Davide La Rosa e Armin Barducci, sceneggiatore e disegnatore di Gli esploratori dell’infinito per Baya Comics, sono stati ospiti di Lo Spazio Audace – Vignette e caffè a Lucca Comics & Games 2024.
Davide, Armin, benvenuti! Che sensazione dà realizzare un’opera che “inaugura” una nuova casa editrice?
È molto interessante! Io faccio fondamentalmente l’editor e suggerisco dei titoli, insomma sto cercando di promuovere autori e stili che mi piacciono. L’editore, che si occupa di romanzi ed è nuovo nel mondo del fumetto, sapeva che avevamo fatto questo libro e ci ha chiamati. Poi mi ha chiesto se potevo dare una mano nella fase iniziale. È bello perché posso portare stili che mi piacciono. L’editore è Baya Comics di Pisa… si può dire Pisa, a Lucca?
Come è nato Gli esploratori dell’infinito?
Volevo provare una cosa mai fatta nella mia ormai ventennale carriera, cioè la trasposizione a fumetti di un romanzo. Mi è tornato in mente un libro che avevo letto alle scuole medie, dove c’era una biblioteca piena di vecchi volumi. Alcuni erano interessanti, come Gli esploratori dell’infinito di Yambo. Me ne sono ricordato perché è un contenitore di avventura, fantascienza, divulgazione scientifica, anche se sbagliata perché parliamo di inizio Novecento. Poi c’è il fatto che sto attraversando un periodo liberty e continuo a immaginare storie con questa ambientazione. Così credo che questo fumetto sia uno dei pochi casi di fantascienza liberty. E anche la storia di Dylan Dog che uscirà l’8 novembre sul Color Fest [ormai già uscita – ndr], scusate lo spoiler, si giova di una atmosfera liberty. Comunque, fatta la trasposizione, ho pensato ad Armin. Era il più adatto perché i disegni di Yambo, che era un proto fumettista e un artista visivo a tutto tondo, erano in uno stile che lui poteva rifare in chiave moderna.
Armin, passi da opere molto personali a un adattamento con sceneggiatura e con una certa iconografia di riferimento. Ti ha creato difficoltà?
Mi sono trovato con un sacco di disegni di Yambo, di un periodo che a me piaceva tantissimo e con un’estetica che non è molto lontana da altre cose più conosciute a livello internazionale. Ho cercato di fare i personaggi, mantenerli senza tradirli e senza tradire neanche me stesso. Non facile, ma ho trovato una quadra e poi sono andato abbastanza libero, senza più pensare troppo all’estetica. Mi sono trovato abbastanza bene, la difficoltà forse è che quando lavoro su cose mie ho i miei tempi di narrazione, faccio le pause che desidero e qui invece mi sono ritrovato a un linguaggio molto più “fumetto”, più veloce e ho dovuto trovare degli equilibri. Ma è utile anche per non rimanere sempre nel proprio stesso, identico, brodo.
Davide, in questa opera troviamo un moralista, un fuggiasco dalla miseria d’animo della Terra… la tua fantascienza integra anche una certa attualità.
Sì, è sempre attuale che la gente se ne voglia andare dalla miseria, e il problema è che la miseria c’è sempre. C’è una parte sociale, molto legata agli inizi del Novecento. Il coprotagonista pratica la temperanza: era quella forma mentis che avevano i proibizionisti americani verso l’alcool. Quindi c’è un super vegano, un personaggio che odia l’alcol in maniera semi nazista. Questo tipo di critica è presente perché Yambo, all’epoca, sentiva parlare molto di questi temi e ha voluto fare della satira ambientando il romanzo proprio in quella che sembra essere New York. Il viaggio è un viaggio di sopravvivenza e il tipo di fantascienza è quello che ha inaugurato Edgar Allan Poe, che viene anche citato. Infatti i protagonisti, come nel famoso racconto di Poe, vanno sulla Luna in mongolfiera, perché infatti si pensava che si potesse davvero arrivarci in quel modo. Sia Poe, sia Yambo, spiegano tutto scientificamente. Il problema è che la scienza di inizio Novecento, così come tutto il romanzo, che diventa una sorta di finto documentario nello spazio, proponeva un sacco di ipotesi su come potessero essere gli alieni, o i pianeti del sistema solare. Ad esempio erano convinti, per un errore dell’astronomo Giovanni Schiapparelli, che ci fossero i marziani su Marte. Quindi è una fantascienza paragonabile a quella serie di Superquark con Piero Angela nello spazio con l’astronave. Il concetto è il medesimo.
L’approccio è anche un po’ divulgativo, nel senso che si cerca di far conoscere l’opera e il suo autore con un approccio alla scienza e alla parascienza del passato. Era nei vostri intenti?
Sì, tant’è che il libro è anche abbinato a una mostra su Yambo a Palazzo Blu a Pisa e contiene una serie di approfondimenti, a partire dalla prefazione di Andrea Plazzi, firmati da docenti e saggisti dell’università di Pisa coordinati da Fabio Gadducci. Questi extra aggiungono prestigio al volume e hanno lo scopo di raccontare Yambo e la sua opera, perché lui era un personaggio e uno scrittore molto famoso all’inizio del novecento ma adesso non lo ricorda più nessuno. Ha fatto tanto per il fumetto e ci pareva bello contestualizzare e farlo conoscere.
