seriamente, anche se fa cose diversissime dalle mie, meriti assoluto rispetto.

Per ogni consiglio sul libro c’è una pagina per gli appunti a fianco: si aspetta che questo sia l’inizio di un dialogo con altri autori? Quanto già ne ha generato la pubblicazione su Facebook?
Mi aspetto che sia l’inizio di un dialogo profondo dell’autore con se stesso. Il libro è stato studiato secondo determinate regole. È piccolo, portatile, come certi manuali mistici, perché deve diventare qualcosa di intimo e di personale, che l’autore porta con sé. E ha una pagina bianca con le righe per raccogliere appunti del percorso che chi legge è invitato a fare. Lo scambio tra il consiglio e l’esperienza stessa è il viaggio del narratore. Dunque in questo caso cambia forma: un mio piccolo libro di consigli (non richiesti, appunto) si trasforma in un diario di bordo personale di chi lo utilizza a fondo. Nella speranza di essere utile.

Cosa significa essere un autore con la sua storia, sapere di essere una figura rispettata, considerata e anche influente? Questo cambia il suo atteggiamento verso i fumetti?
Non ci penso minimamente, io mi sveglio alla mattina con la voglia di scrivere, leggere, disegnare. Cerco di mantenere pulita questa dimensione quasi infantile, perché sono convinto che in essa ci sia qualcosa di vero. Un senso di scoperta e meraviglia, forse.
Credo che per fare cose sensate occorra rimanere umili e sinceri verso quel che amiamo, per esempio. Cercando, se possibile, di capire le ragioni per cui amiamo certe cose. Perché queste cose ci parlano di noi, anche di cose nostre inconsce.

Ha mai pensato che il suo punto di vista sull’argomento possa essersi “viziato” negli anni per via del suo ruolo come editore? Riesce a separare il suo essere autore e il suo essere editore, sempre che ce ne sia bisogno?
Il mio modo di vedere e di concepire le cose è certamente viziato da tutto quel che faccio. Sono editore, autore, lettore, scrivo e suono, viaggio molto, ho fatto radio, cinema, scrivo per il teatro. Credo che questo sia nella natura di ogni autore di fumetto e la ragione è semplice: il fumetto è un linguaggio che contiene e richiede tante specializzazioni. Dunque certamente sì, sono influenzato da quel che vivo e faccio, e certamente no, non riesco a separarmi da questo e, d’altra parte, non vedo perché dovrei.

Si parla molto delle responsabilità di un autore per quanto riguarda i messaggi che la sua opera può veicolare in relazione al periodo storico-politico attuale (penso alle polemiche per esempio sul film Joker): lei avverte una certa responsabilità “morale” quando scrive, o crede che l’artista non debba avere vincoli nemmeno autoimposti in questo senso?
Sono scelte personali. L’omicida di Lennon aveva con sé quella perla scritta da Salinger che è Il giovane Holden. So che diversi autori di azioni efferate avevano il poster di Natural born killer o si riferivano a quel film. Per tanti anni Arancia Meccanica è stato proibito in Inghilterra. So che Taxi Driver ha ispirato molti a fare cose estreme. Prego che un mio libro non ispiri violenza. È un fardello pesante da portare per un autore. Dato che da ragazzo fui molto impressionato e influenzato dalle cose che leggevo, vedevo, ascoltavo, sono consapevole di quanto potente il mezzo che uso possa essere.
E sì, penso che esista una responsabilità morale, ma non penso che ci si debba censurare e fare solo storielle edificanti. Sarebbe noia pura. L’importante è il livello di consapevolezza di chi racconta. Intendo che occorre a tutti i costi stare alla larga da una sorta di pornografia della violenza. Mettere, cioè, lo spettatore in condizione di guardare e riflettere. E questo riguarda chi racconta. È una problematica che ci si dovrebbe porre. 

Come si pone l’artista nei confronti del suo tempo, della società? Crede manchino oggi figure di intellettuali riconosciute e influenti?
Il tempo per me è orizzontale: posso leggere saggi o romanzi scritti ieri mattina, o volumi scritti 4000 anni fa. Non me ne curo. Così come posso ascoltare Haydn, Battiato o i Blonde Redhead. Non mi importa. Certo un tempo era obbligatorio porsi delle domande, tra gli autori di fumetti, più di oggi forse. Ma oggi abbiamo la possibilità di pubblicare dei volumi che vanno in libreria, cosa che un tempo era, per un autore giovane, una pura utopia. Non vivo il tempo come qualcosa di crudele che mi allontana dalla mia giovinezza. Sarebbe un patetico piagnucolare, temo. Al contrario, godo delle gioie della contemporaneità. Se devo disegnare un’anziana donna cinese, per dire, o cercare delle immagini di Hong Kong negli Anni Trenta, oggi la documentazione la trovo sulla rete. Un tempo passavo ore e ore a sfogliare le riviste, con le forbici in mano, per ritagliare le immagini che mi servivano a costruire il cosiddetto archivio.
Siamo in piena rivoluzione digitale, questo è uno strumento meraviglioso. Un sogno. E viaggiare, cosa non indifferente, costa meno che un tempo.
A ben pensarci credo sia sano comprendere che ogni epoca arriva a un suo livello di perfezione e poi scompare, sovrastata da quella successiva. Come le onde del mare: non ce n’è mai una eterna, ferma. Il mare è questo, un moto perpetuo, come il tempo, ma bagnarsi può essere molto gradevole.

Intervista rilasciata via mail a marzo 2020

Biografia di Igort

Igort è uno dei più importanti autori italiani di fumetti. Nel corso degli anni Ottanta collabora con alcune delle principali riviste nazionali e internazionali tra cui “Linus”, “Alter”, “Frigidaire”, “Metal Hurlant”, “L’echo des Savanes”, “Vanity”, “The Face”. Nel 1983 fonda con Brolli, Carpinteri, jori, Kramsky e Mattotti il gruppo Valvoline. Nel 2000 fonda la casa editrice Coconino Press. Nel 2017 abbandona Coconino per fondare Oblomov Edizioni grazie alla collaborazione con l’editore La nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi. Nel 2018 diventa direttore editoriale della storica rivista a fumetti Linus inaugurandone un nuovo corso. Ha al suo attivo una carriera di musicista, con il gruppo Igort & Lo Ciceros.
Il suo  romanzo a fumetti: “5 è il numero perfetto” è pubblicato in 15 paesi ed è diventato nel 2019 un film diretto dallo stesso Igort con protagonista Toni Servillo. I “Quaderni ucraini” e “Quaderni russi“, editi da Mondadori in prima edizione, nascono dalle sue esperienze di viaggio nell’est Europa.

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