é arrivato a 250. Il fumetto che più di tutti ha fatto parlare di sé in Italia e che ha dato nuova linfa vitale al fumetto popolare. Il primo personaggio dei fumetti (in Italia) ad apparire come testimonial pubblicitario di innumerevoli iniziative sociali. Animalista, vegetariano. Figlio degli anni ’80. E fratello maggiore di tanti teen-ager che in lui cercavano un modello. Il caso fumettistico dei primi anni ’90, l’unico (oltre al portabandiera Tex, figlio pero’ di ben altri tempi) ad arrivare al milione di copie mensili (comprese le varie ristampe) vendute.
é un periodo di grande fermento per Dylan Dog, l’old boy di casa Bonelli. Il ritorno del creatore Tiziano Sclavi prima (Dylan Dog n. 240, Ucro’nia), il ventennale poi (Dylan Dog nn. 241, Xabaras! e 242, Nel nome del padre, di Barbato/Brindisi) hanno cercato di riaccendere l’ interesse attorno al personaggio. La Bonelli, per rilanciare ancora maggiormente il personaggio, è interessata a collaborare con le nuove leve fumettistiche italiane, e da questo nascerà anche la nuova collana annuale interamente a colori Dylan Dog Color Fest(la copertina sarà del marvelliano Dell’Otto). Ma è davvero ripagata la nuova attenzione che è nata, anzi rinata, attorno a lui?
Sia il ritorno di Sclavi che il ventennale hanno leggermente deluso le aspettative: di difficilissima lettura la prima storia firmata da Sclavi, bissata successivamente da due storie di cui solo una godibile (il n. 244, Marty), non tanto per originalità o altro, ma perché si è rivisto il Dylan tanto innamorato dei problemi degli altri, triste e malinconico, mentre l’altra ancora molto al di sotto delle aspettative che la gente ripone nel creatore della serie; il ventennale, che si proponeva di modificare come non mai la vita del nostro, si è dimostrata una mezza bufala, lasciando, alla maniera americana, tutto com’era (neanche Cagliostro, teorico nuovo animale domestico di casa Dog, non si è più visto).
Ma a parte tutto, anche stavolta l’attesa del numero celebrativo è riuscita a creare aspettative. Sarà il colore, da sempre in casa Bonelli caratteristica degli appuntamenti importanti, che in Dylan compare più che in altre collane, a testimonianza dell’importanza che viene data dall’editore alla testata. Ma io credo che il motivo principale sia la presenza di Sclavi. è sempre lui il burattinaio dietro Dylan, la gente non ha dimenticato le sue meravigliose storie e si aspetta da lui sempre il massimo, essendo Dylan una parte di lui, quasi il suo alter ego. Anche stavolta Sclavi ha virato su una storia per metà paranormale, con mondi paralleli in cui Dylan guida un maggiolone volante, ritrova tutte le sue donne in una sola, si trova improvvisamente su di un’isola deserta.
Ma anche stavolta la storia, soprattutto nel suo finale lascia un non so che di inconcludente. La spiegazione razionale – Dylan bloccato nell’ascensore del tribunale per 6 giorni – basterebbe a spiegare le varie capatine di Dylan in mondi paralleli solo immaginati dalla sua mente provata dalla stanchezza. La fame, la sete e quindi il delirio, sono più che giustificati dal vivere 6 giorni in un angusto spazio. Ma il nuovo avvento del paranormale nelle ultime pagine lascia una perplessità. Perché spiegare tutto e poi smentirlo, e creare poche pagine senza una vera e propria spiegazione? Pagine che lasciano solo un po’ di amaro in bocca per come la storia sarebbe potuta rimanere solo in una dimensione paranormale e misteriosa.
Ma tant’é. Il genio di Sclavi ha così deciso, e a noi restano solo domande e poco altro. Comunque la storia, tutto sommato, è sufficientemente all’altezza della celebrazione. Per un motivo principalmente: in 96 pagine ci è mostrato tutto il mondo dylandoghiano; Groucho in buona forma, Bloch malinconico, una bella ragazza, tanto paranormale, Botolo, il professor Knoch sempre più grottesco. Tornano anche gli uomini bombetta a significare l’impersonalità della gente che ride delle disgrazie altrui, come nella prima scena ambientata nel tribunale, e c’é anche la gradita presenza di zombi, una delle presenze fisse nel palcoscenico dylandoghiano, stavolta nei panni della misteriosa e manovratrice classe dirigente, che il ribelle Dylan, continua comunque a combattere, per mostrare la propria libertà e dignità.
Quel suo :”E io sono Dog, Dylan Dog”, urlato in faccia ai burocrati è più forte di un manifesto culturale, un grido liberatorio di rabbia repressa, più forte della sua pistola che dopo spara agli zombi. Puo’ sembrare paradossale, e anche leggermente anacronistico il richiamo alla lotta di classe. Ma qui il problema non è il cosa viene affermato, ma il come. I problemi, le divisioni sociali, oggi sono addirittura più accentuate di vent’anni fa. Ma è cambiato il modo di raccontarle. E quella scena pare buttata lì un po’ a casaccio, e la critica che Sclavi fa alla società ormai da vent’anni, stavolta non riesce a pungere.
Sclavi dimostra pero’ di essere ancora il più grande conoscitore di Dylan (può sembrare ovvio visto che ne è il creatore, ma alle volte i personaggi crescono meglio nelle mani di altri che del proprio creatore), soprattutto grazie alla sensibilità con cui sa ancora mostrarci il suo personaggio. Anche se purtroppo non è incisivo e originale come una volta.
Un piccolo appunto. Dylan conoscitore di arti marziali non lo avevamo mai visto. E saremmo stati contenti se non lo avessimo visto mai. Ma Sclavi ha voluto regalare al suo alter ego una nuova abilità. Sarà perché nel lontano 1986 non gliene consegno’ molte…
Bruno Brindisi è oramai diventato il disegnatore degli eventi dylandoghiani. Dopo il n. 200 e il ventennale, giunge questo n. 250 a ingrossargli il palmares. E la decisione di chiamare ancora lui, stavolta affiancato ai colori dallo staff di Emanuele Tenderini alla parte grafica dell’albo è quanto mai azzeccata: il suo Dylan è pulito, espressivo, con i suoi occhi sensibili, ma anche grintoso quando serve. Sono davvero disegni di una leggibilità assoluta, nella migliore tradizione della ligne claire a cui Brindisi si è sempre votato. Bella anche la sua isola deserta, davvero un paradiso tropicale, e le scene notturne di Dylan sulla barca volante con la luna dietro, pallida e affascinante, a richiamare le stesse scene viste nel n.100 del grande Stano. Una menzione anche per lui. è bella la sua copertina, come al solito ben colorata, ma sicuramente ritrae il Dylan più piccolo mai visto su di una copertina. E in una celebrazione così importante per lui, forse sarebbe stato più giusto un Dylan grande, a centro pagina, grande com’é il peso della responsabilità di portarsi dietro 250 storie della serie regolare.
Riferimenti:
Sito Bonelli: www.sergiobonellieditore.it