Armin, ti sei occupato anche della colorazione?
Sì. Non sono un colorista ma avevo già fatto delle cose con colori decisamente più piatti. Quindi ho preso quella parte che conoscevo, retaggio della mia attività da illustratore, e l’ho adottata. Se ci penso è il primo lavoro a colori non piatti che ho fatto e mi sono trovato abbastanza bene anche se è statao molto lungo da fare. Non so se la farò mai più [ride]. Preferisco delle cose con un colore solo, un po’ più underground.
Vi siete confrontati sul setting, sulle ambietazioni?
Davide mi ha dato dei riferimenti, ma a parte l’inizio, in cui la storia è ambientata in una città, siamo su pianeti completamente da inventare e sono stato molto più libero di fare o semplificare le cose. Quindi c’è stato un gran sbattimento iniziale e poi mi sono divertito a creare le macchine volanti, le forme, un pianeta selvaggio. Sugli alberi ad esempio non avevo dettagli in sceneggiatura e allora ho iniziato a farli con bocche, occhi, con una vena più grottesca e a Davide sono piaciuti così siamo andati avanti. Ci sono riferimenti, ad esempio un’auto può ricordare quella di PK, ma non è espressamente voluto.
Quanto sei stato fedele al romanzo, Davide?
Ho voluto essere molto fedele anche se, come dico sempre, come libro è un po’ sbilanciato, nel senso che all’inizio è molto lento e poi comincia a correre e accelera tantissimo. Forse era anche un problema di narrazione dell’epoca ma l’ho voluto tenere così per rispettare gli equilibri. Ci sono cose però che nel romanzo non ci sono. Armin citava ad esempio l’albero con la bocca, che rientra fra le cose non descritte da Yambo ma che ci sta benissimo. Ecco, da sceneggiatore posso dire che se una cosa non è funzionale alla trama, bisogna lasciare la massima libertà al disegnatore. E infatti ciò che ha fatto Armin aggiunge creatività e dà un tono al racconto. Poi ovviamente se avesse messo la Tour Eiffel ne avremmo almeno discusso…
A che cosa state lavorando adesso?
Armin: Io sto riordinando le idee per sistemare i progetti già iniziati. E poi sto disegnando una mia versione di Pierino Porcospino. Sono in fissa totale, sto raccogliendo vecchie edizioni e conosco molte cose di background e di quanto sia stato male interpretato questo libro da tutti. Ha traumatizzato tanti bambini! [ride]
Davide: Sto lavorando ad alcune storie per Gigaciao, che usciranno nei prossimi mesi, e a Dylan Dog. Poi ho fatto un fumetto che dovrebbe uscire nel 2025, ma non sono ancora sicuro, per una nuova etichetta che si chiama Giallochina. È un giallo classico. Nonostante sia vecchio cerco anche io di fare cose nuove, di non sedermi [ride].
Davide, Armin, grazie per la disponibilità!
Intervista realizzata il 3 novembre 2024 a Lucca Comics & Games.
BIOGRAFIE
Davide La Rosa, dopo il diploma di scuola superiore e una brevissima parentesi alla facoltà di Astronomia, si iscrive alla scuola di fumetto. Parallelamente agli studi ha creato con Emiliano Mattioli il progetto Fumetti Disegnati Male, rivista autoprodotta che raccoglie fumetti di vario genere disegnati in maniera confusa, rozza e non “graficamente corretta”.Tra gli altri, collabora poi con Nicola Pesce Editore, Star Comics, Shockdom e Sergio Bonelli Editore.
Figura originale e controversa di “fumettista che non sa disegnare”, è uno degli autori più amati della scena indipendente, autore di numerosi volumi, tra i quali Suore Ninja (Edizioni Star Comics, 2013), Paco Lanciano e il fagiano crononauta (Edizioni NPE, 2014), Ugo Foscolo, indagatore dell’incubo (Saldapress, 2015), Giuseppe Parini, naufrago delle stelle (Saldapress, 2018), Dizionario dei film brutti a fumetti con Fabrizio Di Nicola (Shockdom, 2016), Il libretto rosso del trio occhialuto antifascista (Cane, 2019), La Divina Commedia illustrata male (Cane, 2020), Il regista di film brutti che vinse il festival di Cannes (Shockdom, 2022)
Armin Barducci, disegnatore, storyteller, insegnante ed educatore. Ha collaborato con The Artist, Political Comics, Schwarzer Turm Verlag. Cofondatore assieme a Hannes Pasqualini del Progetto Monipodio! e facente parte dello zoccolo duro di G.I.U.D.A. (Geographical Institute of Unconventional Drawing Arts). Attualmente gestisce assieme ad Eleonora Suri Bovo l’etichetta di autoproduzione Underkraut (con circa 12 piccole pubblicazioni). Fu co-creatore della Self Area a Lucca Comics.
I suoi lavori: Etakan Api The Evergreen Hunter (Giuda Edizioni), Koso-Bo diario di viaggio dal Kossovo (Unerkraut), Macchina Suprema (Giuda Edizioni), Auf der Lebkuchenstrasse (scritto da Selma Mahlknecht per Raetia Verga), Misantromorfina (Eris Edizioni), Ötzi The Iceman (Athesia Verga), Das Weihnachtskängeru (Raetia Verga), Sospeso (scritto da Giorgio Salati per Tunué).